ROMA – Nel mistero di Emanuela Orlandi c’è un altro mistero, quello di Marco Fassoni Accetti, il fotografo regista e quant’altro auto accusatosi dallo studio tv di “Chi l’ha visto“, con occhio vigile alla provvidenziale prescrizione, di avere organizzato il rapimento di Emanuela Orlandi.
Non è un mistero tragico, quello di Marco Fassoni Accetti, perché lui è vivo vegeto e pimpante. Però merita continua osservazione.
Abbiamo dimostrato come può essersi procurato “il flauto di Emanuela” e dove può avere preparato l’exploit del suo auto accusarsi del “finto rapimento” sia di Emanuela Orlandi che della sua coetanea Mirella Gregori asseritamente per favorire una “fazione vaticana” contro un’altra cordata di monsignori ed eminenze, tutti prelati d’alto bordo all’ombra del Cupolone.
Ora possiamo azzardare anche come gli è nata la mania per i codici, con i quali a suo dire ha seminato il “doppio rapimento” e tutta una serie di azioni che avrebbe compiuto a corredo.
La musa ispiratrice è stata con tutta probabilità addirittura la contessa di Castiglione, la nobile quanto spregiudicata piemontese dell’Ottocento ai cui favori sessuali elargiti all’ambasciatore francese e all’imperatore francese Napoleone III si deve in non piccola parte l’unità d’Italia. Ma andiamo per ordine.
Per il film maker amatoriale romano Marco Accetti, nome d’arte con l’aggiunta del cognome materno Fassoni, che si è autoaccusato del doppio “finto rapimento”, dopo i giorni di gloria televisiva, regalatagli con generosità da “Chi l’ha visto?”, è subentrato il cono d’ombra provocato dalle risultanze negative sul pezzo forte del suo exploit, “il flauto di Emanuela” fatto trovare alla redazione di “Chi l’ha visto?”. Emanuela Orlandi, oltre al pianoforte e al canto corale, nella scuola di musica pontificia Ludovico Da Victoria studiava anche flauto traverso.
In attesa di conoscere forse a fine settembre o primi di ottobre la sua sorte giudiziaria – teste credibile o mentitore incallito? – il cono d’ombra di Accetti è diventato un sipario da quando Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, e “Chi l’ha visto?”, hanno fatto largo e adottato un nuovo “supertestimone”, l’ennesimo: l’ex mafioso e omicida pentito Vincenzo Calcara, secondo il quale la ragazzina vaticana è morta durante un’orgia “satanica” a base anche di droga.
Droga che lo stesso Calcara afferma di avere fornito a valigiate per esempio all’immancabile Paul Marcinkus, il monsignore a capo della banca vaticana IOR ai tempi di Papa Wojtyla e famosa anima nera d’Oltretevere da sempre tirata in ballo per scandali veri e presunti.
A chi gli chiede il motivo della sua scomparsa Accetti risponde baldanzoso che sta “lavorando al film sulle due scomparse” a suo dire organizzate da lui, ma sfuggitegli poi di mano.
Veniamo alla contessa di Castiglione. Nella sua ricca collezione di amanti figurava anche il re Vittorio Emanuele II, tampinato di lettere non solo d’amore, ma anche per avere informazioni riservate utili per lucrare in Borsa e legare meglio a se gli amanti più potenti. Con tutti la contessa aveva un carteggio più che abbondante. +
Ma con un occhio sempre molto attento alla riservatezza: la contessa con le sue conquiste più preziose usava infatti per prudenza vari codici, il cui significato era noto solo ai destinatari delle sue missive, a partire dal re, indicato con il codice “521”. Per esempio:
“B” significava “baci”;
“Bx” significava “baci” con annessi e connessi;
“E” significava “abbracci e carezze”;
“F” stava per sessione d’amore completa;
“Ff” stava per sesso fatto metà per passione e metà per convenienza;
“Pr” significava flirt non per passione o interesse, ma per vendetta;
“521”, lo abbiamo detto sopra, era Vittorio Emanuele II;
“2632” significava “andiamo a letto insieme”.
Insomma, nulla di più facile che un film maker e appassionato di intrighi storici come Accetti per inventare e seminare codici si sia ispirato proprio alla contessa di Castiglione. Anche se lui come interlocutori non aveva né re né ambasciatori, ma solo una “fazione” vaticana dai nomi fin troppo scontati.
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