Fassoni Accetti, maledetto 1983: Orlandi Gregori Garramon…

Fassoni Accetti, maledetto 1983: Orlandi Gregori Garramon...
José Garramon fu investito e ucciso da Marco Fassoni Accetti nel dicembre del 1983 a Roma. Il processo si chiuse in via definitiva con la condanna per omicidio colposo. Un nuovo processo sembra impossibile

ROMA – Mentre Marco Fassoni Accetti ha avviato, consenziente, la procedura che dovrebbe portarlo alla perizia psichiatrica, nell’ambito della istruttoria a suo carico per calunnia e autocalunnia, ultima coda del caso Emanuela Orlandi, Maria Laura Garramon, madre di José Garramon, ucciso a 13 anni, nel 1983, da Fassoni Accetti, spera di riaprire il caso della morte del figlio. Il responsabile della quale, in un primo tempo imputato di omicidio volontario, è stato poi condannato per omicidio colposo, cavandosela con meno di 2 anni in galera

Fu un 1983 maledetto, se si crede, cosa che i giudici non hanno fatto, anzi, a Marco Fassoni Accetti: rapimento di due minorenni a primavera, uccisione di un minorenne a Natale. Per le due ragazze, Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, i giudici di Roma hanno già escluso la resonsabilità di Fassoni Accetti.

Per l’uccisione di Josè c’è una sentenza di tribunale, anche se per un reato meno grave di quello ipotizzato all’inizio. E per un nuovo processo sembra proprio non ci siano le condizioni, visto che Accetti è stato condannato con sentenza definitiva passata in giudicato. Come sanno i lettori dei gialli di Perry Mason e come dicono i giuristi, “ne bis in idem”: non ci può cioè essere un secondo processo per lo stesso reato per il quale si è già stati giudicati in via definitiva

Diverso sarebbe il caso in cui Fassoni Accetti, in un impeto di ricerca di visibilità, si autoaccusasse non solo di avere partecipato alla organizzazione dei rapimenti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, avvenuti sei mesi prima della morte di José Garramon, cosa per la quale è stato invece assolto e accusato di autocalunnia, ma anche di avewre proprio ammazzto lui le due ragazzine. Anche se alla fine costretti a proscioglierlo un’altra volta e a ridenunciarlo per autocalunnia, i giudici dovrebbero quanto meno aprire un nuovo procedimento penale contro il redivivo Raskolnikov sub specie Fassoni Accetti.

Siamo nel terreno dell’irreale, ma sento nell’aria formarsi un nuovo turbine mediatico. Chiuso, almeno per ora, il caso Orlandi, ho la sensazione di una irresistibile spinta a un sequel, centrato su Fassoni Accetti e José Garramon. Sarebbe un turbine solo mediatico, perché non mi pare ci siano fondamenti giuridici. Ma “the show must go on”, si sa, e l’animo umano è imprevedibile e ingovernabile.

Stimolata dal nostro articolo dello scorso 12 ottobre, Maria Laura Garramon ha scoperto un vecchio verbale di interrogatorio e dichiarato al Corriere della Sera che Marco Fassoni Accetti, l’uomo che verso le 19:30 del 20 dicembre 1983 investì e uccise il suo figlio 13enne Josè Garramon nella pineta di Casteporziano, disponeva di una casa in via Curzio Malaparte, zona Laurentino. Vale a dire, a non più di un chilometro dalla casa dei Garramon in zona Eur in viale dell’Aeronautica. Quindi – proprio come Blitz ha già scritto a ottobre – potrebbe non essere vero che Fassoni Accetti per andare nella pineta sia partito da molto più lontano, da piazza di S. Emerenziana, nel quartiere Africano.

Fassoni Accetti ha evitato la condanna per omicidio volontario ed è riuscito ad essere condannato solo per omicidio colposo – 18 mesi di carcere, più 4 per omissione di soccorso – proprio perché asserendo di essere partito dal quartiere Africano, che è dall’altra parte di Roma, attorno alle 19 non potrebbe avere avuto il tempo di passare dall’Eur, per  caricare sul suo Ford Transit José Garramon ed essere arrivato nella pineta già verso le 19:30.
I magistrati del processo non sono stati in grado di confutare quanto asserito dall’imputato, ma il discorso cambierebbe, e l’alibi  crollerebbe, se si potesse dimostrare che Accetti è partito invece proprio da via Malaparte.

La signora Garramon nella sua tardiva rivelazione non sa dire quale fosse il numero civico dell’abitazione in via Malaparte perché si basa su quanto dichiarato dal fotografo quando venne arrestato, la mattina successiva al giorno dell’investimento di Josè. Fassoni Accetti disse che era domiciliato in via Malaparte nell’appartamento della Nuova Cooperativa Oasi (di suo padre Aldo), ma che non ne ricordava il numero civico. Strano che non ne ricordasse il numero civico e che fornisse come numero di telefono di via Malaparte quello in realtà di piazza S. Emerenziana, 8394815, che infatti appare nel verbale assieme all’indicazione, decisamente inesatta, che Accetti fosse un impiegato della cooperativa. Comunque il numero civico era il 33, come si legge nel citato articolo di Blitz.
Per parte sua però il diretto interessato nega tutto e spiega:
“Non ho mai dichiarato nel primo interrogatorio dei carabinieri, di abitare e provenire dalla mia abitazione al Laurentino. Il verbale in questione lo conferma. Ed esiste anche un verbale di perquisizione della stessa dimora, in cui i carabinieri dichiarano che la casa è assolutamente vuota, priva di mobilia e mai abitata, e che lo strato di polvere osservato aprendo la porta dimostra che nessuno ha calpestato il pavimento da svariato tempo. Io mi alternavo in quel tempo tra le due abitazioni di Via Goito e S. Emerenziana, mai abitato al Laurentino, pur essendo il proprietario di tale appartamento”.
Non c’entra nulla e siamo nel regno dell’assurdo, ma gli amanti delle coincidenze incredibili non possono non notare che la abitazione di via Goito, non fosse tanto lontana da quella di Mirella Gregori, sedicenne scomparsa a Roma tre settimane prima di Emanuela Orlandi: particolare di una certa suggestione visto che è lo stesso Accetti ad essersi accusato – sia pure inutilmente – di avere organizzato la “scomparsa consenziente” di entrambe le ragazze per conto della famosa sua “fazione vaticana”, della quale nessuno mai ha trovato traccia. Anche riguardo la scomparsa delle due ragazze si trova dunque un’abitazione dell’investitore di Josè vicina a una delle sue “vittime”, la Gregori, oltre che un laboratorio fotografico e delle strade da lui assiduamente frequentate  contigue o eguali a quelle percorse dall’altra sua “vittima”, la Orlandi, quando andava e veniva dalla scuola di musica che frequentava in piazza S. Apollinare.
Intanto per Marco Fassoni Accetti ha preso il via la procedura per la perizia psichiatrica. Nonostante il 5 febbraio, quattro giorni prima, avesse spavaldamente dichiarato che non ci sarebbe andato
“perché è solo un’inutile perdita di tempo”,
Fassoni Accetti, “reo confesso” dei “sequestri consenzienti ” di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, ha preso parte senza sollevare obiezioni all’incidente probatorio che potrebbe portare alla perizia psichiatrica chiesta dai magistrati per appurare se è o no in grado di intendere e di volere. Oltre che di reiterare i reati di calunnia e autocalunnia dei quali è accusato.
L’incidente probatorio è consistito in un colloquio di tre quarti d’ora nello studio del criminologo, psichiatra e psicoterapeuta Stefano Ferracuti. A parlare – di sé a partire dalla propria infanzia – è stato quasi sempre Accetti. Alla fine il suo avvocato Gianluigi Guazzotti ha ribadito quanto ci aveva già dichiarato venerdì 5, e cioè che farà notare ai magistrati che la richiesta di perizia per sapere se il suo assistito potrebbe reiterare i due reati contrasta col codice penale. Prossimo incontro periziale, l’1 marzo.

 

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