Attorno al mistero che avvolge la scomparsa di Emanuela Orlandi c’è di nuovo un turbine impazzito di voci e invenzioni, sprigionato da un fatto certo: i magistrati che hanno preso in mano le indagini hanno abbandonato la teoria del rapimento, inseguita per quasi 30 anni dai loro predecessori e si sono convinti che la scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazzina vaticana sparita il 22 giugno di 30 anni fa,ha origine nel palazzo di S.Apollinare, palazzo e non basilica, che è attigua ma è un’altra cosa, per una semplice ragione, che tutte le “prove” che i “rapitori” hanno saputo far trovare per dimostrare di avere Emanuela nelle loro mani erano sempre e solo fotocopie di carte di chiara provenienza dal conservatorio o dal suo giro.
Cosa sia successo a Emanuela in quelle che con ogni probabilità furono le ultime ore, o gli ultini minuti, della sua vita non si sa e forse non si saprà mai: troppi anni sono passati, troppo tempo è stato perso in indagini sbagliate.
Ma via via che sono cadute tutte le piste e sottopiste che in questi anni sono state alimentate anche da semplici telefonate anonime, alla Procura della Repubblica di Roma sono convinti di avere preso la direzione finalmente giusta.
Il lavoro degli investigatori non è certo reso più semplice dal mulino a vento di chiacchiere, congetture, ipotesi e pure e semplici bugie che sprigionano dalla vicenda come miasmi.
La scorsa settimana le notizie sul caso di Emanuela Orlandi, hanno scodellato tre piste tra di loro completamente diverse e inconciliabili.
Pista numero 1. L’8 marzo Quarto Grado su Retequattro ha rimesso in pista Alì Agca, il turco che nell’81 tentò di uccidere a pistolettate Papa Giovanni Paolo II Wojtyla. Con un altro gioco di prestigio il buon Alì, intervistato a Istanbul, ha tirato fuori dal suo cilindro senza fondo un altro coniglio, anzi due in un sol colpo: l’Iran e il Vaticano, che, il secondo, avrebbe chiuso a chiave in un convento sia la Orlandi che la sua coetanea Mirella Gregori, sparita 45 giorni prima di lei. Chi non ci crede, guardi qui, al video della intera puntata, con l’avvertenza che la parte dedicata a Orlandi/Agca arriva solo dopo 1 ora e 34 minuti.
Secondo la nuova boutade di Ali Agca
“Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state rapite soltanto per ottenere la mia liberazione. Ho prove documentali che dimostrano questa mia affermazione e questo dato di fatto. Da anni, la stampa, soprattutto quella italiana, sta seguendo le menzogne di una tossicodipendente, Sabrina Minardi. Il mondo e l’Italia vengono ingannati con la storia della Banda della Magliana. La verità è che Emanuela Orlandi è stata rapita soltanto per ottenere la mia liberazione”. Inoltre ” l’ordine del rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori è partito dal governo iraniano”.
Infine il tocco finale: “Dopo il mio ritorno in Turchia [Agca nel 2000 in Italia è stato graziato], Emanuela Orlandi è stata liberata, è stata consegnata al governo Vaticano. Adesso, probabilmente, Emanuela Orlandi si trova in un convento di clausura, affinché non riveli questa complicità del Vaticano e del governo iraniano. Quindi, in qualche modo, Iran e Vaticano sono complici nell’omertà, un’omertà incredibile.”
Pista numero 2. Il giorno dopo la sparata di Agca su Quarto Grado, Tgcom24, sempre rete Mediaset, rilancia addirittura la strage delle guardie svizzere, avvenuta il 4 maggio 1998, ventilando che il comandate delle guardie svizzere ucciso, il maggiore Alois Esterman, abbia avuto un ruolo nella scomparsa della Orlandi per conto dei servizi segreti dell’allora Germania comunista. Qui il link della “novità”, che in realtà si limita a un vecchio servizio su un vecchio articolo del settimanale Oggi.
Pista numero 3. Domenica 10 marzo un altro “botto” di Gianluigi Nuzzi, questa volta sul quotidiano Libero, che viene dopo quello tentato su La7 con la puntata di Inchieste, dedicata appunto al caso Orlandi. Anche questa volta Nuzzi mette in tavola il sesso.
Anche se non si tratta più, si direbbe, di orge o abusi da parte di mons. Piero Vergari, rettore negli anni ’80 della basilica di S. Apollinare, ormai tristemente famosa, si tratta di stupro o comunque abuso sessuale da parte di un misterioso insegnante di musica del conservatorio Luodovico Da Victoria, frequentato dalla Orlandi e sito al terzo e quarto piano del Palazzo di S. Apollinare, contiguo alla basilica e come essa affacciato sulla piazza omonima.
L’insegnante sarebbe stato individuato dagli interrogatori avvenuti un paio di settimane fa di quattro persone, una delle quali avrebbe parlato appunto degli abusi commessi su uno studente da parte sia dell’insegnante sia da “persone a lui connesse”. Il problema è che poiché non è stato interrogato nessun ex alunno della scuola, non si comprende chi possa avere indicato l’insegnante.
Come abbiamo già scritto, i quattro interrogati come testimoni sono persone che gravitavano attorno al Palazzo di S. Apollinare, che oltre al Da Victoria ospitava altri uffici, di circoli e associazioni, compresa al primo piano la sede della Fuci (Federazione Universitari Cattolici Italiani). Ma sono stati interrogati per cercare di capire di chi fossero le auto che a volte la sera parcheggiavano nel cortile interno del Palazzo e se ci fossero frequentazioni con una sorta di night club con donnine allegre ospitato in un palazzo vicino, affacciato su piazza delle Cinque Lune.
Lo stesso Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, s’è lamentato su Facebook che non è stato interrogato nessun ex studente del Da Victoria; inoltre nella sua pagina su Facebook la voce del professore di musica gira da più di due di settimane, su segnalazione di una certa Monica Collodi, anche se il professore viene confuso con Mons. Vergari. Del quale non ci capisce che bisogno ci sia di mettere in piazza la telefonata ricevuta da un novizio che parlando di latte e yogurt pare si masturbi, quasi fosse la reclame “Fate l’amore con…” di un noto yogurt. Oltretutto, ascoltando la telefonata, si sente che a parlare è solo il novizio, don Vergari cerca pure di cambiare discorso, troppo educato per troncare con un bel “vaffa”.
Che Emanuela non sia stata rapita è convinzione degli attuali inquirenti almeno da quando hanno acquisito, nell’ottobre 2011, la registrazione e la trascrizione delle mie telefonate con l’avvocato degli Orlandi, Gennaro Egidio, che già nel 2002 mi spiegava: “Si tratta di una sparizione, ma non di un rapimento”. E spiegava perché mi facesse una tale affermazione, aggiungendo tra l’altro che “Emanuela di libertà ne aveva fin troppa” e che non era affatto vero che i suoi rapporti con i genitori erano idilliaci come suo padre Ercole ha sempre dichiarato: “I padri, si sa, difendono i figli….”.
Purtroppo Gennaro Egidio, che nel 2002 era il legale degli Orlandi da ben 19 anni e quindi di cose ne sapeva, è morto nel 2005 e pertanto non può essere interrogato. Ma gli inquirenti l’idea del rapimento l’hanno comunque abbandonata. Con 30 anni di ritardo, dopo che altri loro colleghi sono corsi dietro ai fantasmi del “rapimento politico” prima, quello che Agca addossava di fatto all’ Unione Sovietica e ora addossa all’Iran, e avere inseguito il cadavere di Enrico De Pedis dopo, per il “rapimento malavitoso”, gli inquirenti si sono convinti che la soluzione del mistero è nel Palazzo di S. Apollinare. Probabilmente dentro il Da Victoria. Lo vado scrivendo dal 2002.
Del resto già nel ’97 il giudice istruttore Adele Rando, in accordo col sostituto procuratore generale Giovanni Malerba, ha concluso che la scomparsa della Gregori non c’entra nulla con quella della Orlandi e che il sequestro “politico” era solo una montatura per nascondere un sequestro di ben altra natura. Di recente ho rintracciato un investigatore che si è occupato della vicenda nei primi tempi: mi ha espresso tutto il suo sbigottimento e la rabbia per avere dovuto di colpo mollare la pista che intendevano seguire, lo stupro concluso con l’uccisione, per doversi impegnare nel nulla di una pista chiaramente fasulla che i poliziotti più avvertiti avevano capito benissimo essere fasulla.
Per il Papa polacco Wojtyla il depistaggio del rapimento rientrava in uno schema che portava un elemento in più contro l’ Unione Sovietica, atea e comunista, che comandava nella sua natia e cattolicissima Polonia. E ai servizi segreti non solo italiani ha fatto comodo assecondarlo perché all’epoca eravamo in piena “guerra fredda” contro l’ Unione Sovietica.
Da qualche tempo gli inquirenti lo hanno finalmente capito. Ormai per “sequestro” intendono quello che sempre accompagna un abuso sessuale, specie se si tratta di una minorenne. Sarebbe anche il caso di capire come è nata la leggenda metropolitana dell’adescamento tramite l’offerta a Emanuela di un lavoro per la Avon visto che degli unici due testimoni sui quali si basa questa eterna tesi, il vigile urbano Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco, il primo mi ha sempre giurato di non avere mai fatto il nome della Avon, assolutamente ignoto infatti ai primi magistrati che si sono occupati della vicenda, mentre il secondo è assodato che dal posto dove si trovava non può avere visto la scritta Avon “su un tascapane di tipo militare” posto a non meno di 20 metri di distanza.
I commenti sono chiusi.