Emanuela Orlandi fu rapita per ottenere libertà di matrimonio per i preti. Fu uccisa ed è sepolta nei sotterranei di Castel S. Angelo. Lo sostiene con forza Antonio Goglia, ex carabiniere e studioso del caso Orlandi, poche settimane dopo l’uscita del mio libro… Nel libro esamino le varie ipotesi, piste e deviazioni sulla scomparsa, 40 anni fa, di Emanuela.
Goglia ha inviato la seguente lettera al sostituto procuratore del tribunale di Roma Stefano Luciani, incaricato di recente della riapertura delle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi:
“Egregio Dott. Procuratore Stefano Luciani, avendo condotto studi approfonditi e basandomi su fatti concreti che al momento ritengo preferibile non porre in evidenza. Vi comunico che nei sotterranei del Castel Sant’Angelo, o Mole Adriana, altrimenti detta Mausoleo di Adriano, dietro una porta rinforzata dovrebbe trovarsi una stanza di circa 20 metri quadri. Nella quale dovrebbero trovarsi resti umani, compresi quelli di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. La struttura dovrebbe ricadere sotto l’ Autorità del Comune di Roma e perciò non dovrebbe essere difficile approntare un sopralluogo. Mi assumo tutta la responsabilità di quanto dichiaro e sono pronto a risponderne civilmente e penalmente”.
La missiva è firmata da Antonio Goglia, ex carabiniere e nostra vecchia conoscenza perché nel 2013 e nel 2014 lo abbiamo intervistato sulle sue teorie riguardanti il perché della scomparsa di Emanuela. Abbiamo inoltre pubblicato direttamente suoi interventi sullo stesso argomento, a partire dal 2012.
Domanda – Ho saputo che lei vorrebbe essere interrogato anche dal magistrato vaticano Alessandro Diddi, che conduce l’inchiesta vaticana sulla scomparsa di Emanuela, perché è convinto di avere elementi importanti o addirittura risolutivi. Quali sono questi elementi?
Risposta – Si, ho scritto anche al sostituto procuratore Stefano Luciani, al quale è stata affidata l’indagine dalla Procura della Repubblica di Roma. Si tratta di una notizia rivoluzionaria e, finalmente, fondata, che va riportata agli inquirenti nel più breve tempo possibile affinché finalmente l’annosa inchiesta inerente alla infinita sparizione di Emanuela Orlandi possa essere liberata dall’ enigma della confusione che da sempre l’avvolge.
D – E cosa ha scritto ai magistrati oltre alla lettera a Luciani?
R – Come dicevo, nella confusione generata dalle comunicazioni che, in quei mesi del 1983, giunsero alle redazioni giornalistiche e alla famiglia della scomparsa è possibile, e di questo ne sono sempre stato certo, distinguerne alcune attraverso le quali i sedicenti sequestratori ci parlano. Ho analizzato i testi disponibili da un punto di vista glottologico sperando di trovare un messaggio che fosse “intellegibile”.
D – E lei cosa ha trovato di intellegibile?
R – La telefonata del 4 settembre 1983 aveva un andamento che offriva numerosi appigli, molte esitazioni relativamente ad una citazione, ad un avvertimento che il telefonista riportava senza comprenderlo e che non riusciva a ripetere adeguatamente (“Mi hanno detto di riferirvi che nelle vicinanze della basilica di Santa Francesca Romana il pontefice celebra la Via Crucis”) tanto da richiamare il 6 settembre 1983 per meglio specificare ed operando infine un rinvio alla superiore capacità di intendere di eminenti personalità del Vaticano (“Nelle vicinanze della basilica di Santa Francesca Romana il pontefice celebrava con la ragione di stato la Via Crucis conducendoci alla scelta dell’inerente complesso e opportuno ambito per il contatto nostro del 20 luglio […] Attenzione, posso dire solo che la scelta della basilica è inerente alla scadenza. (…) Nell’attuale situazione i messaggi non sono indirizzati verso l’opinione pubblica ma a eminenti personaggi pubblici all’interno del Vaticano […] Le ricerche che proseguono nella zona della basilica di Santa Francesca Romana sono inutili, Emanuela non è lì. Il nome della basilica è un’indicazione cifrata per le autorità vaticane. C’è chi lo capisce.”) Così facendo l’ uomo e il suo suggeritore finirono per fornire molti elementi di studio. Si tradirono!
D – Goglia, si spieghi meglio
R – Mi segua. Concentriamoci sugli elementi che ci fornisce il telefonista: Il 20 luglio, La Via Crucis, La Basilica. L’uomo al telefono sottolinea che la scelta della basilica inerisce al 20 luglio. Ai nostri giorni, come nel 1983, la Via Crucis viene celebrata nei pressi della Basilica di Santa Francesca Romana in un periodo variabile del mese di aprile. Ma non è stato sempre così: prima della breccia di Porta Pia (1870), altro elemento di studio, era in uso la liturgia stazionale della Via Crucis: durante tutto il periodo quaresimale la Croce, condotta dal Pontefice, sostava per una settimana in ciascuna delle Basiliche dette appunto quaresimali.
D – Cosa lega il 20 luglio alla Via Crucis e alle Basiliche quaresimali.
R – E’ molto semplice spiegarlo avendo studiato la Storia dei Papi e della Chiesa: un avvenimento molto noto nella storia religiosa, riportato in vari testi: Giornale di viaggio, Montaigne; Storia dei Papi, Pastor. Si tratta del bandolo della matassa.
D – Addirittura?
R – Montaigne, trovandosi a Roma durante la Quaresima, racconta di aver appreso a proposito della Via Crucis che quel giorno la Croce stazionava presso la Basilica di San Giovanni in Porta Latina. Era venuto, inoltre, a conoscenza del fatto che in quella Basilica alcuni anni prima alcuni frati avevano fondato una strana confraternita: si maritavano l’uno all’ altro, maschio con maschio, durante una messa, prendendo la comunione, leggendo i brani del vangelo inerenti al matrimonio. I frati ritenevano che il fatto di procedere secondo la liturgia in uso per unire un uomo con una donna legittimasse anche le loro unioni. Il 20 luglio, la confraternita fu sciolta ed i componenti furono arrestati. Questo fatto storico era ed è assolutamente vivo e conosciuto ed è stato oggetto di un approfondito saggio del 2016 dello storico inglese Gary Ferguson che riporta persino gli atti processuali. La comprensione di questo richiamo effettuato dal telefonista ci da modo di discutere in maniera diversa sulla natura delle richieste indirizzate al Vaticano e di meglio comprendere il contenuto delle stesse.
D – Lei mi parlava anche di un secondo elemento che non lascerebbe dubbio alcuno circa le richieste dei sequestratori e, quindi, del movente del sequestro Orlandi ed anche Mirella Gregori. Che lei ritiene collegati. E’ corretto?
R – Assolutamente corretto. Ma mi permetta di illustrare il secondo elemento: come illustrato i sedicenti sequestratori alludono alla celebrazione di matrimoni ed alla legittimazione degli stessi. Quest’ ultimo concetto, tuttavia, com’ è noto, nella Chiesa Cattolica è inaccessibile ai religiosi. Mi spiego: il ricevere gli ordini sacri o il farsi religioso impedisce il matrimonio come previsto dal canone 1058 del previgente Codice Canonico Benedettino (1917) e confermato dall’ attuale Codice di Diritto canonico del 1983, anno dei sequestri, ancora all’ articolo 1058.
D – Dunque?
R – Dunque, com’ è noto, i sequestratori, durante la telefonata dell’ 8 luglio 1983 richiesero l’ attivazione di una linea diretta con il Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli “usufruibile mediante il numero di codice stabilito” per veicolare le loro richieste e condurre le trattative inerenti all’ ostaggio. A questa linea fu dunque assegnato il numero del centralino analogico vaticano 158 indicato dai sequestratori. Si tenga presente che i numeri interni dell’ epoca non potevano superare le tre cifre. Un numero mai ritenuto casuale e che, secondo la mia tesi, identifica senza ombra di dubbio il canone 1058 dei Codici di di Diritto canonico dove si impedisce il matrimonio dei religiosi imponendo il celibato sacerdotale.
D- Ripeto la domanda: dunque?
R – Pertanto, non vi è dunque alcun ragionevole dubbio nel ritenere che il movente dei sequestri e la richiesta dei sequestratori al Pontefice fosse l’abolizione del celibato sacerdotale. Una questione assolutamente interna alla Chiesa Cattolica tanto impronunciabile quanto la pedofilia e la pederastia che ha contribuito al silenzio più totale mantenutosi sino ad ora e che possiamo adesso squarciare grazie anche al vento nuovo che soffia sulla Santa Sede, al nuovo corso inaugurato da Sua Santità Papa Francesco.
D – Ipotesi totalmente nuova. Fermo restando che NON c’era nessuna linea diretta tramite il codice 158, subito reso noto dall’ANSA e da vari giornali. Chi chiamava in Vaticano se voleva parlare col Segretario di Stato, monsignor Agostino Casaroli, doveva scandire alla suore del centralino quelle tre cifre. Cosa che poteva fare chiunque.
R- Io spero che venga colta l’importanza di quanto sostenuto poiché la “tecnica del giavellotto” ha fatto continuamente deragliare eminenti studiosi; perché dopo quello del flauto credo che sia in atto un nuovo depistaggio e soprattutto perché questa è l’ultima occasione di trovare la verità. Commissione parlamentare, nuove indagini: tutto inutile se la ricerca non è correttamente indirizzata.
D – Pietro Orlandi ha indicato al magistrato Diddi i nomi di 28 persone da interrogare. Lei quanti e quali nomi chiederebbe che venissero interrogati? Ci indichi ogni singolo nome e di ognuno spieghi perché e su cosa vorrebbe fosse interrogato.
R- Ho fatto di tutto per segnalare al signor Orlandi la necessità di fare riferimento alle mie conclusioni, ma non ha voluto darmi ascolto. In questo modo, con 28 persone da interrogare ed ulteriori depistaggi, non sapremo mai la verità. Nicotri, lei e gli editori dovete aiutarmi a diffondere questa intervista. Non ho nessuna persona da indicare. Ho motivo di ritenere che nella curia romana sia ben noto quanto da me sostenuto, ma che non se ne possa parlare. La notizia della rivelazione dell’abolizione del celibato sacerdotale quale motivo dei sequestri darà, a mio parere, modo a tanti di esprimersi liberamente sui fatti anche grazie ad un’azione finalmente più lucida e mirata degli inquirenti.
D – Come ha maturato le sue convinzioni? Quale è stato il primo elemento che l’ha poi portata a sviluppare gli altri?
R- Come dicevo in precedenza, ho maturato le mie convinzioni affrontando i testi ed ascoltando le registrazioni telefoniche, tentando in qualche modo di penetrare idealmente lo spazio ed il tempo che mi separava dal telefonista. Il primissimo elemento sul quale mi sono concentrato nell’ anno 2008 è stato il fischio del treno che si ascolta durante la telefonata dei sequestratori del 5 luglio 1983.
D – Desidera concludere riassumendo il succo di quanto lei sostiene o aggiungendo comunque qualcosa?
R- L’abolizione del celibato sacerdotale costituiva la condizione per la liberazione di Emanuela Orlandi e nel contempo il movente del sequestro di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Il quadro indiziario è inequivocabile e se davvero “Vogliamo la verità su Emanuela Orlandi” dobbiamo avere il coraggio di reimpostare l’ indagine sottraendoci al gioco dei depistatori. Se questo sarà compreso avremo altre importanti verità. Faccio un appello: chiedo a tutti coloro che desiderano fare luce di diffondere questa intervista con ogni mezzo anche tra amici, colleghi e parenti.
D – Ha dei nomi da suggerire come testimoni da interrogare o comunque come persone se non informate sui fatti almeno utili da interrogare per inquadrarli e indirizzarli meglio?
R- Vede in questi anni ho compreso che il depistaggio approfitta di qualsiasi parola o, ancora di più, nome. Per cui preferisco evitare di offrire appigli. Dico solo che quanto sostengo è ben noto a tutti nell’ ambito curiale ancorché strenuamente taciuto, e che la lente di ingrandimento resta puntata sul Camposanto Teutonico, da sempre oggetto della mia analisi, non tanto in quanto cimitero, ma in quanto ambito di attività “progressiste” e punto di riferimento.
D – “In quanto ambito di attività “progressiste” e punto di riferimento” di chi? Di una associazione? Di una congregazione? Quale?
R – Attività “progressiste” di un movimento che, in quegli anni, possiamo considerare trasversale alla Chiesa cattolica al quale aderivano religiosi di ogni ordine e grado che desideravano portare nella Chiesa il rinnovamento che sin dal dopoguerra si era prodotta società civile mirando in particolar modo, come abbiamo detto, all’ abolizione del celibato sacerdotale. Volendo indicare un ordine in particolare che guidava la volontà di cambiamento possiamo certamente indicare quello dei Gesuiti il cui Generale Arrupe fu accusato dall’ allora Pontefice di eccessiva mollezza e condiscendenza rispetto agli atteggiamenti modernisti della Compagnia di Gesù.
D – Avrebbe delle perquisizioni e magari anche dei sequestri da suggerire al magistrato?
R- Vorrei in particolare che i magistrati non dimenticassero che esiste del materiale fotografico che andrebbe ricercato ed esibito al grande pubblico. Per il momento è meglio glissare.
D – Concludendo Lei mi ha detto che pensa che Emanuela sia deceduta e che suppone di conoscere il luogo della sua sepoltura.
R- Esattamente, suppongo che la salma della ragazza possa trovarsi dove guarda l’ angelo e cioè all’ interno del Mausoleo di Adriano che, molti lo hanno dimenticato, altro non è se non un mausoleo funebre collegato allo Stato del Vaticano attraverso il corridoio fortificato del passetto.
D – Mi scusi, ma gli angeli di Castel S. Angelo sono due. Uno è al vertice dell’edificio fin dal 1753, ed è l’angelo in bronzo opera di Peter Anton von Verschaffelt. L’altro, in marmo e con le sole ali di bronzo, opera di Raffaello di Montelupo, è nel cortile dell’edificio: fino al 1753 era sulla sommità, poi è stato sostituito dall’angelo di bronzo e sistemato nel cortile.
R- Mi riferisco all’ angelo che si trova sulla sommità dell’ edificio che, nell’ atto di rinfoderare la spada, inquadra con lo sguardo l’ area sottostante, tutta interna alla fortezza, ed in particolare l’ accesso ai sotterranei.
D – Ma per farsi capire non sarebbe stato meglio dire chiaro e tondo cosa volevano anziché utilizzare codici dal significato criptico, non sempre immediato e quindi equivocabili? I codici sono la mania del “reo confesso” Marco Fassoni Accetti e del giornalista Fabrizio Peronaci, ma non hanno mai trovato nessuna conferma utile per le indagini.
R – Un’ ottima domanda, Nicotri. In effetti il codice dettato dagli stessi sedicenti sequestratori che serviva, come abbiamo detto, a richiamare senza citarlo l’ oggetto della loro pretesa, cioè l’abolizione del celibato sacerdotale, ha dato la stura a un filone letterario particolare, di genere che si può definire fantasy, nel quale tutti coloro che a diverso titolo sono intervenuti per tentare di interpretare i fatti si sono sentiti liberi di dare ampio sfogo all’ immaginazione. Sentiamo, invece, dalla viva voce dei rapitori che quel codice non è un numero casuale, bensì serve a fare comprendere immediatamente chi sono e cosa vogliono: siamo il gruppo oltranzista, abolisci il celibato sacerdotale, canone 1058, oppure uccidiamo Emanuela Orlandi. Nello stesso tempo, a mio parere ed anche secondo il responsabile del SISDE Vincenzo Parisi, l’ interlocutore di Casaroli e della famiglia Orlandi è un religioso che rappresenta una comunità cattolica sottoposta all’ autorità papale e che quindi ha qualcosa da perdere.
D – Nel 2012 le ho fatto pubblicare su blitzquotidiano.it il suo intervento con il quale partendo sempre dal codice 158 arrivava alla conclusione che Emanuela era stata rapita per fare eliminare la tortura sui prigionieri dalle leggi e dalle pratiche brasiliane.
R – Si è vero. Innanzitutto la ringrazio per avermi sempre dato modo di pubblicare le mie teorie. In effetti, sempre partendo dall’ evento che coinvolse i frati di San Giovanni in Porta Latina del 20 luglio 1578, mi concentrai soprattutto sulle tremende torture a cui furono sottoposti i malcapitati, successivamente impiccati e bruciati. Immaginai che si volesse fare riferimento alle torture a cui andavano e vanno incontro i missionari che si spingono in territori dove vigono regimi autoritari e di cui la Chiesa di Roma talvolta si disinteressava. In particolare, anche io in maniera fantasiosa, ma razionale, feci riferimento all’ articolo 158 del Codice del Processo Penale Brasiliano vigente ai tempi della dittatura che prevedeva la chiusura in manicomio per i dissidenti. Fui incoraggiato su questa strada anche da un riferimento alla gruccia di pappagallo, tortura brasiliana chiamata “o pau de arara”, citata in una lettera che i sequestratori volevano si attribuisse a Emanuela Orlandi.