Fisco. Da Cortina ai cinesi, contro le “Gangs di New York”

I controlli a tappeto della Guardia di Finanza a Cortina d’Ampezzo o nei negozi di Roma o altrove sono i benvenuti, almeno da parte di tutti cittadini italiani che le tasse le pagano.

C’è però più di un motivo di perplessità. Uno è che sarà interessante vedere come i controlli in massa di Cortina d’Ampezzo e Roma possano essere replicati per esempio a Napoli, Reggio Calabria e Palermo, come del resto in qualunque città della Campania, Calabria e Sicilia: come sarà possibile organizzare le “operazioni scontrino fiscale” in città e regioni dove da sempre comanda, e sempre più, la criminalità organizzata alla faccia dell’intero Stato, Finanza compresa? Anzi, vi comanda al punto da estendere i suoi investimenti e annessi tentacoli ormai anche a Nord.

Altro motivo è che, oltre alle regioni dove la malavita ingrassa beata, ci sono interi pezzi di varie città italiane in mano a comunità di immigrati, non sempre adeguatamente integrati e in regola anche con le leggi, i diritti e i doveri, compreso il fisco. Il caso più eclatante è quello delle comunità cinesi, presenti e bene organizzate come mondi a parte a Milano, Roma, Ancona, Prato, Torino, Firenze, Napoli, Brescia, Cuneo, Mantova, Modena, Reggio Emilia, Trieste, Udine, ecc.

La rapina del 10 gennaio a Tor Pignattara, a Roma, finita con l’uccisione di Zhou Zeng e della sua figlia neonata Joy, ha inaspettatamente portato alla luce un traffico di valuta, frutto di risparmi di immigrati, verso l’estero, presumibilmente verso la Cina. Verso cioè i parenti degli immigrati che in Italia hanno trovato il modo di lavorare, sviluppare anche attività redditizie, magari solo arrangiarsi e mettere assieme risparmi più o meno cospicui da mandare a casa. Non dimentichiamo che uno degli elementi che hanno innescato il boom italiano del dopoguerra sono state le rimesse in valuta pregiata, soprattutto dollari, dei milioni di nostri connazionali emigrati quasi ovunque nel mondo, negli Usa, Germania, Belgio, Francia, Australia, Sud America…

Lo stesso è successo e succede in tutto il mondo ex comunista, dall’Europa dell’est al Vietnam.

Ben vengano anche gli immigrati cinesi, che però sono ancora più benvenuti se anche loro si mettono in regola col fisco. Non solo con lo scontrino, che in effetti non manca quasi mai, dei molti ristoranti e dell’enorme numero di negozi e negozietti cinesi presenti in quasi ogni città, ma anche con tutta una serie di attività produttive, economiche e finanziarie che in qualche modo esistono, decisamente robuste, ma sono sempre invisibili. Oltre che impenetrabili.

Fonte perciò anche di episodi di malavita, segnalati in primo luogo proprio dall’associazione Associna della comunità cinese italianizzata. E’ infatti nel sito di Associna, www.associna.com , che l’8 dicembre 2006 troviamo appelli in lingua italiana alla autorità perché combatta e debelli anche la malavita cinese in Italia, che danneggia l’intera comunità e la sua integrazione. Per esempio, è interessante leggere quanto segue:

“Dal favoreggiamento della prostituzione alle rapine, tutti a danno dei connazionali. Chiediamo fiducia nelle istituzioni, che possano fermare questi criminali che danneggiano tanto la comunità cinese.

“Parliamo dei violenti, di coloro che non hanno rispetto per il prossimo, delle mele marce delle società. Anche nella comunità dei cinesi in Italia si è sviluppata questa piaga.

“Sono notizie recenti quelle su un gruppo di giovani ragazzi cinesi di Prato che hanno costretto tre connazionali a prostituirsi, riducendole in stato di schiavitù, e la rapina ad una erboristeria cinese di Firenze da parte di 5 cinesi sempre di giovane età, finita con la morte di uno di loro e l’arresto dei rimanenti.

“Queste, come altre vicende, sono caratterizzate dal fatto che i criminali cinesi se la prendono generalmente con i propri connazionali: lo fanno perché sono spesso persone poco integrate, non conoscono né la lingua né la società italiana e quindi preferiscono agire nella comunità cinese, dove riescono a muoversi meglio.

“Dall’altra parte le denuncie scarseggiano, a volte perché le stesse vittime sono clandestini e denunciando i crimini subiti rischierebbero di essere arrestati e rimandati in Cina, altre volte perché si ha paura di ritorsioni o non si conoscono bene le strutture e la legislazione italiana.

“L’impressione dei cinesi residenti in Italia è che questi delinquenti siano sempre i soliti gruppetti di giovani venuti dalla Cina solo per divertirsi. Ragazzi che non hanno nessuna voglia di lavorare, spesso tossicodipendenti e per questo bisognosi di denaro per acquistare la droga e, a differenza della maggior parte degli immigrati, non fondano la loro presenza in Italia nel sacrificio del lavoro”.

Il 24 febbraio 2009, cioè poco più di due anni dopo questa denuncia di Associna, un commando formato da una decina di malavitosi cinesi ha fatto irruzione all’interno del locale milanese Parenthesis, dove si stava svolgendo una festa privata tra cittadini cinesi, ed ha ucciso a colpi di machete Limin Hu, considerato il boss della mafia cinese di Torino. Nonostante avesse appena 22 anni, Limin Hu risultava coinvolto nell’omicidio del titolare del ristorante cinese “la Cascata” di Sesto S. Giovanni , avvenuto il 30 dicembre 2006, e in un traffico di armi tra Cuneo e Milano. Se Limn Hu di anni ne aveva 22, ne aveva appena 16 il suo amico Wei Zhou quando nel 2003 venne gravemente ferito con una mannaia perché stava diventando il boss dello spaccio di droga nelle discoteche etniche meneghine.

Wei Zhou finirà ucciso, insieme con un altro cinese, il 27 aprile 2007 nella Chinatown milanese, vera città nella città cresciuta a dismisura dopo l’arrivo, negli anni ’20, in questa zona allora di periferia dei primi cinesi, venditori ambulanti di cravatte. Ora la fetta di Milano tra Via Paolo Sarpi, Via Bramante e Via Niccolini è di fatto una città cinese, diventata tale grazie all’acquisto su vasta scala di appartamenti, di norma pagati in contanti e a prezzi anche superiori a quelli di mercato. Qualcosa di simile è successa a Roma nella zona dell’Esquilino, dove è sorta una miriade di negozi e magazzini tutti uguali, e tutti non sempre pieni di clienti, tanto da far pensare che si tratti spesso in realtà di copertura a riciclaggio di danaro proveniente necessariamente da attività illegali.

Nel 2008 s’è visto che lo Stato italiano nella Chinatown milanese ha rinunciato a esercitare la sovranità. La popolazione cinese scese infatti in piazza per difendere una connazionale che una pattuglia di vigili urbani voleva multare perché aveva parcheggiato in seconda fila. La pattuglia venne circondata dalla folla, con gruppi di cinesi che saltavano sul cofano della loro auto di servizio, poi è arrivato anche il lancio di bottiglie e infine sono sorte le barricate, in mano a un nugolo di giovani e non giovani armati di bastoni e di bandiera cinese.

Come si vede, non si potrà trattare solo di “operazione scontrini”, ma necessariamente anche di qualcos’altro. Anche perché la mafia cinese in Italia è noto che gestisce un robusto flusso di clandestini, ognuno dei quali per arrivare in Italia paga dai 3 a 15 mila euro. Arrivati nelle nostre città, spesso vengono sfruttati per anni nella miriade di laboratori artigiani che producono, come in Cina, molto e a basso prezzo per la gioia dei nostri consumatori dallo stipendio magro o incerto. Si sa che i clandestini che vivono nelle varie chinatown sparse per l’Italia sono molti, ma nessuno ha idea di quanti siano.

Molti di loro sono anagraficamente inesistenti anche in Cina, perché essendo proibito fare più di un figlio spesso i genitori non ne denunciano la nascita all’anagrafe. Pare che di questi fantasmi in carne e ossa ne esistano in Cina l’incredibile cifra di più o meno 150 milioni. Come si vede, un serbatoio di sfruttabili decisamente robusto. La mafia cinese in Italia nelle comunità connazionali gestisce il lavoro nero, il gioco d’azzardo, le estorsioni, il sequestro di persona, la prostituzione effettuata da cinesi per i cinesi.

Nel 2006 le 181 pagine del documento intitolato “Presenza cinese in Italia e Sicurezza Economico-Finanziaria – Analisi di un macrofenomeno”, elaborato dall’Ufficio Analisi di Intelligence del II Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza, affermava che le regioni italiane più affollate di cinesi con regolare permesso di soggiorno erano, nell’ordine, la Lombardia, (secondo maggior centro in Europa), la Toscana, il Lazio, l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, il Piemonte e la Campania. Le 181 pagine sono zeppe di dati, tabelle, studi pregressi, bibliografie e ricerche storiche.

Saprà la Guardia di Finanza mettere a frutto almeno ciò che già sa fin dal 2006?

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