ROMA – Mistero Emanuela Orlandi e dintorni. Chi segue la vicenda che ha ormai più di 30 anni è in attesa della decisione del giudice per l’udienza preliminare Giovanni Giorgianni se archiviare o no le nuove indagini aperte nel 2005. Marco Fassoni Accetti pur avendo fatto di tutto per convincere i magistrati della Procura della Repubblica che è lui l’artefice di quelli che ha definito “i finti rapimenti” di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, a suo dire realizzati ”per conto di una fazione vaticana”, ha trascurato di aggiungere valorizzandoli come meritano i particolari forse più importanti per accreditarsi come davvero colpevole. Perché li ha taciuti?
1. Il “reo confesso”, pur avendone parlato per il libro “Il Ganglio” di Fabrizio Peronaci, ha nascosto o non adeguatamente valorizzato che lui all’epoca ha abitato in via Goito 24, cioè a meno di un chilometro da casa dei Gregori di via Nomentana 91, e che anche per filmare dei mediometraggi frequentava il Palazzo Massimo di corso Vittorio Emanuele II, zona, come vedremo meglio, della scomparsa della Orlandi. Accetti inoltre, che si sappia, non ha mai raccontato d’essere stato amico di don Angelo Arpa, il prete amicissimo di Federico Fellini e della sua dolce vita intesa sia come vita privata molto disinvolta e ben goduta sia come titolo del celebre film del famoso regista.
Padre Arpa era talmente amico di Fellini da avere scritto non uno, ma due libri per difendere e magnificare quel film, che all’epoca fece scalpore ed è passato alla storia. Uno dei due libri ha un titolo quanto mai sintomatico: “La dolce vita – Cronaca di una passione”. Tanta passione felliniana e la strenua difesa di quel film contro tutte le critiche feroci e le dure censure dell’epoca finì per procurare al sacerdote cinefilo i rimproveri del Vaticano.
C’è chi sostiene che Accetti non fosse estraneo, almeno come fotografo, al giro delle amicizie dello scrittore Alberto Moravia.
2. Sta di fatto che Palazzo Massimo si trova proprio sul percorso che a volte Emanuela Orlandi, uscita di casa dal Vaticano e passando per ponte Vittorio Emanuele II, faceva a piedi per andare e tornare dalla pontificia scuola di musica situata in piazza S. Apollinare, contigua a piazza Navona. Da notare che le ultime testimonianze certe parlano di Emanuela che non essendo riuscita a salire sull’autobus della linea 70 alla fermata di corso del Rinascimento – per scendere poi in corso Vittorio Emanuele II e prendere il 64 che l’avrebbe infine portata davanti all’ingresso del Vaticano – era tentata di andare a piedi fino alla più vicina fermata del 64. E il caso vuole che la fermata più vicina del 64 fosse proprio in corso Vittorio Emanuele, praticamente davanti a Palazzo Massimo.
3. Il caso vuole anche che non di rado Emanuela per andare o tornare dal Da Victoria usasse varcare invece il Tevere su ponte S. Angelo, percorrendo poi via dei Coronari. E che proprio in via dei Coronari ci fosse il laboratorio fotografico dove Accetti quanto meno nel 1983 usava fare, come da lui stesso ammesso, i servizi fotografici e i provini ai ragazzini e alle ragazzine che abbordava a bella posta in corso Vittorio Emanuele e dintorni. Ne è esempio il caso di Stefano Coccia, che, abbordato nell’83 quando aveva 11 anni, si è presentato ai magistrati per raccontare la proposta di un servizio fotografico e di un provino da realizzare nel laboratorio di via dei Coronari fattagli da Accetti, che lo fermò appositamente, in corso Vittorio Emanuele II vicino al ponte omonimo.
4. La madre di Mirella Gregori raccontò ai magistrati che aveva notato la figlia parlare spesso a un bar vicino casa, quello della famiglia De Vito al civico 81 della stessa Nomentana, con uno sconosciuto che per un certo periodo parve essere Raoul Bonarelli, il vice capo della Vigilanza del Vaticano che abitava nei paraggi, nella vicina via Alessandria. La donna però, nel confronto organizzato dal giudice istruttore Adele Rando in questura, non lo riconobbe. Bonarelli, indiziato di avere rapito sia Mirella che Emanuela, finì con vedersi archiviare accusa. Oggi c’è da chiedersi se quello sconosciuto non fosse invece Marco Accetti, che certo aveva più tempo di un vice capo della Vigilanza vaticana da passare di pomeriggio al bar.
Bonarelli inoltre era sposato, aveva due figlie e abitava a meno di 200 metri dal bar dei De Vito: era perciò difficilmente destinato a passare inosservato in quella sua frequentazione minorile e anzi correva il rischio di essere visto sia dalle figlie che dalla moglie.
PARTICOLARE IMPORTANTE, il bar dei De Vito si trovava proprio sulla strada che Accetti doveva percorrere per andare da casa sua in Via Goito al laboratorio fotografico di via Tripoli 22, con ingresso dal retro in via Chisimaio 24. Mirella era una ragazza molto bella, con lunghi capelli a cespuglio che la rendevano ancor più attraente e non la facevano certo passare inosservata. Accetti può averla notata mentre percorreva via Nomentana, in parte a piedi e in parte in autobus, così come può averla notata in autobus mentre lei tornava da scuola, cioè dall’istituto tecnico femminile Padre Reginaldo Giuliano di via dell’Olmata, poco distante dalla stazione Termini, o può averla notata al bar dei De Vito in caso di sosta per un caffè o altro.
Insomma, il caso vuole che Emanuela e Mirella siano sparite entrambe in strade almeno in teoria frequentate da Accetti. Che però questi particolari li ha taciuti accuratamente entrambi, pur volendo convincere i magistrati di essere stato lui il deus ex machina delle due scomparse.
5. Un amico di Emanuela, Angelo Rotatori, il 15 e 16 luglio 1983 ha tracciato ai magistrati l’identikit del volto di un uomo che lui ebbe l’impressione seguisse Emanuela mentre passeggiavano assieme. Il caso vuole che quel volto assomigli in modo impressionante proprio a quello del “reo confesso” Marco Fassoni Accetti. Stessa strana somiglianza con l’identikit tracciato il 14 luglio 1983 dalla signora Elvira Muzzi, madre di due amiche di Emanuela, Gabriella e Paola Giordani. La signora ha riferito di un giovane sui 25-30 anni che la sera del 9 luglio stava fermo a guardare con insistenza le finestre di casa sua e ha aggiunto che tre giorni dopo un giovane, forse lo stesso, tentò di fotografarla in strada a Borgo Pio, il quartiere di fronte al Vaticano che affaccia sulla stessa via di Porta Angelica dove affaccia la palazzina dove abita tuttora la madre di Emanuela.
Se Accetti voleva davvero convincere gli inquirenti delle sue responsabilità sui “finti rapimenti”, avrebbe dovuto “raccontar loro molto meglio anche i particolari che abbiamo qui esposto. Invece non lo ha fatto. Perché?
Già: perché?