Marco Fassoni Accetti, ancora una volta, se non per sempre, nel mistero di Emanuela Orlandi. Come nel gioco delle tre carte, lui resta sotto i riflettori tra una promessa – o una minaccia – e l’altra di nuovi fuochi d’artificio, con a seguire la propria smentita di ciò che ha o avrebbe detto e la conferma da parte dei suoi interlocutori privilegiati che ha invece proprio detto ciò che smentisce.
Come che sia, è lui l’uomo che nel mistero di Emanuela Orlandi s’è guadagnato più di tutti un posto d’onore e che passerà alla storia o alle storielle come l’uomo del flauto – o del piffero, secondo gli spiritosi – a causa dell’aver fatto trovare lo strumento musicale a fiato che lui dice essere stato di Emanuela.
Ma Marco Fassoni Accetti è credibile? Non è credibile? Lo decideranno i magistrati degli eventuali processi. Sempre che le sue “confessioni” e “rivelazioni” non facciano la fine di quelle degli altri “supertestimoni” man mano entrati e usciti ingloriosamente dalla scena senza bisogno di nessun processo.
Intanto però cerchiamo di farcene un’idea noi, ponendoci un paio di domande e fornendo le risposte. Risposte, si noti bene, documentate come si diceva in latino “ad abundantiam”. Il modo migliore per farlo è analizzare i suoi comportamenti e le sue affermazioni, giudiziarie e non. Comprese quelle, e mi scuso con i lettori se lo faccio, sorprendentemente aggressive e offensive nei miei confronti. Aggiungendo anche alcune delle cose “confessate” ai magistrati, ne vengono fuori una strategia e un ritratto sufficientemente chiari.
PRIMA DOMANDA – E’ possibile che il signor Marco Fassoni Accetti, scambi, e spacci, il possibile per il certo, l’ipotesi con la tesi, il dubbio con l’affermazione, per giunta apodittica?
SECONDA DOMANDA – Potrebbe Marco Fassoni Accetti,avere mutuato le sue narrazioni, pur in buona fede come ho ipotizzato in un mio articolo, dallo studio paziente di vecchi articoli, libri, ecc.?
Riguardo la prima domanda, i punti da tener presenti sono ben 17. Utili però anche per poter rispondere alla seconda domanda in modo molto più stringato, vale a dire con un solo punto. A dire il vero, per rispondere alla prima domanda basterebbe quanto scritto in tono tranchant e col solito stile alla don Ferrante e donna Prassede da Marco Fassoni Accetti nel suo blog il 30 luglio a proposito della perizia sul suo flauto:
“La perizia non ha escluso la possibile appartenenza dello strumento alla Emanuela Orlandi, e ne ha dichiarato la compatibilità. Alcuni eterni mentecatti, nonostante ciò, ritengono di dichiarare, conversamente, che tale flauto sia estraneo alla ragazza”.
E’ come dire che l’assenza del DNA di Papa Wojtyla o di Mike Bongiorno sul manubrio della mia bicicletta o sul manico delle padelle nella mia cucina non esclude che possano averle usate loro…. Il succo della strategia di Marco Fassoni Accetti è tutto qui: fare affermazioni che è impossibile si dimostrino vere, ma che è anche impossibile o meglio ozioso oltre che inutile dimostrare che siano false, perché sono quanto mai generiche e riferibili in linea di massima all’intero genere umano, oppure fuori dalla portata di qualunque tipo di controllo realizzabile.
Ma andiamo per ordine. E per seguire tutto e bene sarà meglio procedere a puntate.
Premessa. Come è facile verificare nell’archivio dei miei articoli, ho sempre dato spazio su Blitz a Marco Fassoni Accetti e alle sue versioni, l’ho sempre difeso dalle accuse infamanti di Chi l’ha Visto? e ho anche scritto che ritengo o meglio che ritenevo fosse in buona fede anche quando sul caso Orlandi si attribuisce ruoli che non ha potuto avere. A un certo punto, il 30 maggio, Marco Fassoni Accetti si è fatto il suo blog e ha preferito pubblicare lì le sue versioni e i suoi documenti.
Ho anche accettato la sua richiesta di far parte del gruppo che ho fondato su Facebook intitolato “Vogliamo la verità su Emanuela Orlandi”, che oggi conta quasi 700 membri, e – fino a quasi metà novembre, quando infine l’ho espulso – ho lasciato che vi postasse tutto quello che voleva. Comprese le affermazioni offensive nei miei confronti.
Dato che “Chi l’ha visto?” insisteva ad attribuirgli azioni molto gravi, dalla pedofilia a un ruolo nell’uccisione del piccolo Josè Garramon (avvenuta il 20 dicembre 1983) ben diverso dal casuale incidente d’auto, all’inizio di novembre ho proposto a Marco Fassoni Accetti un’intervista per ribattere punto per punto alle accuse.
Alcune delle quali sono supportate in televisione dalla madre del povero Josè, con inevitabile effetto suggestivo sui telespettatori a danno dello stesso Fassoni Accetti. Il quale però, affermando di temere da parte mia “possibili manipolazioni nell’introduzione o alla fine dell’intervista”, ha preferito propormi invece un incontro a Radio Radicale. Anche se la sola idea che io possa “manipolare” un’intervista, per giunta con domande e risposte per iscritto, fa sorridere e la dice lunga su chi la ipotizza, ho accettato volentieri e la data veniva fissata dal direttore di Radio Radicale, Paolo Martini, per le ore 17 dell’8 novembre.
Sono arrivato nella redazione di Radio Radicale con alcuni chili di documenti della Stasi, i servizi segreti dell’ex Germania Est: si trattava di dossier sul Vaticano e papa Wojtyla che coprivano gli anni dal 1978 a 1994, compreso quindi l’anno, il 1983, della scomparsa di Emanuela Orlandi.
Nonostante le molte spie e informatori ben piazzati in vari gangli vaticani e dell’intera Chiesa di Roma, i cui nomi sono venuti fuori grazie al crollo della Germania Est e all’apertura dei suoi archvi segreti, non vi è nessun cenno alle “intelligence vaticane”, alle cordate, alle iniziative, alle lotte, ai ricatti, alle pressioni, ecc., oggetto delle “confessioni” narrate da Marco Fassoni Accetti ai magistrati in una quindicina di deposizioni, comprese le asserite manovre “per fare ritrattare Agca” delle quali Marco Fassoni Accetti si vanta.
Ho messo parte di quel materiale sul tavolo attorno al quale il direttore Martini ci aveva fatto accomodare. Vi ho anche piazzato il mio iPad, debitamente acceso per poter esporre una bella serie di altre faccende difficilmente aggirabili da Marco Fassoni Accetti .
Immaginavo però che la mia robusta documentazione sarebbe stata inutile, ero infatti certo che per evitare un confronto reale Marco Fassoni Accetti avrebbe imitato i parti della battaglia di Carre contro l’esercito di Crasso: girare continuamente attorno all’esercito romano senza mai avvicinarsi troppo, limitandosi a lanciare continuamente un gran nugolo di frecce: che cadendo massacravano man mano i romani sempre impossibilitati ad agganciare il nemico.
Le frecce nella faretra di Marco Fassoni Accetti erano un pacco di fotocopie: che però si sarebbero rivelate la prova provata di come lui costruisce le “verità” delle quali poi si vanta, senza accorgersi che, come dimostreremo nel corso di questo articolo, l’autosuggestione lo porta a scambiare le lucciole per lanterne, i desideri per realtà.
Cosa strana, ad assistere a quello che avrebbe dovuto essere un dibattoto tra me e Fassoni Accetti ho trovato in studio uno sconosciuto che anziché dire il suo nome e cognome si è presentato come Vento Bianco, il nickname di un mio lettore di Facebook.
Ho pensato fosse un giornalista della redazione, ma ho poi scoperto che neppure a Radio Radicale sanno chi sia e che non l’avevano mai visto prima. Il direttore di Radio Radicale, Paolo Martini, ha fatto ai microfoni una breve introduzione e poi mi ha chiesto di fare un po’ il punto di cosa pensassi io riguardo cosa possa essere avvenuto quel tardo pomeriggio del 22 giungo 1983, vale a dire negli ultimi momenti di libertà di Emanuela Orlandi.
Anche se molto emozionato perché mi trovavo ai microfoni dai quali mi aveva intervistato tante volte Dino Marafioti, ucciso ancora giovane da un infarto il 18 agosto, ho esposto ciò che penso: specificando che lo penso in base a precisi documenti giudiziari.
In estrema sintesi: mentre si avviava a piedi dalla fermata dell’autobus 70 in corso del Rinascimento – di fronte a Palazzo Madama – verso la fermata dell’autobus 64 in piazza di Torre Argentina, più o meno 4-500 metri di strada a piedi, Emanuela deve essere salita sull’auto di una persona a lei ben nota, molto probabilmente del giro delle amicizie familiari come quasi sempre accade in questi brutti casi.
Poi Martini ha dato la parola al signor Fassoni Accetti. Il quale anziché esporre la sua ricostruzione ha cominciato a brandire fotocopie di miei pezzi e commenti chiedendomi con insistenza e con tono accusatorio come prima cosa se io avessi o no mai detto che lui è un cialtrone, per poi passare a rivolgermi – senza soluzione di continuità e con tono concitato crescente sempre accusatorio – altre domande simili.
Che evidentemente non ci “azzeccano” un fico secco con quanto chiesto da Martini e con quanto concernente il dibattito che lo stesso MFA mi aveva chiesto. Iniziava così il previsto lancio delle frecce contro l’esercito di Crasso… Solo che non di frecce si trattava, ma di chiacchiere sempre più concitate: per aizzare a dovere Marco Fassoni Accetti sono arrivato a battere i pugni sul tavolo.
1) – La strategia di Marco Fassoni Accetti mi è diventata infatti di colpo chiara quando mi ha accusato di avere scritto su Blitz che il magistrato non aveva verbalizzato quanto dettogli la prima volta che lo ha ricevuto in ufficio, vale a dire a fine marzo 2013. Si tratta infatti di un particolare che mi aveva raccontato lo stesso Fassoni Accetti in una delle mie prime telefonate. Certo, posso anche avere capito male, forse Marco Fassoni Accetti mi aveva detto che il magistrato non aveva verbalizzato tutto il suo fluviale racconto, per il quale infatti ci sono volute almeno 14 deposizioni.
A un certo punto delle sua enfasi crescente Marco Fassoni Accetti mi ha fatto notare che il magistrato al quale aveva reso le sue “rivelazioni” avrebbe anche potuto querelarmi per diffamazione, perché la mancata verbalizzazione è un’omissione d’atti d’ufficio. M’è così balenato di colpo il sospetto che Marco Fassoni Accetti mi abbia rifilato quella polpetta avvelenata proprio per rendermi querelabile. Da parte di un magistrato dell’inchiesta Orlandi è evidente che potrebbe essere per me un colpo molto grave.
2) – Stesso discorso per quanto riguarda un’altra accusa scagliatami contro sempre a Radio Radicale: avere scritto che il legale di Marco Fassoni Accetti , avvocato Maria Calisse, è lo stesso sia della giornalista Raffaella Notariale sia della “supertestimone” Sabrina Minardi, scovata guarda caso dalla Notariale per “Chi l’ha visto?”.
A suo tempo Fassoni Accetti mi chiese se potevo indicargli un buon avvocato romano, “meglio se donna”, e io gliene ho indicato una, la consorte dell’avvocato Pierfrancesco Macone. Non mi pare che poi Marco Fassoni Accetti l’abbia neppure solo contattata, me nel corso delle telefonate mi disse che avrebbe voluto cambiare legale perché la Calisse aveva difeso la Minardi o comunque avuto forse a che fare come collaboratrice del suo difensore.
Anche in questo caso, posso certo avere capito male. Oltretutto Fassoni Accetti ha un eloquio piuttosto farraginoso declamatorio non sempre chiarissimo. E comunque, nel suo blog dove ha allineato accuse contro un po’ tutti e precisazioni varie, non c’è nessun accenno a tale mia “svista”. Il blog di Marco Fassoni Accetti esiste dal 30 maggio, creato apposta per illustrare il suo ruolo nel caso Orlandi, ma l’avvocato Calisse viene nominata una sola ed unica volta: nella puntata del 21 novembre, scritta per confutare l’articolo del Corriere della Sera che nominava tale avvocato come latore ai magistrati di una folta richiesta di nuove testimonianze foriere di chissà quali altri clamori. Come mai Marco Fassoni Accetti nel suo blog s’è scagliato contro di me per la faccenda della verbalizzazione, ma ha sempre taciuto sulla faccenda della Calisse?
Se qualcuno mi ventilasse l’ipotesi che lo abbia fatto apposta in entrambi i casi, per poi potermi mettere in difficoltà al momento opportuno, non saprei come ribattere. A quell’epoca prendevo ancora le difese di Marco Fassoni Accetti contro le accuse di pedofilia e affini lanciategli contro da “Chi l’ha visto?” e scrivevo che si autoaccusa della scomparsa della Orlandi in buonafede, per emanciparsi dal complesso di colpa per la morte del piccolo Josè Garramon. Non avevo perciò motivo di sospettare che come ricompensa Marco Fassoni Accetti volesse forse rifilarmi polpette avvelenate eventualmente usabili a futura memoria contro di me.
Se a Radio Radicale avessi detto: “Egregio signore, ma queste due notizie sballate me le ha date lei!”, Marco Fassoni Accetti mi avrebbe ribattuto “Non è vero!”, mettendomi così nel sacco perché la mia affermazione non potevo certo dimostrala lì, a voce, senza il supporto del materiale che invece ho portato a supporto qui, nell’articolo che state leggendo. Ho dovuto perciò incassare, retrocedere come i russi con Napoleone prima e con Hitler dopo, ma manovrando in modo che Fassoni Accetti sempre più inferocito mettesse sul tavolo quante più carte possibile, onde poter poi io dimostare, in seguito e in altra sede, cioè ora, che erano carte piuttosto truccate.
3) – Anzi, truccatissime! Non credevo alle mie orecchie quando Fassoni Accetti mi ha accusato anche di avere scritto che da Boston non sono mai arrivate a Roma lettere riguardanti il rapimento della Orlandi. Affermazione ridicola, visto che di lettere arrivate da Boston ne ho parlato nel 2002 a pagina 94 e 98 del mio libro “Mistero Vaticano – La scomparsa di Emanuela Orlandi” e ancor più abbondantemente nel 2008 alle pagine 107, 117, 126 e 130 del mio libro “Emanuela Orlandi – La verità”. Ma anche su questo argomento gli ho dato corda, perché ne avesse a sufficienza per impiccarsi. Per trattenere i riso ho dovuto fare anzi la faccia feroce, usare toni minacciosi e – ripeto – battere i pugni sul tavolo. Il parlarsi addosso di Marco Fassoni Accetti e il mio dargli sulla voce sono stati tali che dopo poco più di trenta minuti di confusione in puro stile lite da ballatoio Martini ha troncato il diluvio di parole con mezz’ora di anticipo.
4) – Nel frattempo il buontempone Marco Fassoni Accetti aveva trovato il modo perfino di accusarmi con insistenza di avere scritto nei miei libri e ripetuto in interviste che il giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi a Roma pioveva. Io invece mi sono sempre limitato a scrivere che “c’era afa e nuvole”, come si legge a pagina 32 del mio libro del 2008, rifacendoni al lancio dell’Ansa con le previsioni meteo fino alla mezzanotte di quel 22 giugno ’83:
<![CDATA[<pre>Documento: 19830622 03790
ZCZC017/02
R ALR 02 S04 23 24 25 32 QBXB
PREVISIONI METEOROLOGICHE
(ANSA) – ROMA, 22 GIU – IL SERVIZIO METEOROLOGICO
DELL’AERONAUTICA COMUNICA LE PREVISIONI DEL TEMPO SULL’ITALIA
VALEVOLI FINO ALLA MEZZANOTTE DI OGGI.
SITUAZIONE: SULL’ITALIA ANCORA CONDIZIONI DI INSTABILITA’.
TEMPO PREVISTO FINO ALLE 24 DI OGGI: SU TUTTE LE REGIONI
NUVOLOSITA’ VARIABILE, LOCALMENTE INTENSA CON BREVI
PRECIPITAZIONI PREVALENTEMENTE TEMPORALESCHE. TEMPERATURA :
STAZIONARIA. VENTI: DEBOLI VARIABILI.
Come dimostrano le bozze originali, l’intero lancio doveva figurare a pagina 33 del libro, ma l’editor (Salvatore Vitellino) ha preferito eliminarlo ritenendo eccessiva la mia pignoleria.
5) – Una delle cose che più ha fatto infuriare Marco Fassoni Accetti a Radio Radicale è il mio avere dimostrato che lui non può essere il cosiddetto Americano, il sedicente portavoce dei “rapitori” di Emanuela Orlandi che pur senza mai esibire neppure l’ombra di uno straccio di prova telefonò varie volte a casa Orlandi, all’avvocato Gennaro Egidio e a casa di amiche di Emanuela Orlandi per far finta di intavolare la famosa “trattativa”: la liberazione della ragazza in cambio della liberazione di Alì Agca, il terrorista turco condannato all’ergastolo per avere sparato, nel 1981 in piazza S. Pietro, a papa Wojtyla ferendolo gravemente.
Fassoni Accetti non può essere l’Americano perché questi telefonò più di una volta anche dopo che lui, il 20 dicembre ’83, venne arrestato per l’uccisione di Josè Garramon rimanendo chiuso un anno in galera e uno agli arresti domiciliari. Dopo averlo gridato a Radio Radicale, Marco Fassoni Accetti su Facebook ha ripetuto:
Marco Fassoni Accetti: Nicotri lei non ha ipotizzato lo ha dato per certo, pur se con i suoi sistemi ipocriti da fariseo piccolo borghese, che dice e non dice. Risponda piuttosto, se ne ha il rigore e il coraggio, sul suo falso clamoroso riguardo le telefonate del cosiddetto Americano che Lei asserisce essersi verificate nell’84. Non esiste alcun documento che accerti giudiziariamente che sia stato proprio quello specifico telefonista. Lei non ha più risorse per rispondere per cui si rifugia puerilmente nelle classiche frasi del tipo “è un gran simpaticone”, “i suoi ragionamenti a volte sono divertenti”. Queste frasi sono la tecnica ultima, come del resto l’alzare la voce, per creare una cortina fumogena di difesa. Lei, oltre ad essere molto più divertente di me, fino a sfiorare la buffoneria, è oltretutto un fabbricatore impenitente di falsità contro la veridicità storica. Faccia un po’ di ricerca, come è doveroso per ogni giornalista, invece di fare l’intrattenitore in questa pagina, approfittando che molti frequentatori della stessa non sono addentro alla materia, e Le permettono di farsi prendere per i fondelli. Ripeto che produrrò nel mio blog una documentazione ferrea che la smentirà punto per punto.
9 novembre alle ore 17.57
I problemi però sono due, anzi tre. Il primo è che non ho mai detto né scritto che nell’84 le telefonate siano state una o più. Ho riportato nei miei libri quella raccontatami da Ercole Orlandi, padre di Emanuela, arrivata attorno alla Pasqua dell’84 a casa di Felice Giordani (anche lui commesso pontificio come Ercole), padre di Gabriella, che era un’amica di Emanuela.
Il secondo problema è che risultano altre telefonate nell’83, debitamente registrate, successive al 20 dicembre. In quali giorni? Meglio non dirlo: meglio evitare altre “rivelazioni” del mio poco cortese interlocutore…
Il terzo problema è che quando nel confronto del 17 settembre a La7 con Pietro Orlandi questi gli ha chiesto cosa disse l’Americano una volta che telefonò a casa sua, Fassoni Accetti ha annaspato dicendo che non può certo ricordarsi tutto. Giusto. Di Pico della Mirandola ce n’è solo uno.
Ma l’oggetto di quella telefonata era talmente particolare che Marco Fassoni Accetti se fosse davvero l’Americano NON potrebbe esserselo dimenticato. Lo sconosciuto al telefono disse infatti agli Orlandi che per quanto “successo a Emanuela nei primi giorni fisicamente” potevano stare “tranquilli perché affianco a lei c’era una persona” ma M.F.A. non sa rispondere.
Rispetto a Emanuela è inutile essere più precisi su “quanto successo fisicamente”.
L’importante è osservare che l’Americano non può certo esserselo dimenticato, mentre invece Marco Fassoni Accetti non sa di cosa si parli…
Sotto il profilo oratorio, la tecnica dilatorio-accusatorio-comiziesca scelta da Marco Fassoni Accetti ha nell’arte della retorica un nome preciso, che si può riassumere con una parola sola: svicolare. O anche: eludere, divagare. Tale tecnica è notoriamente funzionale a frantumare l’oggetto da discutere fino a ridurlo, come l’esercito di Crasso, in pezzi e farlo sparire in una montagna di chiacchiere riguardanti tutt’altre faccende. Un avvocato inglese quando nei processi arrivava l’arringa finale dell’accusa usava accendersi un lungo e vistoso sigaro e fumarlo senza mai scuoterne la cenere. L’attenzione dei giudici si spostava immancabilmente dalle parole dell’accusa alla sorte della cenere del vistoso sigaro, in inevitabile e curiosa attesa del momento in cui sarebbe finalmente caduta a terra. Con questo semplice trucco a finire in cenere erano le parole dell’accusa. I giudici infatti non riuscivano a seguirle con la dovuta attenzione. L’8 novembre agli ascoltatori di Radio Radicale è capitata la stessa cosa.
Marco Fassoni Accetti era convinto di riuscire a provocarmi mandando così in vacca il tutto. Come in effetti è avvenuto. Ma l’egocentrismo e la presunzione gli hanno impedito di capire cosa stava in realtà succedendo. Avrei potuto dire “Ma questo non c’entra col caso Orlandi e quindi non le rispondo”.
Lui avrebbe insistito con lo stesso andazzo finché avrebbe potuto gridare trionfante: “Ecco, vedete, Nicotri non risponde!”. Oppure avrei potuto dire: “Visto che lei continua a svicolare è inutile che io resti qui e me ne vado”. E lui avrebbe potuto gridare di avere “vinto”.
Ho già fatto notare che se riguardo la mancata verbalizazione di fine marzo e l’utilizzo dell’avvocato Calisse avessi ribattuto “ma sono notizie che mi ha dato lei”, sarebbe stato ancora peggio. Invece gli ho dato corda, assecondando il suo gioco perché fornisse tali e tante prove della sua strategia da non lasciare dubbi su come si muove e quindi su quali elementi si basa la sua “supertestimonianza”.
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