Nel condurre lo scorso gennaio la seconda serie di Scomparsi per un canale di Sky TV Pietro Orlandi ha riprodotto spezzoni di una puntata dell’emittente tedesca ZDF dedicata al mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi: tale puntata della ZDF però non è altro che la traduzione in tedesco della puntata di Scomparsi condotta dallo stesso Pietro il 14 gennaio 2018.
La tv tedesca ha infatti acquistato quella puntata, come del resto anche la tv pubblica belga RTBF. Non si capisce quindi il senso di mandare in onda in Italia un repechage tradotto in tedesco.
Come che sia, nel video del repechage e nel video della ZDF visibile su YouTube, si nota un particolare interessante: al minuto 11 del video di YouTube viene mostrato un identikit assolutamente inedito del presunto rapitore di Emanuela: ma – sorpresa! – l’identikit se somiglia a qualcuno ha delle somiglianze con la buonanima di Mario Meneguzzi, zio di Emanuela e Pietro. E’ la prima volta in assoluto che quell’identikit viene reso pubblico: prima se n’è parlato spesso, ne ha parlato anche “Chi l’ha visto?”, ma sempre senza mostrarlo e affermando invece che comunque somigliava a Enrico De Pedis, come sempre definito boss della Banda della Magliana.
Una delle due firme visibili sul lato basso del foglio dell’identikit – quella a sinistra di chi guarda – è “Sambucoalfredo“, la firma cioè del vigile urbano Alfredo Sambuco, quel giorno in servizio all’ingresso di Palazzo Madama, che si usa dire abbia visto Emanuela intrattenersi di fronte al palazzo con un uomo poggiato a una BMW il pomeriggio della scomparsa. Il vigile è stato interrogato – dal giudice istruttore Ilario Martella – solo il 18 ottobre 1985, cioè a due anni e quattro mesi dai fatti, quindi l’identikit dev’essere necessariamente di quel 18 ottobre o immediatamente successivo, non può essere stato disegnato in precedenza perché altrimenti il vigile ne avrebbe parlato al magistrato. Questi i passi del verbale dove il teste descrive l’uomo che dice di avere visto parlare con una ragazza:
Martella: “Descriva, ove ne abbia tuttora ricordo, le caratteristiche fisiche dell’uomo da lei notato a colloquio con la ragazza”.
Sambuco: “Altezza tra m. 1,75-1,80, età apparente 40-45 anni, colore della pelle non chiaro, capelli castani, molto stempiato sul davanti”.
Da notare che intervistato anni dopo da Fiore De Rienzo per “Chi l’ha visto?” lo stesso Sambuco sostiene di avere tracciato per i carabinieri un identikit subito dopo il 22 giugno ’83 e parla di un uomo di “circa 35 anni”, alto “sul metro e 75 forse anche qualcosa di più”. Tutte cose che smentirà dopo il 2000, quando ammetterà di averle dette solo per dare qualche speranza agli Orlandi confermando quello che loro gli dicevano e quello che lui aveva letto sui giornali. E comunque, come vedremo meglio, il magistrato che si occuperà in seguito delle mistero Orlandi – il sostituto procuratore Giancarlo Capaldo – negherà che sia stato fatto un identikit già nei giorni a ridosso della scomparsa di Emanuela, il che equivale a dire che Sambuco a De Rienzo ha raccontato una cosa NON vera.
Come che sia, l’identikit tracciato dal vigile nell’85 si adatta semmai più a Mario Meneguzzi che a De Pedis, visto anche che De Pedis non era affatto “molto stempiato sul davanti”, era molto più giovane della persona descritta dal vigile – nell’83 aveva infatti solo 29 anni, ben lontano quindi dai 40-45 – ed era anche più basso: appena 1 metro e 70. Guardando le loro foto si nota come l’identikit tracciato nell’85 più che a De Pedis somigli semmai a zio Mario. Perché quel disegno non è mai stato pubblicizzato pur consegnato ai magistrati? Forse perché la somiglianza a zio Mario creava qualche imbarazzo? Forse perché rischiava comunque di mandare all’aria o ritardare prima la pista del rapimento “politico” e poi anche quella del rapimento “malavitoso”, rivelatesi entrambe clamorose montature? Da notare che lo zio Mario dopo l’83 mentre era a Santa Marinella, dove aveva una rudimentale casa vacanza, si accorse di essere pedinato da alcuni uomini in auto: presa nota della targa dell’auto la comunicò a un giovane poliziotto entrato da poco nei servizi segreti civili, Giulio Gangi, amico suo e di sua figlia Monica, ed ebbe conferma che si trattava di una targa “di copertura”. Non si è mai saputo se Meneguzzi fosse seguito perché sospettato di essere l’uomo della BMW o per vedere se gli eventuali rapitori di sua nipote lo avrebbero contattato per eventuali trattative.
Altra cosa strana: il 10 marzo 2008 a “Chi l’ha visto?” annunciano che “è stato ritrovato in un cassetto” l’identikit tracciato da Sambuco. Quale cassetto? Di chi? Dove? Quando? Perché mancano le firme di chi lo ha tracciato? Mistero. Anzi: misteri. Sta di fatto che a “Chi l’ha visto?” l’identikit emerso dal cassetto viene messo a confronto con una fotografia di De Pedis e la conduttrice ne trae la seguente disinvolta conclusione: “C’è una strana, singolare somiglianza con Enrico De Pedis”.
Peccato però che:
– l’identikit senza data e senza firme mostrato da “Chi l’ha visto?” e attribuito a Sambuco NON è quello opera di Sambuco;
– a smentire che nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della Orlandi il vigile abbia tracciato un identikit è lo stesso magistrato Giancarlo Capaldo, che ha condotto l’ultima inchiesta sul mistero Orlandi, durata anni e chiusa nel 2015. Intervistato in una delle quattro puntate dedicate nel 2010 alla Banda della Magliana da History Channel, il magistrato infatti dichiara: ”NON risulta essere stato fatto un identikit somigliante a De Pedis all’indomani della scomparsa. Era un detto….”.
Insomma, solo una delle tante dicerie.
Quello però che suscita ancora più sconcerto, se non indignazione, è quanto afferma Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, nella sua intervista del 27 giugno 2008 a Daniele Mastrogiacomo, giornalista di Repubblica. Il contenuto della seguente sua dichiarazione NON può infatti essere vero: “Due ore dopo la scomparsa eravamo già al primo distretto di polizia per la denuncia. Ci convocarono il giorno dopo e ci trovammo davanti ad un identikit che era stato disegnato con il contributo decisivo del vigile urbano in servizio vicino al Senato. Aveva visto mia sorella mentre parlava con un uomo a bordo di una Bmw. Quando è apparso il profilo, il poliziotto ha avuto un sussulto. Ha esclamato: ‘Ma questo è De Pedis’. Poi ha scosso la testa e ha detto che era impossibile, perché si trovava all’estero”.
Tralasciamo il fatto che la signora Natalina parla di “distretto di polizia”, anziché di commissariato, forse suggestionata dall’omonima serie televisiva di Canale 5. E tralasciamo anche che il vigile NON aveva visto sua sorella, ma semmai una ragazza che forse le somigliava, come risulta dai verbali delle testimonianze sia di Sambuco che della stessa Natalina. Tralasciamo. Quello che invece non si può tralasciare è che le sue affermazioni NON possono essere vere per i seguenti non pochi e non trascurabili motivi:
1) – perché come abbiamo visto sono smentite addirittura da Capaldo in persona quando nega che sia mai esistito un identikit tracciato dal vigile o da altri nei giorni o addirittura nelle ore immediatamente successive al 22 giugno;
2) – perché sono affermazioni smentite dallo stesso Sambuco quando, interrogato da Martella, NON parla neppure da lontano di un suo identikit fatto né a botta calda né a botta tiepida né fredda. Lui l’identikit lo farà solo ed esclusivamente il giorno in cui Martella lo interroga o nei giorni immediatamente successivi, cioè due anni e quattro mesi dopo la scomparsa di Emanuela;
3) – perché agli atti processuali NON figura nessuna convocazione degli Orlandi da parte del “primo distretto di polizia”, tanto meno la mattina del 23 giugno 1983 successiva alla scomparsa di Emanuela, avvenuta il 22 sera vicino la scuola musicale Ludovico Da Victoria di piazza S. Apollinare. Quindi le parole del poliziotto riportate da Natalina NON possono essere state pronunciate;
4) – perché tale convocazione non solo non c’è stata, ma NON avrebbe nemmeno potuto esserci. Infatti, se è vero che Ercole e Pietro Orlandi già la sera del 22 andarono al commissariato di polizia in piazza del Collegio Romano, il più vicino a piazza Sant’Apollinare, per sporgere denuncia, è anche vero che NON ne fecero nulla perché dissuasi dal poliziotto di servizio. Anziché verbalizzare la denuncia e comunicarla agli altri commissariati e alle volanti nelle strade di Roma, il poliziotto di servizio si limitò a sorridere: “Sarà in giro con amici, la classica ragazzata estiva. Al più tardi domani mattina, ma torna. Come tutti. Una bella ramanzina magari può essere utile per evitare altri falsi allarmi in futuro”.
5) – A fare la denuncia per la scomparsa sarà invece proprio Natalina, la mattina del 23 giugno, presso il commissariato che si occupa di Città S. Pietro. Commissariato al quale la stessa Natalina torna di sua spontanea volontà nel pomeriggio dello stesso giorno per riferire che suoi congiunti hanno trovato due presunti testimoni, il poliziotto Bruno Bosco e il vigile urbano Alfredo Sambuco. Quindi è ancor più impossibile che sia stata la polizia a dirle il 23 giugno quello che sarà proprio lei nel pomeriggio di quello stesso giorno a riferire alla polizia.
Tutto ciò rende inevitabile il sospetto che la pista De Pedis sia stata costruita a freddo. Per quale motivo?
Ma i pasticci in fatto di identikit non sono finiti. Scartabellando tra gli articoli dell’83 si fa un’altra scoperta sconcertante: l’identikit del misterioso giovane che è stato visto aggirarsi nel bar nei pressi di Porta Pia della famiglia Gregori il giorno della sua inaugurazione – avvenuta qualche tempo prima che sparisse Mirella Gregori, a suo tempo scomparsa meno di un mese prima di Emanuela – mostra somiglianze con Pietro Meneguzzi, figlio dello zio Mario e impegnato fin da subito assieme a suo cugino Pietro Orlandi nelle ricerche su Emanuela.
Incuriosisce anche che nelle foto scattate poche settimane dopo la scomparsa della cugina, cioè in piena caldana estiva romana, Pietro Meneguzzi indossi un giubbotto jeans a maniche lunghe: che nascondono cioè le braccia. Mentre invece suo padre Mario e altri vicini a lui sono sempre in maniche corte. Molto probabilmente Pietro il giubbotto lo ha indossato come giacca per non presentarsi dal magistrato in maniche di camicia, visto che la foto è stata scattata in tribunale.
Scartabellando invece nelle carte giudiziarie ci si imbatte in un’altra circostanza incredibile. Nel febbraio 2006 il magistrato Italo Ormanni, che indagava sul mistero Orlandi, ordina la sbobinatura della telefonata del 28 giugno ’83 a casa Orlandi di un tale che dice di essere un barista, di chiamarsi Mario e di voler stornare eventuali sospetti da un suo amico. Ormanni ordina la trascrizione per farla leggere ad Antonio Mancini, ex della Banda della Magliana condannato per vari omicidi, e interrogarlo in merito, il tutto depositato in cancelleria il 26 aprile. Nel 2006 siamo in piena epoca “pista De Pedis”, esplosa con una telefonata anonima a “Chi l’ha visto?” del 2005 e rivelatasi infine una clamorosa “sola”, come chiamano a Roma il classico bidone. Non si capisce perché una telefonata del giugno ’83, ritenuta importante e sbandierata su giornali e televisioni, sia stata fatta trascrivere solo 23 anni dopo. Ma quel che fa cadere le braccia è il fatto che il tecnico incaricato della sbobinatura, il perito Sonia Pallotta, ha chiaramente messo assieme più telefonate, di persone diverse, compresa quella del famoso “Americano”, come fossero una sola. Ingenerando confusione nei magistrati, che stranamente non si sono mai accorti del pasticcio, e non pochi equivoci su giornali e televisioni.
Non si accorge di nulla neppure Capaldo quando nella mattinata del 18 aprile 2013 farà leggere la trascrizione, 42 pagine, al fotografo romano Marco Fassoni Accetti, il famoso “reo confesso” fasullo della scomparsa di Emanuela. Tanto meno se ne accorge, ovviamente, Accetti.
Per evitare di dilungarci troppo, di quest’altra strana storia conviene però parlarne in seguito con un apposito articolo.