Roma – Emanuela Orlandi e Mirella Gregori: Fabrizio Peronaci non perde un colpo nell’inseguire i meandri del caso e ne assesta uno anche di domenica con il mistero della
“127 finita nel Tevere”.
era il 23 giugno 1983, un’auto, una 127 appunto, finì nel Tevere, a Roma. Dentro, sostiene Peronaci, “c’era un manichino, fu un depistaggio”.
“È caccia alle prove”
aggiunge. Peronaci, che è un eccellente cronista, ha l’aria di divertirsi molto. Sa benissimo che sono tutte fantasie e lo fa capire, perché non vuole ingannare i suoi lettori. Ma sa anche che tra i suoi lettori ce ne sono alcuni che sono morbosamente, spasmodicamente interessati a ogni minimo dettaglio riguardante la misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi, quel 22 giugno di 30 anni fa.
Allora prima lancia il supertestimone Marco Fassoni Accetti ma poi ti avverte di andarci cauto e scrive:
“In corso verifiche sull’attendibilità di Marco Tassoni Accetti”.
Il supertestimone è diventato così
“L’enigmatico Marco Fassoni Accetti, fotografo e autore cinematografico, titolare di un grande spazio adibito ad eventi artistici i cui magazzini sono colmi di scenografie, colonne, statue, elementi mitologici e manichini (manichini, sì: ciò ha la sua rilevanza…) quanto ha detto di vero?”.
Marco Fassoni Accetti, ci ricorda Peronaci, è
“l’uomo che con 30 anni di ritardo racconta di essere stato un «telefonista» della vicenda Orlandi e di aver incontrato «molte volte» Emanuela, quali prove esibisce per escludere l’autocalunnia? Come sostanzia il movente, vale a dire la sua appartenenza a un «nucleo di controspionaggio» (formato anche da esponenti dei servizi segreti e della banda della Magliana), incaricato di compiere «lavori sporchi» per conto di ambienti vaticani interessati a condizionare la politica della Santa Sede?”
Ed è anche all’origine della eventuale
“aggiunta di un terzo giallo di cui ha già parlato – l’omicidio di Katy Skerl, la studentessa trovata strangolata a Grottaferrata il 22 gennaio 1984″.
Il colpo del giorno: riaffiora
“un enigma che all’epoca finì nei trafiletti di cronaca. Era il 23 giugno 1983, 19 ore dopo la scomparsa di Emanuela. Un pescatore, Carlo Lazzari, raccontò di aver visto «a valle del ponte della Magliana, alle 14.30, due giovani che si guardavano attorno con circospezione vicino a una Fiat 127, sopra la scarpata che sovrasta la sponda». Poco dopo, continuò il testimone, «ho sentito il rombo del motore con l’acceleratore bloccato e visto l’auto balzare in acqua. E’ in quell’istante – concluse, terribilmente impressionato – che ho notato un braccio penzolare dal finestrino posteriore». Quell’auto con un «probabile» cadavere fu cercata per settimane, ma l’ispezione del fondale fu ostacolata dalla corrente. Gli investigatori, sì, la collegarono al caso Orlandi: ma soltanto una decina di giorni dopo, quando la scomparsa di Emanuela deflagrò sui mass media (il 23 giugno il fatto non era pubblico e la polizia rassicurava la famiglia ipotizzando una «scappatella»)”.
Fabrizio Peronaci si interroga
“E invece oggi, 29 anni e 10 mesi dopo, cosa succede? Che Marco Fassoni Accetti «ripesca» dalla memoria la Fiat 127: «Era un sequestro sceneggiato, no? Non dimenticate che io sono un artista. E che con le scenografie, i manichini ho sempre lavorato…». Casi Orlandi, Gregori, Skerl… Il lavoro dei magistrati, ogni ora di più, somiglia a una gigantesca sciarada, resa ancor più sfuggente da «intossicazioni» investigative e sofisticati depistaggi”.