ROMA – In attesa che la magistratura appuri se il flauto fatto trovare a “Chi l’ha visto?” sia o no quello di Emanuela Orlandi e che, contrariamente al solito, renda noto il risultato anche se negativo, vale certo la pena di notare alcune cose.1. Procurarsi un flauto della ditta Rampone e Cazzanidei primi anni ’80, cioè dello stesso tipo usato da Emanuela Orlandi e degli stessi anni anni in cui lo usava lei, non è affatto difficile.
Andando infatti su Google e digitando tra virgolette le parole “Flauto traverso Rampone e Cazzani” compaiono vari annunci di flauti di quel tipo e di quegli anni in vendita, e non solo tramite eBay e Kijiji: se ne trovano in vendita a Milano (uno per 132 euro, un altro per 198, un altro ancora per 200 euro), Udine (per 290 euro lo vende o lo ha venduto il signor Daniele Sguazzin), Palermo (per 300 euro), ecc.
Si scopre che alcuni sono stati effettivamente venduti, e sarebbe interessante sapere quando e a chi. Per esempio, risulta venduto su eBay il flauto traverso Ramponi e Cazzani catalogato come “l’oggetto 250742877214”.
2. Una volta comprato un tale flauto usato, contaminarlo con Dna degli Orlandi non è affatto difficile. Non c’è bisogno neppure dei lunghi appostamenti sotto casa di Pietro Orlandi come quelli della fotografa romana Roberta Hidalgo per procurarsi dai sacchetti della spazzatura materiali organici da far sottoporre ad analisi del Dna.
Basta seguire un Orlandi – e tra la madre, il fratello, le tre sorelle e i loro vari figli ce ne sono ormai molti – al bar, in autobus, al galoppatoio, a Messa o altrove, e far toccare loro “casualmente” un oggetto o meglio ancora raccogliere un fazzolettino di carta col quale uno di loro s’è magari pulito la bocca al bar o soffiato il naso per strada e strofinare il trofeo sul beccuccio del flauto: et voilà, il gioco è fatto.
Certo, per fare una cosa simile – francamente un po’ da maniaci – ci vuole la molla che ti spinga a farla. Ma come l’ha fatta la Hidalgo, che maniaca non è, lo può fare chiunque altro. E che ci sia molta gente interessata ad arrivare a fare cose simili lo dimostra l’accanimento con il quale da sempre si insiste a fabbricare piste fasulle. Per despistare o anche “solo” per provocare uno scoop clamoroso.
Del resto non è la prima volta. Lo stesso Pietro Orlandi ha affermato in un libro: “So chi ha rapito mia sorella”. E non è la prima volta che proprio a “Chi l’ha visto?” vengono fatte “rivelazioni” per scoop fasulli a base di grandi frottole: il caso forse più emblematico è quello di Maurizio Giorgetti, quello della spedizione navale in Turchia alla (vana) ricerca di Emanuela, che a Pino Nazio di “Chi l’ha visto?” è riuscito a rifilare una serie impressionante di balle, compreso l’inventarsi di avere subito un’aggressione in casa sua come rappresaglia di un membro dell’immancabile banda della Magliana per le “rivelazioni” proprio sul caso Orlandi e dintorni.
Per quell’aggressione i carabinieri hanno arrestato la figlia di Giorgetti e il fidanzato, ma a “Chi l’ha visto?” si sono ben guardati dal dirlo. Anche la “testimonianza” di Giorgetti, esattamente come il flauto di questi giorni, venne fatta acquisire ai magistrati. Che si sono però ben guardati dal perdere tempo dietro le sue strampalate “rivelazioni”.
Insomma, che sul caso Orlandi ci siano in ballo forti interessi, e di vario tipo, per mandare avanti quelle che fino ad oggi si sono rivelate false piste, è ormai chiaro come il sole. Sotto questo profilo sarebbe stato opportuno che il Corriere della Sera nel riferire il 5 aprile la faccenda del ritrovamento del flauto evitasse di scrivere, come invece ha fatto per supportare ancora una volta la tesi del rapimento, che il “sequestratore” di Emanuela fece ritrovare a suo tempo la sua tessera di iscrizione alla scuola pontificia di musica Ludovico Da Victoria.
Tutto quello che s’è saputo far ritrovare sono state infatti solo ed esclusivamente fotocopie della tessera, ma non la tessera: una volta la fotocopia di una facciata e un’altra volta la fotocopia dell’altra facciata. Fotocopie che, a differenza dell’originale, erano facilmente procurabili da più persone nella segreteria della scuola. E quindi utilizzabili per una montatura, come in effetti è stato, da parte di chi voleva fingere di avere davvero rapito la ragazza.
Come si vede, la prudenza è d’obbligo. Dopo tante “svolte decisive” andate a vuoto, non è proprio il caso di lasciarsi andare ancora a facili entusiasmi. Speriamo vivamente che il flauto sia quello giusto, e non l’ennesima tappa di questa sorta di interminabile caccia al tesoro, come l’ha definita una lettrice nel suo commento al mio articolo precedente.
Il ritrovamento del flauto, anche se fosse davvero quello di Emanuela Orlandi, di per sé però non dimostra nulla se non porta alla soluzione del caso. Se non permette cioè di scoprire finalmente che fine ha fatto Emanuela Orlandi e per mano di chi. Che si arrivi a chiarire il tutto lo speriamo anche per gli Orlandi, sottoposti a troppe docce scozzesi.
Però intanto abbiamo l’obbligo di far notare che chi vuole aiutare le indagini e la giustizia si rivolge ai magistrati o per essi agli organi di polizia e non a un programma televisivo e proprio a quello che oltretutto su questa vicenda non ne ha mai azzeccata una. Altrimenti è purtroppo legittimo l’amaro sospetto che non di aiuto alla giustizia si tratti, bensì di un “altro aiutino” allo spettacolo.
Ancora una volta non resta che aspettare.
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