ROMA – L’inchiesta giudiziaria sul mistero Emanuela Orlandi è ormai alle ultime battute, entro la fine di marzo i magistrati dovrebbero decidere che fare: archiviazione o richiesta di rinvio a giudizio per qualcuno? Sempre che non ci si metta di mezzo qualche inghippo a ritardare ancora i tempi. Come è capitato per esempio con gli errori di conteggio e catalogazione delle migliaia di ossa prelevate dall’ossario della basilica di S. Apollinare per sottoporle tutte all’analisi del DNA. E come è capitato con la lunga serie di colpi di scena man mano provocati dall’arrivo di “supertestimoni” e “rivelazioni” varie tra loro conflittuali, il cui bilancio è piuttosto magrino, se non fallimentare.
I tempi si sono inoltre allungati perché avendo il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone affidato la delega per le indagini sul terrorismo al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che con il sostituto procuratore Simona Maisto si occupa del caso Orlandi, molto tempo è stato impegnato per radiografare i pericoli di terrorismo in Italia, a partire dalle minacce dell’ISIS. Capaldo inoltre è ancora impegnato sulla vicenda dei due marò arrestati in India e con il processo Condor: vale a dire, con il processo che si celebra contro 35 imputati presso la III Corte d’Assise di Roma per gli italiani desaparecidos in Sud America, fatti cioè sparire, uccidendoli, dalle giunte militari.
Uno dei dilemmi che i magistrati si sono trovati a dover affrontare è quello della strada che ha fatto nel pomeriggio del 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi per andare da casa, in Vaticano, alla pontificia scuola di musica Ludovico Da Victoria, in piazza S. Apollinare, contingua alla famosa piazza Navona. Si è infatti sempre creduto che la ragazza una volta uscita dal Vaticano varcando il cancello di Porta S. Anna sia salita sull’autobus 64 al capolinea della vicina piazza della Città Leonina, per poi scendere in corso Vittorio Emanuele alla fermata vicino piazza di S. Andrea della Valle. E proseguire quindi a piedi fino al Da Victoria, distante i più o meno 500 metri di corso Rinascimento, lungo il quale si affaccia palazzo Madama, sede del senato della Repubblica. E proprio davanti palazzo Madama l’avrebbero vista passare il vigile urbano Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco, le cui testimonianze si sono rivelate non credibili oltre che mal riportate dalla stampa.
Il problema però non sono le loro testimonianze dai piedi di argilla. Nell’esaminare il caso completamente da capo i magistrati si sono trovati a leggere con sorpresa una frase del verbale della testimonianza di Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, alla sezione omicidi della squadra mobile della questura di Roma. Il verbale è del 21 luglio ’83. Riferendosi al giorno della scomparsa della sorella, avvenuta il 22 giugno, Natalina ha dichiarato che
“quel pomeriggio vi era anche uno sciopero dei mezzi pubblici”.
Me se c’è stato lo sciopero, non ha senso dire che Emanuela è passata davanti al Senato. Vorrebbe infatti dire che avrebbe fatto a piedi i due chilometri percorsi dal 64 fino alla fermata di piazza S. Andrea della Valle e poi i 500 metri fino al Da Victoria. Totale: due chilometri e mezzo. Visto anche che il tempo era nuvoloso, è ovvio che Emanuela ha fatto la strada, più corta di un chilometro e mezzo, che passa davanti a Castel S. Angelo e al Palazzaccio per poi varcare il Tevere a ponte Umberto e arrivare a destinazione in piazza S. Apollinare dopo avere infine percorso un centinaio di metri di via Giuseppe Zanardelli. Ciò significa che Emanuela ha fatto la strada dalla parte opposta a quella del Senato, fermandosi a quasi 200 metri PRIMA di palazzo Madama. Motivo per cui Bosco e Sambuco non possono averla vista passare, come si suol dire, neanche col binocolo.
Natalina lavorava all’ufficio legale della Camera dei Deputati, era infatti la segretaria di Gianluigi Marrone, capo di tale ufficio e contemporaneamente, strana combinazione, magistrato del Vaticano. Veste quest’ultima nella quale firmava i “No!” alle rogatorie dei magistrati italiani interessati a interrogare alcuni cardinali su cosa sapessero della scomparsa di Emanuela. Natalina al lavoro di andava in autobus, perciò se parla di sciopero dei mezzi pubblici il 22 giugno è da presumere che lo faccia per conoscenza diretta. Sui giornali dell’epoca però non si trova traccia di tale sciopero, né l’hanno trovata i magistrati, ma approfondendo l’argomento si scopre che in quel mese di giugno c’erano stati altri scioperi, minacce di sciopero e agitazioni varie nel mondo dei trasporti comunali di Roma. E’ quindi probabile che ci sia stata la minaccia di scioperare anche il 22 e che però poi non se ne sia fatto niente. Ma se Natalina appena un mese dopo il fatidico 22 dice che lo sciopero c’è stato significa che lo sciopero o c’è stato davvero o è stato realmente minacciato ed è rientrato all’ultimo minuto.
E’ ovvio che dell’argomento sciopero Natalina abbia parlato in famiglia prima e dopo la sua testimonianza. Ed è da notare che nessuno della famiglia ha smentito la sua testimonianza. Ciò significa evidentemente che in famiglia gli Orlandi sapevano che Natalina stava dicendo il vero.
Viceversa, se Natalina ricorda male dopo appena un mese dal 22 e se ricordano male i suoi familiari che non l’hanno smentita, compreso l’allora fidanzato e futuro marito Andrea Mario Ferraris, ciò significa che tutti loro come testimoni non sono molto attendibili.
Ma anche ammesso che Emanuela quel giorno sia salita sul 64 e sia scesa alla solita fermata in corso Vittorio Emanuele II, è improbabile che alla scuola di musica ci sia andata a piedi anziché prendendo uno degli otto autobus le cui fermate erano – e sono tuttora – sia quasi di fronte a quella di corso Vittorio dove scendeva Emanuela sia all’inizio di corso del Rinascimento. Nel verbale di una testimonianza del padre di Emanuela, Ercole Orlandi, si legge infatti che la ragazza
“se aveva voglia di fare una passeggiata, una volta scesa dal 64 andava a piedi fino al Da Victoria, altrimenti prendeva un altro autobus”.
Dall’archivio dell’Ansa si apprende che quel giorno il cielo era coperto e probabilmente minacciava pioggia. E’ quindi probabile che Emanuela a destinazione ci sia arrivata con un altro autobus. Motivo per cui anche in questo caso non può essere stata vista né dal vigile Sambuco né dal poliziotto Bosco. E’ di quest’avviso anche il magistrato che a suo tempo si è occupato dell’inchiesta, Margherita Gerunda, che ci ha infatti dichiarato:
“Non ho mai creduto che Emanuela Orlandi quel giorno abbia fatto la strada che tutti insistono a dire che abbia fatto, quella cioè che passa davanti al Senato”
Questi dunque i dubbi e le sorprese principali che hanno accompagnato l’ultima tranche dell’inchiesta, andata per le lunghe oltre che per i motivi sopra citati anche perché i magistrati hanno voluto rileggere tutte le vecchie carte fin dall’inizio del mistero Orlandi. Dubbi e sorprese, come si vede, non di poco conto. E anzi capaci di far sprofondare i vari castelli in aria costruiti in 32 anni di depistaggi di vario tipo.
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