Israele non può appropriarsi delle terre palestinesi private dice l’Alta Corte

Israele non può appropriarsi delle terre palestinesi private dice l’Alta Corte. Altra tegola in testa a Benjamin “Bibi” Netanyahu per mano di magistrati. Martedì 9 giugno 2020 l’Alta Corte d’Israele ha sentenziato che la ”Legge per la regolarizzazione degli insediamenti in Giudea e Samaria” è  “incostituzionale”.

La decisione della Corte segue il colpo tirato il 22 novembre scorso dal Procuratore Generale Avichai Mandelblit. Il Pg, dopo lunghe indagini, ha incriminato Netaniahu  per frode, corruzione e abuso di ufficio. Nelle 63 pagine del documento di incriminazione viene accusato di avere intascato centinaia di migliaia di euro in regali di lusso da amici miliardari e di aver concesso vari favori ad alcuni dei principali mass media israeliani perché parlassero positivamente di lui.

Primo caso di un capo del governo israeliano in carica incriminato per corruzione, Netanyahu ha potuto restare in sella grazie a quanto stabilito  dallo stesso Mandelblit. E così, col robusto appoggio del presidente USA Donald Trump, ha continuato a mandare avanti la legge del febbraio 2017 per l’annessione a Israele di quello che resta dei territori palestinesi in Cisgiordania non ancora inglobati o comunque occupati.

Martedì scorso però l’Alta Corte d’Israele ha sentenziato che la ”Legge per la regolarizzazione degli insediamenti in Giudea e Samaria” è  “incostituzionale”.

Approvata nel febbraio 2017, la legge vuole consentire l’uso di terreni palestinesi di proprietà privata per costruire insediamenti israeliani e legalizzare gli avamposti e le strutture erette nel frattempo. In concreto, intende permettere e legalizzare altre occupazioni di terre in Cisgiordania per farne altre colonie.  Ma dopo l’approvazione era stata portata davanti all’Alta Corte e congelata in attesa della sentenza. Che è arrivata martedì ordinandone l’annullamento perché legalizzerebbe lo status degli insediamenti parzialmente costruiti su terreni palestinesi di proprietà privata.

La pronuncia dell’Alta Corte è stata preceduta lo scorso novembre dalla decisione dell’ONU di ribadire che le colonie in Cisgiordania sono illegali in blocco. E nei giorni scorsi Bernie Sanders, ritiratosi di recente dalla corsa elettorale verso la Casa Bianca,  ha affermato con forza chiaro e tondo che gli insediamenti vanno bloccati. Mentre a Tel Aviv migliaia di persone hanno riempito Rabin Square per manifestare contro le annessioni.

Proteste anche dalla Germania e dall’ultimo negoziatore israeliano degli accordi di Oslo, il quale ha dichiarato che i progetti di Netanyahu violano quegli accordi, peraltro stravolti completamente da Israele.

Infine la minaccia del premier Mohammed Shtayeh dell’Autorità Nazionale Palestinese di reagire dichiarando in modo unilaterale la creazione e l’indipendenza dello Stato palestinese. Poiché si tratta di una chimera nei fatti ormai morta e sepolta da anni, la minaccia palestinese è come agitare una spada di latta. Anzi, di cartone. Il premier palestinese ha fatto eco alla minaccia fatta il 22 aprile scorso dal suo presidente Mahmud Abbas di “porre fine agli accordi e alle intese raggiunte con Israele”.

Secondo i suoi critici, Netanyahu non ha una visione politica globale e non è davvero interessato ad annettere il territorio conquistato da Israele nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. Ma intende utilizzare l’argomento come bastone tra le ruote per tirarla per le lunghe con il processo penale che lo aspetta. Secondo altri, Netanyahu considera l’annessione della valle del Giordano e degli insediamenti in Cisgiordania come il suo retaggio storico per i posteri con un occhio alla “terra biblica di Israele”.

Insomma, un modo per passare alla Storia proprio come le annessioni precedenti di Gerusalemme Est (1967) e delle colline del Golan (1981) strappate alla Siria sono state viste come mosse storiche dai precedenti capi di governo che le hanno realizzate. Netanyahu inoltre sostiene che con le annessioni da lui realizzate e progettate Israele avrà frontiere più difendibili.

Contro i progetti annessionisti non solo di Netanyahu, si sta mobilitando nell’America del Nord e del Sud, in Europa e nella stessa Israele  il mondo dei docenti specialisti di studi ebraici in vari settori,  dalla storia alla letteratura, dal pensiero alla religione, dalla politica alla cultura e alla società, con l’appello intitolato “Una lettera sull’annessione e l’apartheid in Israele”.

Questo il testo della coraggiosa lettera/appello:

“Cari colleghi e amici:

 i sottoscritti sono professori di studi ebraici in Nord e Sud America, Europa e Israele che hanno dedicato decenni di vita professionale allo studio approfondito della storia, cultura, pensiero, religione, letteratura, politica e società ebraica.  Rappresentando una serie di punti di vista, scriviamo in opposizione alla continuazione dell’occupazione e all’intenzione dichiarata dell’attuale governo eletto in Israele di annettere parti della Cisgiordania, creando formalmente (de jure) condizioni di apartheid in Israele e Palestina.

Le democrazie dipendono dal consenso dei governati nei territori sotto il loro controllo.  L’istituzione di insediamenti ebraici nei territori occupati catturati nel 1967 costituisce già una violazione diretta della visione del consenso nel diritto internazionale.  L’annessione di questi territori viola anche le risoluzioni ONU 242 (1967) e 2334 (2016). 

Lo stato di Israele potrebbe, al momento dell’annessione, estendere la piena cittadinanza ai palestinesi della West Bank, ma il Primo Ministro ha dichiarato che non lo farà.

I risultati più probabili dell’annessione saranno un’ulteriore disparità di distribuzione di risorse idriche e terrestri per conto di insediamenti illegali israeliani, più violenza statale e frammentate enclave palestinesi sotto il completo controllo israeliano. 

In queste condizioni, l’annessione dei territori palestinesi cementerà un sistema antidemocratico di legge separata e diseguale e discriminazione sistemica contro la popolazione palestinese. 

Tale discriminazione sulla base del contesto razziale, etnico, religioso o nazionale è definita come “condizioni di apartheid” e un “crimine contro l’umanità” secondo la Convenzione internazionale sulla repressione e la repressione del crimine di apartheid (ICSPCA, articolo 2,  1973) e anche dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI, articolo 7 [1j] e Introduzione all’articolo 7 [2h], 1998).

Al di fuori di Israele, l’impatto dell’annessione sarà un’intensificazione distruttiva della polarizzazione politica, dell’odio e della reciproca recriminazione, e l’approfondimento dei cunei nella società ebraica, un inevitabile picco di antisemitismo e islamofobia e polarizzazione tra le comunità minoritarie.  Siamo contrari a tutti questi.

In tutte le nostre differenze, i firmatari di questa lettera condividono impegni non negoziabili per i valori democratici, l’eguale stato di diritto e un senso di sicurezza per entrambi i popoli sulla base del principio del riconoscimento reciproco. 

In questo punto di flesso storico ancora incerto e pericoloso, rifiutiamo l’annessione e l’apartheid, il razzismo e l’odio, l’occupazione e la discriminazione.  Ci impegniamo per una cultura aperta di apprendimento, cooperazione e critica nei confronti di Israele e Palestina”.

 

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