“Julian Assange e la lettera di Papa Francesco? Un bel gesto sicuramente. Ma privato. Gliel’ha fatta consegnare infatti dal cappellano del carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh dove è detenuto. Fosse stata un iniziativa pubblica, resa nota dal Vaticano anziché da Stella Moris, moglie di Assange, avrebbe avuto il marcato sapore della denuncia. Sembra invece che persino il Papa subisca le pressioni dei potenti della Terra”.
A parlare è la giornalista Germana Leoni von Dohnanyl, che sul collega australiano Assange ha di recente pubblicato un libro, edito da Nexus, con il titolo emblematico “Julian Assange – Niente è come sembra”. Ma andiamo per ordine.
Con grande sorpresa di tutti, la moglie di Assange ha reso noto che Papa Francesco lo scorso 29 marzo in vista della Pasqua ha voluto scrivergli una lettera. Non solo di auguri e conforto, ma anche di non solo implicito apprezzamento per la sua lotta per la pace.
Lotta che come è noto è condotta diffondendo documenti politici e militari segreti e segretisissmi – comprovanti anche crimini di guerra commessi dagli USA. Tramite l’organizzazione chiamata Wikileaks. Organizzazione che Assange ha contribuito a fondare. E per la quale è stato proposto più volte per il Premio Nobel per la Pace.
Prima hanno inutilmente tentato di farlo processare e condannare per stupro con accuse inconsistenti. Poi e autorità statunitensi hanno formalizzato contro Assange 17 nuove accuse di spionaggio e divulgazione di informazioni segrete. E ne hanno richiesto nuovamente l’estradizione.
“Se venisse estradato, il coraggioso giornalista australiano rischierebbe fino a 175 anni di carcere”, chiarisce Germana Leoni.
Cosa l’ha spinta a scrivere un libro su di lui?
“Direi la rabbia… una reazione alla frustrazione e al senso di impotenza che sgorga davanti a una simile ingiustizia”.
Perché ha scelto il titolo “Niente è come sembra”? Il titolo si riferisce solo al caso di Assange o ad altro più in generale?
“Niente è come sembra” è la frase che ha determinato la mia presa di coscienza. A inizio anni novanta ero in Cambogia, Paese in preda a una sanguinosa guerra civile. Le cui dinamiche erano di difficile decodificazione al di fuori delle standardizzazioni semplicistiche della narrativa ufficiale.
E una sera, costretta in albergo dal coprifuoco, sedevo al Cyclo Bar del Cambodiana Hotel di Phnom Penh. Al mio fianco William, poi rivelatosi un agente dei servizi americani, sorseggiava una birra. Gli chiedevo così una dritta che mi aiutasse a orientarmi in un marasma di informazioni contraddittorie che percepivo depistanti. Mi rispondeva con una semplice frase: “Germana, ricorda solo che niente è come sembra”.
Cosa l’ha colpita di più del caso Assange?
“L’indifferenza generale davanti al trionfo del potere sul diritto. E al prevalere della propaganda sull’informazione: una manipolazione delle menti pervasiva al punto di far accettare alle masse la persecuzione non già di chi commette un crimine, ma di colui che lo denuncia.
Siamo allo stravolgimento della realtà, o meglio della sua percezione.Una dimensione che vuole il bianco nero e il nero bianco, un palcoscenico dove i contrari si fondono nel “nerobianco”. Ossimoro eretto a emblema della “neolingua” dell’Oceania di George Orwell. E’ il “bipensiero” secondo il quale “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, gli slogan incisi sulla facciata del Ministero della Verità”.
Come valuta il fatto che Trump prima di uscire dalla Casa Bianca ha firmato varie grazie, ma non quella per Assange?
“Lo davo per scontato, soprattutto alla luce di una sua possibile ricandidatura alle prossime presidenziali. E avendo lui già sperimentato quanto possa costare opporsi ai poteri forti…. Quelli veramente forti”.
Neppure Biden pare abbia in mente di graziare Assange
“Per Joe Biden era persino più scontato. Il presidente è l’espressione della continuità di governo rispetto alla presidenza Obama. E a quella bizzarra joint-venture fra neo-lib e neo-con che si è fatta interprete degli interessi del complesso militare-industriale. Potente mosaico di lobby che rifugge dalla luce dei riflettori. E ha conseguentemente fatto della neutralizzazione di Julian Assange uno dei suoi obiettivi”.
Come spiega la durezza della Casa Bianca nei confronti non solo di Assange, ma anche di Edward Snowden. Mentre Obama a un certo punto ha graziato Chelsea Manning, fonte di Wikileaks? Eppure un tribunale d’appello lo scorso settembre ha dato ragione a Snowden. Affermando che il programma di sorveglianza massiccio utilizzato dalla CIA e dalla NSA negli Stati Uniti, da lui rivelato nel 2013 e ufficialmente finito nel 2015, è illegale. E probabilmente anche incostituzionale perché viola il quarto emendamento della Costituzione USA.
“Ciò che vale per Assange vale anche per Edward Snowden”
La gola profonda che ha scosso le fondamenta del sistema svelando l’esistenza di un illegale progetto di sorveglianza di massa. Un piano funzionale all’acquisizione del potere da parte di un’oligarchia globalista. Il controllo è potere! La Corte d’appello ha dato effettivamente ragione a Snowden. Sancendo l’illegalità, e la possibile incostituzionalità, del progetto della Nsa. Ma ciò non li garantisce un salvacondotto per un ritorno sicuro negli Stati Uniti.
Quanto alla grazia a Chelsea Manning, peraltro a gran voce perorata dalle Nazioni Unite e da personaggi eccellenti. Essa ha permesso a Barack Obama, un presidente che più di chiunque altro ha perseguito gli whistleblowers, di rifarsi il look a buon mercato. Graziando colei che non rappresentava più un pericolo per nessuno”.
Di Assange, Snowden e Manning si è occupata anche Donatella Di Cesare
Il titolo del libro “Il tempo della rivolta” fa pensare alla rivolta non solo studentesca negli USA. Che costrinse la Casa Bianca alla fine della guerra nel Vietnam. E al ritiro del contingente militare. Non mi pare che – nonostante tutto – si possa fare un paragone tra quel tempo della rivolta e il tempo di oggi. Oggi i pacifisti non sono molti, non prendono iniziative. E tacciono di fronte a tensioni e crisi alimentate tutto sommato artificialmente. Per sostenere il gigantesco e potentissimo complesso delle industrie occidentali impegnate a produrre ed esportare armi.
“Non ho letto il libro di Donatella Di Cesare, e pertanto non posso commentare. Posso però confermare che un paragone fra i tempi del Vietnam, quando esisteva una coscienza collettiva, e quelli attuali è improponibile. Oggi non esiste opposizione e non esistono più i pacifisti, o i così detti tali. Si sono dileguati! E’ bastato cambiare etichetta agli aggressori e… tutti a cuccia! Mass media inclusi naturalmente…”.
Biden, seguito dall’Unione Europea, fa la voce grossa
La fa contro la Russia per l’arresto e la condanna del giornalista Alexei Navalny, però su Assange silenzio assoluto.
“Biden fa la voce grossa con la Russia? Nient’altro che una tradizione per il vice di Barack Obama, che dalle sabbie mobili della guerra fredda ha riesumato persino Victoria Nuland. Già consigliera di Dick Cheney, già ambasciatrice Usa presso la Nato. E fra i principali ispiratori del colpo di Stato ucraino di piazza Maidan. Una guerrafondaia russo-fobica per tutte le stagioni. Che ora è sottosegretario di Stato per Affari Esteri.
Biden rappresenta pertanto la politica di continuità di quel “partito della guerra” che per legittimarsi ha bisogno di un nemico. La Russia appunto, la cui sola esistenza è di ostacolo alla dottrina neocon della Full Spectrum Dominance. La stessa che in Aleksej Navalny ha individuato la nuova carta da giocare.
Un sopravvissuto (miracolosamente) a un agente nervino che non perdona. (Certo che questi russi non riescono più ad avvelenare nessuno). Un blogger che pretende di sfidare Vladimir Putin con 3% dei consensi, diventa così la star dell’Occidente. E il ‘martire’ che in Russia non si fila nessuno, rappresenta il potenziale ariete di sfondamento per una nuova rivoluzione colorata.
Per questo si grida allo scandalo per la detenzione di qualche mese di un oppositore con pendenze penali. Mentre cala il silenzio sulla sorte di Julian Assange. Un giornalista che, dopo una già lunga reclusione all’interno di un’ambasciata, da due anni marcisce in una carcere di massima sicurezza senza nessun capo di imputazione a carico”.
i rapporti fra Usa e i sauditi
Nella sua recentissima telefonata al re dell’Arabia Saudita Biden ha rinnovato l’assicurazione che gli USA intendono difendere il suo regno anche contro le azioni di milizie asseritamente pilotate dall’Iran. Compreso l’uso di droni. Ma è proprio l’uso di droni della Nato e degli USA che ha provocato non pochi morti per errore in Afganistan e altrove. Se non ricordo male, nel film Quinto potere, incentrato su Assange, si vede anche che una donna addetta alle uccisioni tramite droni si divertiva a farlo.
“Quanto alla domanda sul rinnovato appoggio di Joe Biden a re Salman bin Abdulaziz al Saud, si tratta di un’alleanza di lunga data. L’asse fra Washington e Riad era nata sulla USS Quincy, l’incrociatore ancorato nel canale di Suez sul quale Franklin Delano Roosevelt, reduce da Yalta, aveva invitato re Abdel Aziz, col quale aveva raggiunto uno storico accordo: petrolio in cambio di sostegno militare. Un supporto che si sarebbe rivelato prezioso alla sunnita Arabia Saudita nell’annoso contenzioso per la leadership regionale con l’Iran shiita. Un conflitto che ha messo l’intero Medio Oriente a ferro e fuoco. Che ha raso interi paesi al suolo e che oggi continua a insanguinare Siria e Yemen”.
Certamente il caso di Assange e le cose che lui ha svelato non sono le uniche realtà diverse da come sembrano. Quali sono oggi i falsi secondo lei più sfacciati e macroscopici? Solo da parte degli Usa o anche da parte di altri Stati?
“Siamo nell’epoca dell’inganno universale”
“Una fase che vende come “primavere arabe” i gelidi inverni islamisti e come interventi umanitari le sanguinose aggressioni militari: un contesto nella quale la menzogna è stata elevata a sistema e lo scenario distopico di George Orwell reso sempre più attuale. Scriveva in 1984: “Il linguaggio politico è mirato a far sembrare vera la bugia, rispettabile l’omicidio e a dare una parvenza di solidità al puro vento.” Difficile pertanto fare una graduatoria.
Potrei citare il sostegno alla jihad islamista finalizzato al controllo unipolare del Medio Oriente e delle sue risorse energetiche. Oppure il ruolo di vassallaggio cui è stata ridotta l’Europa. Siamo al punto in cui Washington, che accusa Mosca di ingerenze negli affari altrui, minaccia apertamente la Germania di sanzioni economiche nel caso porti a termine la costruzione del North Stream II, il corridoio che fornisce gas russo direttamente a un terminale tedesco. Una minaccia non necessaria per i politici italiani… tutti già a cuccia!”.
Le realtà non sono quasi mai come sembrano.
Per responsabilità di chi? Degli storici e dei giornalisti condiscendenti e non sufficientemente informati? O anche per responsabilità della politica – e del potere che essa rappresenta – perché dipinge le realtà come meglio le conviene?
“La responsabilità? Principalmente di una stampa mainstream asservita agli interessi dei potenti: una stampa che da anni propone a reti unificate un pensiero unico strumentale alla fabbrica del consenso, alla manipolazione delle menti e al controllo delle masse. Ma anche alla tendenza alla resilienza di chi tutto accetta, delega l’esercizio di critica dell’informazione e non si informa”.
Assange potrà mai tornare libero, a una vita normale, o finirà i suoi giorni come un appestato eternamente in purgatorio senza la prospettiva del paradiso?
“Certo è che la lettera di papa Francesco rende arduo il continuare a dipingere Assange come un criminale, e anzi mostra la strumentalità delle accuse USA. Nonostante questo, non credo che Assange possa mai tornare ad esercitare da uomo libero la sua professione. E’ ormai l’emblema delle libertà di stampa, al di fuori di alcune nicchie azzoppata e spesso quasi completamente soppressa. Con rischio per la democrazia, anche perché, come si suol dire, il giornalismo ne è, o ne dovrebbe essere, il famoso cane da guardia”.