Speriamo che, a seguito della guerra, Putin venga defenestrato e messo quanto prima di fronte alle proprie terribili responsabilità.
Responsabilità di non poco conto gravano però anche su Zelensky, la cui popolarità dall’ottobre dell’anno scorso era in caduta libera per vari motivi. A partire dalla scoperta che era comproprietario di alcune società in alcuni paradisi fiscali.
Non basta essere “un uomo della strada” e un attore comico di successo per essere onestissimo, al di sopra di ogni sospetto e, soprattutto, un politico bravo e capace.
Noi in Italia lo abbiamo scoperto con Beppe Grillo. Per fortuna in modo incruento.
Intanto però tracciamo il quadro della situazione della guerra a partire da una domanda sgradevole, ma fondamentale.
Può forse l’Ucraina vincerla la guerra con la Russia? Certo che no. Abbiamo letto le varie ed esplicite dichiarazioni, in particolare del presidente USA Joe Biden. Nonché quelle del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, che parla come fosse un capo di Stato. Appare chiarissimo che nessun esercito straniero affiancherà quello ucraino in questa disgraziata, assurda e molto pericolosa guerra.
A maggior motivo quindi si tratta di un conflitto che l’Ucraina può solo perdere. E che, come succede in tutte le guerre, più dura più aumenteranno le vittime. Sia ucraine che russe. Sia russe che ucraine.
E’ vero che i missili Stinger, forniti all’Ucraina dalla Germania e dalla Lettonia, possono interdire i voli degli aerei russi sul terrorio ucraino. Come già successo nella guerra tra l’allora Unione Sovietica e l’Afghanistan. Persa da Mosca a causa principalmente degli Stinger forniti a vagonate dagli USA ai talebani.
Ma è anche vero che la fertile pianura che caratterizza quasi per intero l’Ucraina NON è l’insieme di catene montuose che percorrono in lungo e in largo l’Afghanistan.
Vero è che con i razzi Stinger e Javelin, usabili a spalla come un bazooka, gli ucraini possono fare strage di aerei ed elicotteri che volano a bassa quota e di mezzi corazzati russi. Ma è anche vero che con i satelliti artificiali e i droni – che i russi finora non hanno utilizzato – il controllo del territorio da parte dei russi può diventare capillare. Con conseguente possibilità di colpire ovunque e chiunque dal cielo a distanza di sicurezza dagli Stinger.
Al massimo arriveranno i volontari della “brigata internazionale”, da alcuni chiamata “legione straniera”, della quale il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha più volte invocato a gran voce la formazione e l’intervento armato sul suolo ucraino.
Secondo Zelensky questi volontari che non vedono l’ora di imbracciare un’arma, erano già 16 mila pochi giorni fa, ora sarebbero 20 mila.
Arruolati tramite l’apposito portale fightforua.org, che rimanda alle singole ambasciate e consolati ucraini nel mondo, e in partenza da ben 96 Paesi.
Ma come sempre è accaduto, e accade ancora in Medio Oriente, l’intervento dei volontari stranieri aumenta le vittime civili. E sul piano militare se non sono dotati di mezzi corazzati e aerei, con annessa istruzione, contano poco.
Stando così le cose, a meno di una terza guerra mondiale, è prevedibile che l’Ucraina prima o poi dovrà trattare. E tutte le armi fornitele per combattere i russi saranno servite più che altro per svuotare i magazzini degli USA e della NATO delle vecchie armi e sostituirle con nuove, prodotte di fresco.
Guerra alla Russia
La marea di aiuti militari a Kiev, per una guerra che come vedremo era possibilissimo evitare, alla lunga si riveleranno una guerra degli USA e della NATO contro la Russia per interposta persona: cioè tramite l’Ucraina.
Zelensky continua a invocare a gran voce la No Fly Zone nonostante gli sia stato detto e ripetuto che è impossibile da attuare senza una guerra dell’intera NATO contro la Russia. Però non dev’essere un caso che di recente s’è detto disposto a trattare e stipulare compromessi. Su quali temi? “Su Donbass, Crimea e NATO”.
Per quanto possa parere incredibile, anzi assurdo, si tratta dei temi sui quali insiste dal 2014 proprio la Russia, alla quale si è sempre risposto con dei fragorosi “NO!” su tutto il fronte. Ma andiamo per ordine.
1) – DONBASS
Da notare che Putin non solo NON ha mai proclamato l’annessione alla Russia delle due mini repubbliche. Sono abitate da russi. Si sono dichiarate indipendenti nella parte di Donbass al confine con la Russia. Vale a dire la repubblica di Donetsk, 358 chilometri quadrati e due milioni di abitanti, e quella di Lugansk, appena otto chilometri quadrati e 1,5 milioni di abitanti.
Ma NON le aveva neppure riconosciute fino al giorno dell’invasione dell’Ucraina. Non le aveva neppure riconosciute nonostante che le bande armate ucraine, ipernazionalisti appoggiati a volte da alcuni reparti dell’esercito, dal 2014, cioè da ben otto anni fa, avessero innescato nel Donbass la guerra civile contro i russi.
Tutto quello che Putin chiedeva per le due repubblichette era il riconoscimento da parte di Kiev di uno statuto speciale, con una maggiore autonomia. Più o meno quello che l’Italia ha concesso al Trentino Alto Adige negli anni ’60 per porre fine al terrorismo irredentista altoaesino sostenuto dall’Austria.
Che senso ha negare anche a costo di una guerra, tuttora in atto, una soluzione di tipo altoatesino per due francobolli di 364 chilometri quadrati totali di territorio di confine?
Per giunta abitato quasi esclusivamente da russi e non da ucraini.
A questo proposito vale la pena di notare che – tra le molte altre cose diciamo inesatte – è stato fatto circolare con insistenza su tutti i mass media un video. Il cui titolo era “Il terribile sguardo di Putin: “fulmina” il capo dei servizi segreti Naryskin che cerca più tempo per i negoziati”.
Ma se si ha la pazienza di guardare il video si scopre che il signor Naryskin NON cerca affatto “più tempo per i negoziati”, ma si dice invece favorevole all’annessione dell due repubblichine. Con Putin che gli spiega che l’argomento sul quale ha chiesto il suo parere NON è l’annessione, bensì il semplice riconoscimento. Come è evidente, c’è una bella e sostanziale differenza.
Da notare inoltre che Kiev nel 2015 agli accordi stipulati nel 2014 in Bielorussia a Minsk per porre fine alla guerra nel Donbass aveva voluto aggiungere proprio la clausola di una maggiore autonomia per Donetsk e Lugansk.
Clausola che però il parlamento ucraino non ha mai voluto ratificare. Tutti accusano Putin di avere violato con il riconoscimento delle due repubblichette i patti di Minsk del 2014. Ma nessuno ricorda i patti del 2015.
Come del resto nessuno parla del fatto che stando ai documenti dell’organismo europeo OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) le vittime russe nel corso dei primi anni di tale guerra sono state tra le 14 e le 16 mila.
I killer del battaglione Azov
Il battaglione ucraino Azov il 24 maggio 2014 ad Anreevka ha ucciso con colpi di mortaio e raffiche di mitragliatrici anche il 31enne italiano Andrea Rocchelli, fotoreporter freelance professionista e fondatore del collettivo di fotografi indipendenti Cesura. Ucciso anche l’interprete e attivista per i diritti umani Andrej Mironov.
Rocchelli era andato nel Donbass per mostrare la sofferenza dei russi assediati. La magistratura milanese ha appurato con un regolare processo e con testimoni che gli ucraini hanno aperto il fuoco contro Rocchelli e Mironov senza nessun motivo e senza nessun preavviso. Pura e semplice volontà di uccidere.
2) – CRIMEA
La Crimea era parte della Russia fin dal 1792. Nel 1954 l’allora leader dell’Unione Sovietica Nikita Krushev volle accorpare la Crimea all’Ucraina. Lui era di etnia ucraina, anche se nato in Russia poco lontano dal confine con l’Ucraina. Qui aveva poi vissuto e lavorato fin dall’età di 14 anni. Secondo il censimento del 1959, cinque anni dopo l’accorpamento, il 71,4% della popolazione della Crimea era russo e il 22,3% ucraino.
Il presidente dell’Ucraina Viktor Janukovyc, eletto nel 2010, per cercare di evitare il disatro economico del Paese ha cercato di stabilire relazioni più strette con l’Unione europea e la Russia, in modo da attrarre gli investimenti necessari per mantenere il livello di vita della popolazione senza troppi sacrifici.
Già primo ministro per tre volte – dal 2002 al 2004, dal 2004 al 2005 e dal 2006 al 2007 – Janukovyc propose in particolare un accordo di associazione con l’Unione Europea per poter ottenere i fondi necessari per rendere più moderna la società ucraina e nel contempo ridurre i legami economici con la Russia.
Le condizioni poste dall’Unione Europea parvero a Janukovyč troppo austere, quindi dannose per il suo Paese.
Motivo per cui dopo un periodo di indecisione decise di non firmare.
Ne nacquero dei disordini, sfociati nella famosa “rivoluzione di piazza Maidan”, che nel 2014 costrinsero Janukovyc a fuggire all’estero. E ne nacque una stagione politica ancor più agitata. Con la corruzione ancor più dilagante e politici a volte appoggiati da vere e proprie bande armate. Bande armate, con in testa la formazione di estrema destra Azov, che hanno inasprito la guerra civile contro i russi del Donbass.
In questo contesto il parlamento della Crimea nel maggio del 1992 ha dichiarato l’indipendenza dall’Ucraina, che però si è opposta. Motivo per cui la Crimea ha rinunciato. Ma rilancerà quattro anni dopo indicendo per il 16 marzo 2014, assieme alla città di Sebastopoli, un referendum per decidere se tornare o no alla Russia. Quella che viene chiamata “annessione della Russia” è in realtà un più semplice ritorno alla Russia dopo soli 68 anni. Durante i quali la Crimea è rimasta abitata in stragrande maggioranza da russi.
Il referendum era stato preceduto nel maggio del ’92 dalla revoca da parte del parlamento russo dell’atto con il quale la Crimea per volontà di Krushev era stata accorpata all’Ucraina.
E il 4 marzo 2014 era stato preceduto anche dalla richiesta a Mosca del parlamento della Crimea, approvata con 78 voti su 81, che nel caso la Crimea si fosse dichiarata indipendente potesse entrare a far parte della Federazione Russa. Sette giorni dopo, 11 marzo, il parlamento dichiarò unilateralmente l’indipendenza dall’Ucraina. Seguì il referendum del 16 marzo.
Col referendum l’annessione alla Russia venne confermata con il 96,77% di voti favorevoli e con una partecipazione dell’83,1% degli aventi diritto al voto. Il suo risultato oltre che dalla Russia non è stato però riconosciuto da quasi nessun altro Stato.
Il 17 marzo il presidente russo Putin ha firmato il decreto di riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Crimea e di Sebastopoli come città con “status autonomo speciale”. E il 20 marzo il parlamento russo ha ratificato il tutto.
Il lato curioso è che i promotori del referendum hanno portato come esempio a sostegno della loro iniziativa la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo dalla Serbia del 17 febbraio 2008.
Indipendenza, quella, che però venne riconosciuta velocemente già il giorno dopo dagli USA seguiti a ruota dagli Stati europei. Del resto vari anni prima, nel 1991, Slovenia e Croazia avevano dichiarato la propria secessione da quella che era la Jugoslavia e vennero riconosciute senza indugio. Dal Vaticano e dalla Germania per primissimi.
Paragone col Kosovo
Da notare che la risoluzione 1160 del 3 marzo 1998 del Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva definito “terrorista” l’attività dell’UCK, ala militare indipendentista del Kosovo, contro i serbi. Ma ciononostante l’Europa riconobbe loro il diritto all’autodeterminazione trasfornando così i miliziani dell’UCK da terroristi a patrioti.
Da notare anche che l’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov, che nei giorni scorsi ha condannato duramente l’invasione dell’Ucraina chiedendo ad alta voce “fate di tutto per fermare Putin”, ha affermato che la decisione di riportare la Crimea in Russia corregge un “errore storico commesso in violazione della Costituzione sovietica”. E che “la conclusione del referendum corrisponde alle aspirazioni degli abitanti della Crimea”.
Sta di fatto che in questi anni di Crimea tornata nella Russia NON ci sono state da parte della popolazione proteste di nessun tipo. Nonostante che le promesse di Mosca di migliorare il livello di vita non si può certo dire che siano state mantenute.
3) – NATO e guerra
Premettiamo che Putin ha sempre detto di non avere nulla in contrario all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, ma di essere contrario solo al suo ingresso nella NATO. E ricordiamo che sia la NATO che l’UE hanno più volte chiarito a Kiev che per essere accolta sono necessarie fare prima varie riforme per portare la democrazia e lo Stato ucraino al livello europeo.
Sotto tale profilo è falso quando dichiarato il 6 marzo dal rettore della basilica protestante romana di S. Sofia al nostro presidente Sergio Mattarella. “La nostra colpa è voler essere europei”.
Così come è falso e demenziale quanto dichiarato il giorno dopo a Mosca dal patriarca Kirill della Chiesa ortodossa russa. “Questa guerra è giusta perché è contro chi sostiene i gay e contro la promozione di modelli di vita anticristiani”.
In realtà la Chiesa ortodossa russa ha interesse a riportare sotto le proprie ali i trenta milioni di fedeli della Chiesa ortodossa ucraina, che nel generale furore anti russo ha rotto i ponti con la casa madre moscovita preferendo avere invece rapporti con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. La cui sede centrale è la cattedrale di S. Giorgio a Istanbul.
Veniamo ora al tema Ucraina nella NATO.
L’ammiraglio Mike Mullen, ex capo di stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, nei giorni scorsi ha affermato che se la Russia dovesse prendere il controllo dell’Ucraina “c’è la possibilità spaventosa di avere le truppe russe al confine polacco e romeno, il che aumenta il potenziale di uno scontro Est-Ovest”.
Ma allora perché non deve valere il ragionamento opposto e simmetrico di Putin? E’ evidente che secondo lui se fosse consentito all’Ucraina l’ingresso nella NATO ci sarebbe la “possibilità spaventosa” di avere truppe NATO al confine russo.
Lasciamo stare anche le prove scritte – emerse grazie al giornale tedesco Der Spiegel – dell’impegno preso con Mosca dopo il crollo del Muro di Berlino e dell’URSS dai principali Paesi della NATO, USA in testa, di non fare avanzare l’Alleanza Atlantica “neppure di un centimetro verso est”.
E lasciamo stare anche che tali prove hanno DIMOSTRATO che l’attuale segretario della NATO Stoltenberg ha quindi sempre mentito quando ha più volte assicurato che “un tale impegno non è stato mai preso”.
Guardiamo la carta geografica: il problema della guerra lo si capisce con un semplice colpo d’occhio. L’ingresso dell’Ucraina nella NATO, e quindi delle sue basi militari nell’Ucraina, comporterebbe due cose.
– Sposterebbe di oltre mille chilometri verso est la presenza NATO direttamente lungo il confine meridionale russo.
– Dal punto più a nordest dell’Ucraina, di fronte alla cittadina russa Novaya Pogoshch’ nella Regione (Oblast) di Brjansk, i missili con testate atomiche della NATO sarebbero a soli 400 chilometri da Mosca. Cioè della capitale della Russia. Nessuna parsona non in malafede può pensare che la Russia – o qualunque altro Paese nelle stesse condizioni – possa accettare una cosa simile.
Gli USA a suo tempo per evitare vicinanze eccessive dei missili sovietici hanno invaso e fatto a Grenada nel 1983, su scala enormemente più piccola perché Grenada è solo un insieme di isolette di appena 340 chilometri quadrati e 120 mila abitanti, quello che i russi stanno facendo in Ucraina su scala enormemente più grande perché l’Ucraina ha 42 milioni di abitanti ed è grande il doppio dell’Italia.
E nel 1962 per fermare l’arrivo e l’installazione di missili sovietici gli USA avevano stretto Cuba in una ferrea morsa navale. Col rischio di scontro armato con navi militari sovietiche e conseguente rischio anche di terza guerra mondiale.
La faccenda è complicata dal fatto che già prima della guerra l’ingresso nella NATO è stato inserito nella Costituzione dell’Ucraina.
Motivo per cui la rinuncia comporta una modifica della Costituzione. Cosa più facile a dirsi che a farsi data la situazione politico partitica dell’Ucraina.
Come che sia, prima dell’invasione si è riunito il Consiglio atlantico della NATO, e i mass media, riportando una dichiarazione del segretario generale hanno scritto “Stoltenberg gela l’Ucraina”. Nel senso che non c’era in agenda nulla che riguardasse il suo ingresso nell’Alleanza.
Stoltenberg ha inoltre dichiarato: “Non abbiamo intenzione di dispiegare truppe in Ucraina”. Per quale motivo Zelensky anziché stare calmo e prendere atto della situazione ha tentato di forzare la mano insistendo a pretendere ad alta voce un ingresso nella Nato a tappe forzate se non immediato?
L’unico risultato è avere fatto perdere a Putin il controllo dei propri nervi, con tutto ciò che ne è tragicamente seguito e che continua sempre più tragicamente a seguire.