Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: 5 perché i magistrati non gli credono

Emanuela Orlandi. Marco Fassoni Accetti: 5 perché i magistrati non gli credono
Donna che suona piffero. Foto di Marco Fassoni Accetti: secondo lui è quello che suonava Emanuela Orlandi

ROMA – La chiusura dell’inchiesta sul mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi slitta ancora. I cronisti addentro ai meandri dell’indagine ritenevano che sarebbe stato entro la fine di marzo. Invece a quanto pare si va ad almeno la prima metà del mese di aprile.

Come che sia, la realtà delle indagini riguardo la figura e la credibilità del “supertestimone” Marco Accetti non depone molto a suo favore. Abbiamo già scritto quali sono i motivi principali che ne minano la credibilità. Aggiungiamo ora altri motivi, ricavati dalle “100 prove” e dalle più recenti “rivelazioni” al telefono con Fabrizio Peronaci, il giornalista del Corriere della Sera che è tra i più attenti osservatori e costanti cronisti sul mistero.

– Una delle foto artistiche di Accetti ritrae sullo sfondo di quella che sembra una grotta una donna ripresa di spalle mente suona un flauto. A dire di Accetti, si tratta dello strumento di Emanuela Orlandi che lui ha fatto ritrovare a “Chi l’ha visto?” e quindi ai magistrati. Per dimostrare che lui ha detto il vero, Marco Fassoni Accetti ha chiesto che venga interrogata la modella. Ma cosa può testimoniare costei? Al massimo può riferire quello che le ha raccontato lo stesso Accetti, che quindi diventerebbe di fatto il testimone di se stesso…

– Tra le attività al servizio di una delle due fazioni vaticane che si combattevano all’ombra del Cupolone e del pontificato di Wojtyla MFA ha “rivelato” che c’è stata una produzione e raccolta di documenti compromettenti sulla vita e sui vizietti di una serie di prelati. Che fine hanno fatto queste carte? Ecco la risposta del cosiddetto “supertestimone” data ai magistrati nel novembre di due anni fa:

“Le abbiamo seppellite nel 1982-83 in scatole metalliche all’interno del sito archeologico Antica Galeria, a nord di Roma. Nel tentativo di recuperarle, ci sono tornato nel 1986 con il turco Celebi. Interrogatelo”.

Si tratta di Musa Serdar Celebi, capo dei turchi rifugiati in Germania, assolto nel processo-ter sul ferimento di Wojtyla da parte del suo connazionale Alì Agca, ormai soprannominato Ali Agca-cha-cha-cha per la miriade di versioni fornite sia sui suoi presunti complici e mandanti dell’attentato al papa sia su ciò che sarebbe successo a Emanuela Orlandi. Sono anni che Agca ha promesso agli Orlandi di “riportare a casa Emanuela entro l’estate di quest’anno”. S’è visto…
Per quanto riguarda i maneggi che Marco Fassoni Accetti avrebbe compiuto con Celebi c’è una domanda imbarazzante: in che lingua comunicavano tra loro, visto che il turco non parla l’italiano?

– Per quanto riguarda la disgraziata sera del 20 dicembre 1983, quando attorno alle 19:30-19:40 investì mortalmente il bel ragazzino uruguayano Josè Garramon, Marco Fassoni Accetti ha dichiarato che gli fu lanciato a bella posta contro il furgone da elementi “della fazione avversa” mentre stava

“andando con una mia amica tedesca bionda al camper con a bordo Emanuela Orlandi, situato nei pressi della villa del giudice Severino Santiapichi con l’intento di interrompere la forma di pressione in corso verso di lui e spostare altrove la ragazza”.

Santiapichi è il magistrato che si è occupato sia del processo ad Agca, per l’attentato a papa Wojtyla del 1981, che di altri importanti processi, compreso quello sul sequestro e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. A detta di Accetti, la consenziente Emanuela, dopo essere stata ospitata tre notti nell’istituto religioso di Villa Lante della Rovere a Trastevere, è stata messa in un camper, parcheggiato prima sul litorale, poi a Monteverde e in via Delle Fornaci, e a un certo punto piazzato vicino la villetta di Santiapichi. Perché tale trasloco? Per una qualche forma di “pressione” nei confronti del magistrato, peraltro mai specificata oltre che molto difficilmente immaginabile: che pressione può esercitare il parcheggiare un camper, con Emanuela o chi per lei, nei pressi di casa? Mistero.

Qui però le affabulazioni cozzano contro un altro muro: è inimmaginabile che la scorta di Santiapichi, e la continua vigilanza delle varie forze di sicurezza nei suoi confronti, non abbiamo mai notato, agendo di conseguenza, la stranezza di un camper fermo da giorni vicino la sua abitazione, stranezza ancor più strana visto che si trattava della fine di dicembre e non dell’estate. Tanto più che Marco Fassoni Accetti così ha descritto il fantomatico automezzo:

“Emanuela era alloggiata all’interno di un camper attrezzato come di turisti stranieri, con biciclette all’esterno”.

Si tratta comunque di un camper ballerino, perché Marco Fassoni Accetti lo pone a volte dalle parti di viale della Villa di Plinio, che da casa Santiapichi dista almeno tre chilometri, perciò è ancora più assurdo parlare di una qualche “pressione” esercitata nei suoi confronti. Senza contare che le guardie forestali, presenti in zona, non avrebbero certo lasciato che un automezzo così ingombrante se ne stesse parcheggiato nel pieno della pineta di Castel Porziano, contihua alla pineta di Ostia.
Incurante di queste quisquilie, MFA per quanto riguarda i minuti precedenti il suo investire il ragazzino Garramon ci tiene a far sapere:

“Prima andai nel piccolo piazzale dove c’è l’ingresso alla Villa di Plinio e dove parcheggiammo il camper attrezzato con biciclette e taniche dell’acqua per non destare sospetti. Poteva essere di turisti tedeschi venuti in Italia nel periodo di Natale. Dentro c’era Emanuela Orlandi con una nostra ragazza incaricata di controllarla. Io salutai tutte e due e me ne andai… Salii sul furgone con la giovane tedesca e poco dopo, in viale di Castel Porziano, ci fu l’incidente”.

Per quanto riguarda il dopo incidente, cioè il dopo avere investito mortalmente Josè, ecco cosa racconta il “supertestimone e reo confesso”:

“….io e la mia sodale nell’azione [cioè la “bionda tedesca”, ndr] ci dividemmo. Lei tornò al camper che era già stato spostato all’imboccatura tra viale della Villa di Plinio e viale di Castel Porziano e subito dopo fu allontanato definitivamente dalla zona, nel timore che potesse essere localizzato. La Orlandi venne trasferita nell’ex stabilimento cinematografico De Laurentiis, sulla via Pontina, dove trascorse la notte. Nella costruzione tra i due grandi teatri di posa c’era una scala esterna da cui si entrava facilmente, forzando una finestra, al primo piano. Lì c’è la sartoria e poi, ai lati di un lungo corridoio, i camerini. Ci si poteva dormire, ma alle 5 te ne dovevi andare, certo, nel timore dell’arrivo di qualche custode. Per questo dal giorno dopo la ragazza fu trasferita sul litorale, in una casa nelle pertinenze della criminalità romana”.

Ma le peregrinazioni di Emanuela in camper non sono ancora finite nonostante che il “finto sequestro”, che avrebbe dovuto durare “pochi giorni”, fosse già arrivato al sesto mese. Ecco infatti cosa racconta Accetti:

“Un mese dopo [e siamo al settimo mese del “finto rapimento per pochi giorni”, ndr], invece, quando fu ammazzata Katy Skerl a Grottaferrata, interpretammo questo fatto come una vera dichiarazione di guerra, e quindi decidemmo di trasferire la Orlandi all’estero, in Francia”.

La morte di Katy Skerl, trovata strangolata in un vigna, Accetti l’ha addebitata a un altro crimine della “fazione avversa” ( http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_aprile_26/emanuela-mirella-misteri-delitto-orlandi-212849923162.shtml ).

Strano però che Accetti non abbia mai denunciato alla magistratura quelli che a suo dire furono due delitti, l’uccisione di Garramon e quella della Skerl, compiuti dalla “fazione avversa”. Ma come ha fatto Accetti a sapere con certezza che Garramon è rimasto vittima di una tale “fazione”, che glielo ha lanciato a bella posta contro il furgone? Mistero. Come che sia, il “supertestimone e reo confesso” non si rende conto che col non fare nomi neppure per questi due asseriti delitti si qualifica di fatto come protettore di assassini, nonché protettore perfino della “fazione avversa”. Se i due omicidi sono stati compiuti dalla “fazione avversa”, come mai questa sua omertà protettrice dal brutto sapore di complicità di fatto?

– Che Accetti nelle sue “memorie” si sia ispirato alla attenta lettura dei giornali dell’epoca lo lascia pensare anche un altro particolare. Lui sostiene che chi scelse Garramon come vittima sacrificale lo fece perché:

“nei messaggi in codice poteva ricondurre a me in quanto io avevo frequentato lo stesso istituto, anche se molti anni prima. E perché la famiglia abitava all’Eur, a due passi dall’abitazione del signore della criminalità romana”.

La prima parte della “rivelazione” indica che la “fazione avversa” voleva incastrare Accetti come autore de mortale investimento di Josè. Ma allora è inspiegabile che la stessa “fazione” non lo abbia fatto arrivare alla magistratura, anche se solo in via anonima, le notizie utili per incastralo davvero. Per quanto invece riguarda la seconda parte della “rivelazione”, l’allusione a Enrico De Pedis è chiara, visto che a suo tempo l’asserito “signore della criminalità romana” è stato arrestato a casa di una sua amica in via Elio Vittorini, all’Eur, notizia arcinota perché diffusa dai giornali. Peccato però che De Pedis lì non ci abbia mai abitato…

Si impongono infine alcune domande imbarazzanti. Come è possibile che Emanuela nelle sue peregrinazioni non sia mai uscita dal camper? E se è uscita, possibile che non l’abbia notata nessuno e che con nessuno abbia parlato? Possibile che non abbia mai telefonato a nessun familiare, parente, amico e amica? Teniamo presente che secondo MFA Emanuela quando era a Villa Lante della Rovere se ne andò a passeggio tranquillamente per Trastevere… Sempre senza essere riconosciuta da nessuno, senza parlare con nessuno e senza mai parlare con nessun familiare o almeno farsi viva con loro con uno scritto. Ma se tale silenzio poteva avere senso nei primi giorni, visto che il “finto sequestro era per pochi giorni”, come è possibile che durasse ancora il 21 dicembre? Oltretutto ben sapendo Emanuela che i suoi erano disperati, visto che ne parlavano a iosa giornali e televisioni.
Si impone anche un’altra domanda imbarazzante: se, come sostiene Accetti, il “finto rapimento” doveva durare solo pochi giorni, come mai durava ancora a tutto il 21 dicembre? Cioè esattamente ancora 6 mesi dopo la scomparsa “consenziente”.
Altre domande ancora: Marco Fassoni Accetti sostiene che voleva farsi arrestare per “pilotare Agca” evitando che facesse nomi di complici e mandanti, ma mentre lui era in carcere per tale pilotaggio chi si occupava di Emanuela? Possibile che Marco Fassoni Accetti, rapitor fin troppo cortese, se ne sia fregato di saperlo? Se n’é occupata la “bionda tedesca”? Oppure qualcun altro? E come mai nessuno gli ha più detto dove l’hanno spostata dopo il trasloco “in Francia”? Se non gli hanno detto più niente, allora è chiaro che lo hanno fregato, usato e gettato via come un calzino bucato. Che senso ha, in tali condizioni, continuare a non fare i nomi di chi lo ha turlupinato? Accetti ha spiegato a magistrati e intervistatori che che la le mani legate e la bocca cucita per avere preso l’“impegno di non fare mai i nomi di nessuno”. Ma non si rende conto che stando così le cose, ammesso che dica il vero, a essere stato tradito sarebbe proprio lui per primo? E che la sua omertà equivale alla complicità in omicidi e scomparse varie?

– Infine, il particolare che ha fatto sorridere gli inquirenti:

“La lettera “A” notata da un testimone il 22 giugno 1983 sulla scena del finto sequestro della Orlandi, e cioè all’interno di una tracolla aperta per la Orlandi da un uomo poggiato a una Bmw di fronte al Senato, non era l’iniziale della Avon, produttrice di cosmetici, ma stava per Aeronautica. Si tratta di un oggetto che ho acquistato io stesso in un negozio-magazzino sito in via Tomacelli”.

Come è noto, il poliziotto Bruno Bosco ha dichiarato a botta calda a Giulio Gangi, buon conoscente degli Orlandi e da poco in forza ai nostri servizi segreti civili, di avere visto

“da una distanza di più o meno 20 metri la lettera A maiuscola stampata all’interno di un tascapane di tipo militare aperto da un uomo vicino a una BMW per mostrare a una ragazza quelli che parevano campioni di prodotti di bellezza”.

Si tratta della A che la mitologia ha fatto miracolosamente diventare la parola Avon, in modo da supportare l’ipotesi, assurta a certezza metafisica, che Emanuela per essere rapita sia stata prima irretita con l’esca di una proposta di lavoro saltuario sin troppo ben pagato proprio per la Avon. A parte il fatto che anche da meno di 20 metri è impossibile vedere cosa c’è stampato all’interno di “un tascapane di tipo militare” che viene aperto, non ha nessun senso che la A sia stampata dentro anziché fuori. La pubblicità si fa e l’appartenenza di un oggetto si specifica con scritte ben visibili a tutti: se nascoste, non servono a nulla. Ma poi: Aeronautica? Sì, ma quale? Militare? Civile? Mistero…
Il motivo per cui gli inquirenti hanno sorriso è che Accetti, cosciente o no, riguardo sia la A che il poliziotto Bosco non ha fatto altro che riportare alla lettera ciò che è scritto in un mio libro e ripetuto in articoli di Blitz che il “supertestimone reo confesso” ha ammesso con i magistrati di avere letto. L’unico particolare omesso è che da più o meno 20 metri il poliziotto non può avere visto ciò che dice di avere visto.

Come già successo in passato, Accetti accuserà Peronaci di avere capito male, fischi per fiaschi anche questa ciò che gli ha “rivelato” al telefono nei giorni scorsi. Certo però che è strano: perché MFA si accanisce a regalare così tante notizie da scoop a chi secondo lui capisce sempre fischi per fiaschi? O è Accetti che non sa spiegarsi bene e spesso e volentieri si contraddice nella fiumana delle sue “confessioni”?

Come che sia, gli inquirenti hanno passato al setaccio la vita e la personalità di Accetti anche per capire se poteva davvero lavorare per l’intelligence del Vaticano e far parte di una sua “fazione”. Il risultato è che il “reo confesso” pare abbia sempre avuto una vita fin troppo bohemien, con orari decisamente atipici, e sia piuttosto noto come disordinato e incapace di organizzarsi. Di conseguenza gli inquirenti sono piuttosto scettici che una qualche “intelligence”, specie se raffinata come si ritiene sia quella vaticana, possa mai averlo ingaggiato. Per giunta, per una così missione così delicata, importante e complicata. Perché correre il rischio che Marco Fassoni Accetti non riuscisse a spiegarsi bene con i suoi interlocutori? E che questi di conseguenza capissero già all’epoca fischi per fiaschi?

Nel frattempo l’unico che si dice certo del rinvio a giudizio del super super testimone Marco Fassoni Accetti per concorso nel doppio sequestro è il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci, le cui grandi certezze e anticipazioni di “svolte decisive” nel mistero Orlandi si sono però rivelate sempre eccessivamente ottimiste e purtroppo smentite dai fatti.

Per convincere i suoi amici e lettori di Facebook della bontà delle sue previsioni sul destino giudiziario di Marco Fassoni Accetti, Peronaci è arrivato a postare sulla sua e su altre pagine Facebook quello che ha definito “il dossier delle 100 prove risolutive del caso Orlandi”. 100 particolari che confermerebbero ad abundantiam la bontà delle “confessioni e rivelazioni” di Marco Fassoni Accetti. E per rendere più credibile il suo dossier Peronaci lo ha corredato con una sorta di copertina con tanto di foto di Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Roma, il magistrato responsabile dell’inchiesta giudiziaria sul mistero Orlandi: una trovata che di fatto induce il lettore a credere che il dossier sia quello degli inquirenti e non semplicemente il frutto delle deduzioni e convinzioni di chi l’ha scritto. La trovata non ha però impedito che le “100 prove risolutive” venissero accolte a palazzo di Giustizia con un’alzata di spalle e un sorriso da parte di chi è al corrente della realtà delle indagini.
Ora lo stesso Peronaci sulla propria pagina Facebook ha messo per iscritto che lui ha cura di evitare che gli inquirenti possano registrare le telefonate di Accetti quando questi lo chiama per nuove “rivelazioni”. Ecco infatti cosa dice Peronaci riguardo l’ultima telefonata con altre “rivelazioni” di Accetti che esordisce con:

“Pronto? Sono io… Stai a sentire…”.

Al che Peronaci rende noto che:

“Avevo esitato, pensando alla possibilità che la conversazione potesse essere intercettata dalle autorità inquirenti. “Aspetta, non è che hai il telefono sotto controllo?”, gli avevo chiesto”.

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