Chi uccise Mirella Gregori? Dai depistaggi della Stasi a Emanuela Orlandi

di Pino Nicotri
Pubblicato il 12 Novembre 2019 - 07:05 OLTRE 6 MESI FA
Mirella Gregori, chi l'ha uccisa? I depistaggi della Stasi e...

Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi (Foto archivio ANSA)

ROMA – Dal mistero Orlandi ci si sposta un po’ al mistero Gregori, cioè alla scomparsa di Mirella Gregori coetanea di Emanuela Orlandi avvenuta alcune settimane prima della scomparsa di Emanuela.

Se ne occupa la prima puntata della terza stagione di “Scomparsi”, la serie in onda da martedì 12 novembre alle 22 su Crime Investigation (Sky, 119) e condotta da Pietro Orlandi, fratello Emanuela. 

A collegare la Gregori al mistero Orlandi è stata una serie di comunicati del fantomatico Fronte Turkesh, islamista, recapitati all’Ansa a partire dal 4 agosto ’83 e fabbricati in realtà a Berlino Est – la Germania era ancora divisa in due – dagli uomini del X Dipartimento della STASI, i servizi segreti dell’allora Germania Est, guidati dal colonnello Gunter Bohnsack. 

I falsi comunicati erano un’iniziativa per contrastare la convinzione che voleva Mosca, capitale dell’allora esistente Unione Sovietica,  come mandante del fallito attentato di quest’ultimo in piazza  S. Pietro nell’81 contro il Papa polacco Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla. 

A sparare contro il Papa era stato il fanatico turco Ali Agca, che all’epoca si voleva al soldo dei servizi segreti bulgari manovrati da quelli di Mosca per porre fine alla continua azione di Wojtyla contro il comunismo, l’Unione Sovietica e l’annesso regime nella Polonia suo satellite come l’allora Germania Est. 

Le riunioni degli uomini di Bohnsack coi colleghi russi per pianificare i falsi  comunicato firmati Fronte Turkesc  avvenivano in una villa di Charlottenstrasse a Berlino Est. Nonostante nell’83 fossero sparite quasi 60 persone a Roma e nell’intero Lazio, il sensazionalismo ha battuto la grancassa ignorando tutte le altre scomparse e abboccando all’esca della Stasi. 

Mirella abitava a Roma e non in Vaticano, quindi la sua scomparsa non aveva l’appeal di cui gode da sempre il mistero Orlandi, motivo per cui se n’è parlato sempre pochissimo e sempre e solo come complemento del mistero Orlandi. Nei fatti, la sparizione della Gregori è stata ridotta a ruota di scorta del caso Orlandi.  Il tutto continuando a ignorare le altre persone sparite a Roma nell’83, e non solo nell’83.

La puntata di Sky cade come i cacio sui maccheroni per far passare in seconda fila e magari dimenticare il pesante tonfo di monsignor Viganò, che nei giorni scorsi – cioè dopo 36 anni – in una intervista sul mistero Orlandi ha fatto “rivelazioni clamorose” riguardo una telefonata “dei rapitori di Emanuela” che a suo dire è arrivata in Vaticano la sera stessa della scomparsa della ragazza. 

Telefonata della quale,  sempre a suo dire, gli sarebbe stata data notizia mentre lui era negli uffici della Segretaria Vaticana, retta da monsignor Agostino Casaroli. Viganò nell’intervista a riprova della bontà delle sue “rivelazioni” ha citato come testimone un altro monsignore che pure lavorava alla Segreteria di Stato, Pier Luigi Celata. E’ allora interessante notare quanto segue.

In una polemica tra Marco Fassoni Accetti e Pietro Orlandi, della quale su Blitz ho scritto il 26 novembre 2013, quest’ultimo specifica:

“Celata all’epoca dei fatti [all’epoca cioè della scomparsa di Emanuela, ndr] era il segretario del card. Casaroli (segretario di Stato) ed era Celata che rispondeva al telefono per poi passare la chiamata dei rapitori a Casaroli”.

Da notare che questa storia delle telefonate a Casaroli, della quale Pietro Orlandi ha parlato esattamente sei anni fa,  NON figura in nessun atto giudiziario. Però coincide esattamente con quanto dichiarato nei giorni scorsi da Viganò a Valli.

La conclusione quale può essere se non quella che almeno dal 2013, se non già prima, fonte di Orlandi è proprio Viganò? Che questi fosse la sua fonte vaticana l’Orlandi lo ha ammesso trionfante nei giorni scorsi, prima che Viganò venisse smentito dalle nostre verifiche, però non ha specificato da quanto tempo fosse la sua fonte. 

Ora sappiamo con certezza che lo è da almeno sei anni, almeno dal 2013. Guarda caso, si tratta dell’anno in cui Marco Fassoni Accetti va dai magistrati per autoaccusarsi del “rapimento consenziente” di Emanuela (e Mirella Gregori) e porta in dono prima a “Chi l’ha visto?” e poi a loro il flauto che a suo dire era proprio di Emanuela. 

È quindi ragionevole pensare che anche dietro la divulgazione della grottesca faccenda delle ossa umane nella Nunziatura di via Po a Roma e l’ancor più grottesca vicenda del cimitero germanico ci sia lo zampino o almeno l’odore di Viganò. 

A sostenere che Emanuela potesse essere stata sepolta nel teutonico è stata infatti una lettera inviata a Pietro Orlandi, che ha sempre sostenuto fosse una lettera anonima e che NON ha mai voluto mostrare a nessuno, autorità vaticane comprese. Oggi, alla luce anche del suo avere rivelato che la sua fonte vaticana era Viganò, è lecito pensare che sia stato proprio lui l’autore anche di tale missiva.

Eletto Papa il 13 marzo 2013, Francesco nel dicembre 2014 tra le sue prime misure ha deciso di silurare Celata dall’incarico di suo vice camerlengo. Secondo quanto scritto nel 1999 nella sua autobiografia “Il disubbidiente” da Francesco Pazienza, a suo tempo capo del Super SISMI, branca particolare dei servizi segreti militari, Celata avrebbe costituito un punto di riferimento anche per il Sismi.  

Nel libro “I senza Dio” (2013) di Stefano Livadiotti, giornalista de L’Espresso, Pazienza sostiene di essere stato indirizzato a monsignor Celata su indicazione di Giuseppe Santovito, il generale della loggia massonica P2 che guidava il Sismi.

Torniamo a Viganò. Che ce l’abbia a morte con Papa Francesco è cosa nota, lo accusa infatti di avere protetto la pedofilia nella Chiesa. Ed è arrivato al punto di chiedergli di dimettersi. 

La cosa curiosa è che a scrivere o almeno a rimettere in bella forma il principale documento di accusa di Viganò contro il Papa è stato un giornalista, Marco Tosatti, che era anche lui assieme a Romeo Panciroli al seguito di Wojtyla nel viaggio pastorale del 1983 in Polonia, viaggio terminato il 23 giugno. 

Tosatti quindi è buon testimone del fatto che Panciroli non poteva essere in Vaticano la sera del 22, contrariamente a quanto sostenuto proprio da Viganò nell’ormai famosa intervista a Valli. Il quale Valli in quanto vaticanista di Rai 1 avrebbe dovuto essere almeno un po’ più prudente nel valutare le “rivelazioni” fattegli dal fin troppo discusso prelato.

Ad accusare Tosatti di “intelligenza col nemico” di Papa Francesco è lancia in resta soprattutto Luis Badilla Morales, giornalista cileno, responsabile del sito di emanazione vaticana “Il Sismografo”. Dal 1973 in esilio politico in Europa e con un passato da ministro del governo di Allende affossato dai militari cileni golpisti.

Per parte sua, Tosatti in un feroce intervento contro Morales ha  ridimensionato il proprio ruolo spiegando cosa ha fatto con e per Viganò:

“Viganò ha portato una bozza, e l’abbiamo riletta insieme varie volte, eliminando alcune cose, togliendo delle digressioni, sciogliendo acronimi che per chi lavora in Vaticano sono pane quotidiano, ma che non significano nulla a un lettore comune. Giornalisticamente utilizzabile significa semplicemente: comprensibile al pubblico dei giornali. Tutto lì”.

Insomma, a conti fatti, le sempre più stralunate puntate dell’Emanuela Orlandi Show mandate in scena da quando il cardinale Bergoglio è diventato Papa Francesco somigliano molto a puntate di una congiura contro di lui. Puntate messe in piedi per screditarlo alimentando sospetti, illazioni e veleni come sempre basati sul nulla. O meglio: basati sulla volontà di strumentalizzare per lotte di potere anche la tragedia della scomparsa di Emanuela.

E che papa Francesco, al secolo Josè Mario Bergoglio, sia sotto tiro incrociato lo dimostrano anche le dichiarazioni di Vittorio Messori, ritenuto fra i  massimi intellettuali cattolici italiani:

“Oggi con Bergoglio si ha l’impressione che si voglia in qualche modo mettere le mani sulla dottrina. Il Papa è il custode del depositum fidei. Dopo il Concilio, i tre grandi papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno molto modernizzato lo spirito con cui leggere e vivere il Vangelo, ma non si sono mai permessi di toccare la dottrina. L’impressione è che Bergoglio metta le mani su quello che un Papa dovrebbe invece difendere. 

“La dottrina così come è stata elaborata in 2.000 anni di ricerca viene consegnata al Pontefice perché la difenda e non la cambi. Ora l’impressione è che stia avvenendo proprio questo, e ciò allarma soprattutto i credenti”.

Riguardo il personaggio Messori, basti dire che crede Agca armato da Khomeini per il suo attentato a Papa Wojtyla del 1981 e che Israele sarà “costretta” a usare le bombe atomiche per difendersi da “un miliardo e mezzo di islamici”, che solo Messori vede uniti anziché frammentati in decine di Stati spesso in guerra o comunque in forte antagonismo tra loro. Di un’altra versione della stessa fantomatica telefonata parleremo con un altro articolo.