ROMA – C’è voluto del tempo, ma alla fine la richiesta di sequestro del libro è arrivata. Accompagnata da un’altra richiesta: quella del pagamento di ben 500 mila euro di danni. L’udienza davanti al giudice è fissata per il 3 luglio. Non resta dunque che aspettare per vedere come andrà a finire, se il libro verrà sequestrato o no e se i danni possono esserci stati o no. Stiamo parlando del libro “L’Affaire Emanuela Orlandi“, scritto dalla fotografa romana Roberta Hidalgo, pubblicato lo scorso 16 aprile da Edizioni Libreria Croce, e al quale Blitz ha dedicato quattro articoli.
Come abbiamo già scritto, il libro formula ipotesi quanto meno molto ardite, ma contiene alcune notizie interessanti, per le quali più che ordinare il sequestro i magistrati farebbero meglio a chiedere qualche delucidazione a Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela che per il sequestro e il pagamento dei presunti danni s’è rivolto al magistrato assieme a sua madre, Maria Pezzano vedova Orlandi, e a sua moglie, Patrizia Marinucci. Hidalgo sostiene di avere tenuto d’occhio per un paio d’anni con due suoi amici le abitazioni di Pietro, ricorrendo anche all’uso di una microspia per captare i dialoghi di casa e al recupero dei sacchetti della spazzatura domestica dal cassonetto vicino casa per controllarne e utilizzarne il contenuto.
Compreso un tampone mestruale Tampax presumibilmente della Marinucci per confrontarne il DNA del sangue con i capelli della madre della Marinucci e di una zia, Anna Orlandi, di Emanuela, capelli che la fotografa si è procurata in modo piuttosto disinvolto.
L’ipotesi più improbabile della Hidalgo è che Emanuela sia viva e abiti con suo fratello facendo finta di essere sua moglie. La signora Maria Pezzano si è adontata perché il libro, sulla base di alcune analisi dei DNA fatte fare a Parigi, formula l’ipotesi che Emanuela sarebbe in realtà non figlia sua, bensì della zia paterna Anna Orlandi, e figlia neppure dell’ormai defunto padre anagrafico Ercole Orlandi, marito della signora Pezzano, bensì di monsignor Marcinkus, negli anni ’80 presidente della sempre chiacchieratissima banca vaticana IOR e governatore del Vaticano.
Per giunta, Hidalgo avanza l’ipotesi che la zia Anna non sarebbe affatto sorella di Ercole, bensì figlia del principe Eugenio Pacelli diventato papa Pio XII. Il tono e il contenuto del ricorso urgente al magistrato presentato dagli Orlandi è durissimo. Vi si legge per esempio: “La ricostruzione contenuta nel libro è talmente “torbida” e paradossale da ingenerare in chi la legge per la prima volta un senso di profondo sbandamento e disgusto: in estrema sintesi, le famiglie Orlandi e Marinucci, in modo consapevole e consenziente, nasconderebbero al loro interno Emanuela, simulando nientemeno un rapporto di coniugio tra Pietro Orlandi e sua sorella o meglio cugina!”.
Il ricorso contiene comunque una notizia non vera: vi si lamenta infatti: “Come se non bastasse, la Hidalgo, arbitrariamente e senza alcun consenso da parte delle famiglie Orlandi e Marinucci ha asserito di avere apposto (ovviamente illegittimamente) delle “cimici” nelle diverse abitazioni, da cui avrebbe estrapolate delle asserite conversazioni inserite nel libro”. Non è affatto vero che nel libro si parli di “cimici” al plurale e in diverse abitazioni, si parla infatti solo ed esclusivamente di un’unica “cimice”, quella piazzata con un trucco ingegnoso nell’appartamento di Pietro Orlandi in via della Traspontina. E a proposito dei dialoghi carpiti, pur tralasciando tutti quelli ripresi dalla Hidalgo per dubitare della reale identità della moglie di Pietro, se davvero quest’ultimo ha sostenuto di potersi procurare con facilità “50 miliardi di lire” allora varrebbe senza dubbio la pena che i magistrati gli chiedessero qualche spiegazione. Visto anche che Pietro lavorava allo IOR e che lo IOR non è mai stato esente da sospetti e colpe.
Non a caso le lotte attuali nell’entourage di papa Ratzinger venute alla luce con lo scandalo del “corvo” Paolo Gabriele, il maggiordomo del papa che passava alla stampa e a non si sa chi altro pile di copie di documenti riservati, sono dovute alle manovre per avere il controllo dello IOR. Il cui statuto e i cui metodi non sono affatto parsi alle autorità bancarie degli Usa e della Comunità Europee al di sopra di ogni sospetto anche in tempi assai recenti.
Non sarebbe male chiarire anche la storia della zia Anna: non per sapere se fosse o no figlia del padre anagrafico, cosa che non ci interessa, ma per sapere tre cose ben precise: 1) perché gli Orlandi non ne abbiano quasi mai parlato pur vivendo con loro da una vita; 2) se è vero che è stata mandata via di casa – e perché – poco dopo la scomparsa di Emanuela; 3) come mai a suo tempo Anna ai magistrati ha detto di avere avuto una relazione con un uomo sposato che le aveva dato un nome falso, motivo per cui non poté essere interrogato e rimase fuori dalle indagini, mentre invece da testimonianze raccolte dalla Hidalgo e dai suoi due amici tale uomo aveva un cognome ben preciso, Giuliani, e a un certo punto con Anna ci andò ad abitare. Sorprende leggere nell’esposto che “quanto scritto nel libro compromette gravemente anche il diritto alla privacy ed il diritto all’oblio dei ricorrenti”, cioè soprattuto degli Orlandi. Sono infatti proprio gli stessi Orlandi – Pietro, sua sorella Natalina col marito Andrea Ferraris e sua madre Maria Pezzano – a non volere nessun oblio né troppa privacy dal momento che sono ormai presenti a rotazione come ospiti assidui in varie trasmissioni televisive, Pietro in particolare. E in quanto al diritto all’oblio pare non si rendano conto che esiste anche per gli altri, come dimostra da ormai molti anni il continuo tirare in ballo perfino gente morta 22 anni fa senza avere mai riportato una condanna.
Come andrà a finire? Nel ricorso viene ricordato che Il Giornale è stato a suo tempo condannato a pagare 50 milioni di lire a testa a Pietro, sua madre e sua moglie per avere pubblicato il 9 maggio 2004 un articolo che dava conto delle ipotesi della Hidalgo, non ancora messe per iscritto sotto forma di libro ma semplicemente al vaglio del criminologo Francesco Bruno. Appare francamente strano che si possa insistere a dare impunemente del rapitore o anche dell’assassino di Emanuela ora al Tale ora al Talaltro su basi di fatto inconsistenti e che si pretenda invece che gli altri non facciano neppure delle semplici ipotesi. Ipotesi peraltro almeno in apparenza un po’ più supportate da indizi delle accuse, dei sospetti e delle insinuazioni lanciate periodicamente da Pietro Orlandi. Da ultimo perfino contro don Piero Vergari, l’ex rettore della basilica di S. Apollinare dove è sepolto Enrico De Pedis, ritenuto da Pietro sulla base di una semplice lettera anonima del 2008 responsabile della morte di Emanuela per motivi sessuali anche se non specificati.
I commenti sono chiusi.