Mistero Mollicone. Con un ritardo di “soli” 13 anni la Procura della Repubblica di Cassino ha ordinato nuovi accertamenti per tentare di far luce sull’assassinio di Serena Mollicone, la studentessa di Arce, in provincia di Frosinone, scomparsa il 1° giugno del 2001 e trovata cadavere dopo due giorni, legata, imbavagliata e con la testa infilata in un sacchetto di plastica in un boschetto nei pressi del suo paese.
Questa volta si tenterà di appurare se ci sono elementi utili sul sacchetto di plastica. “Speriamo!”, si limita a commentare Guglielmo Mollicone, il papà di Serena. Finora le sue speranze sono andate sempre deluse. In tempi recenti, non hanno permesso di individuare il colpevole, o i colpevoli, né il confronto delle impronte digitali di ben 310 persone, impronte impresse sul nastro utilizzato per legare Serena, né il confronto dei DNA di 272 persone con quello prelevato dalle impronte sul nastro.
Le indagini per l’uccisione di Serena sono partite con una mossa decisamente clamorosa oltre che sbagliata: i carabinieri per interrogarlo giunsero a prelevare platealmente lo stesso papà Guglielmo mentre era in chiesa per i funerali con centinaia di compaesani. E sono proseguite anche peggio. Ne parliamo con il criminologo Carmine Lavorino, massimo esperto di questo e di altri casi. Carmelo Lavorino fece parte del pool difensivo del carrozziere Carmine Belli, in un primo tempo accusato di aver ucciso Serena Mollicone, assolto in via definitiva nel 2006 grazie al lavoro di Carmelo Lavorino e di un gruppo di esperti.
Domanda – Ho letto che lei sa chi ha ucciso Serena Mollicone. Ho letto male? Se non ho letto male, può dire chi le risulta sia l’assassino e perché?
Risposta – Ho indicato alcuni profili criminali di uno o più soggetti con le seguenti caratteristiche:
1) le possibilità, le opportunità, le capacità, la logistica e le comptenze di fare quello che è stato fatto, compreso il confezionamento e il trasporto del corpo più le tecniche di autosicurezza;
2) la conoscenza dei luoghi dei fatti e delle ricerche di Serena scomparsa;
3) essere a conoscenza che il luogo del rinvenimento del cadavere, radura di Fontecupa, il giorno prima del rinvenimento (sabato), era stato ispezionato dai Carabinieri;
4) il rapporto di frequentazione e di conoscenza con Serena;
5) il movente, che è di tacitazione testimoniale e di autosicurezza, perché la persona che ha deciso di fare morire Serena tramite soffocamento e privandola dei soccorsi ha avuto “l’obbligo omicidiario” di tutelare la propria reputazione e il proprio stato di libertà, poteva salvare Serena ma ha preferito ucciderla per eliminare il pericolo;
6) i motivi psicologici, logici e comportamentali del cerimoniale della “sepoltura” dopo il confezionamento/trasporto e di tutti i rischi annessi e connessi.
Naturalmente ogni profilo – trattasi di ipotesi multiple – deve essere agganciato alla reale ultima notizia in vita di Serena, al suo ultimo avvistamento, alle zone, al suo abbigliamento e ad altri fattori.
D – Se lei sa la verità, perché il magistrato non la convoca? Scetticismo? Disinteresse? Superficialità?
R – I primi magistrati erano fuorviati dall’innamoramento del sospetto e della tesi contro Carmelo Belli, tanto che erano convinti della colpevolezza di Belli il quale, se non ci fossimo stati noi, sarebbe stato condannato a 24 anni di carcere. Una condanna che sarebbe stato un insulto dilaniante alla vittima Serena, ai suoi familiari, alla giustizia ed alla società, oltre che all’innocente Carmine Belli.
Quindi, i magistrati dell’epoca tutto facevano meno che accettare tesi contrarie al loro convincimento. E lo stesso atteggiamento lo hanno tenuto Guglielmo Mollicone e i legali della famiglia di Serena, piegati sempre e comunque ad accodarsi agli inquirenti, applicando il principio noto ai pastori come “AODCDP”. Acronimo di “a odore del culo di pecora”: le pecore infatti per non perdersi seguono l’odore del posteriore delle altre. Mi scusi l’esempio decisamente irrituale, ma calza a pennello. Le indagini in questione sono proseguite infatti sul solco delle precedenti. I magistrati che in seguito sono intervenuti si avvalgono della Polizia Giudiziaria, e questo è un limite giudiziario e procedurale di tipo pratico e sociale.
D – Lei qualche anno fa sul delitto Mollicone ha scritto un libro, ormai introvabile. Perché non viene ripubblicato? Se dovesse ripubblicarlo, cosa vi aggiungerebbe alla luce degli avvenimenti successivi?
R – Sarà pubblicato fra circa sei mesi, con tutti gli aggiornamenti del caso.
D – Come mai le indagini della magistratura non hanno trovato l’assassino?
R – Perché inizialmente ci furono errori, depistaggi ed alterazioni di vario tipo, primo fra tutti le indagini coinvolte a livello emotivo del maresciallo Franco Mottola, il quale non poteva non sapere che il figlio era coinvolto in quello che poi è emerso. Però qui dovevano intervenire i superiori del maresciallo e la Procura, cosa che non accadde. Poi tutti hanno preso le distanze da questi errori perché in Italia “la colpa muore sempre infante e orfana … perché nessuno la vuole”. In seguito vennero applicate metodologie investigative inadeguate, e i risultati parlano chiaro!
È dal 2002 che dico, scrivo e indico di verificare le impronte papillari sul nastro, di cercare il Dna, di effettuare nuove indagini e di guardare verso altri scenari e profili criminali: ci voleva il Procuratore capo Mercone a iniziare questi percorsi, però, il suo limite è rappresentato dagli strumenti investigativi e di risorse di cui si può avvalere.
D – Le centinaia di esami dei DNA erano necessari?
R – Certamente, dovevano essere espletati prima. Lo stesso vale per l’impronta papillare sul nastro lasciata senza ombra di dubbio, al 100%, dal legatore-confezionatore di Serena, quindi …
D – Secondo lei, i processi ai Mottola e al carrozziere Carmine Belli sono stati fatti come si deve o hanno lasciato a desiderare?
R – Le indagini contro Belli sono state condizionate dalla voglia di fare carriera e bella figura di tre-quattro persone, oggi annullate scientificamente e culturalmente. Le indagini contro Belli furono una vera e propria caccia al mostro, tipo il film “Il Mostro” di Roberto di Benigni e/o tipo “Colonna infame” di Alessandro Manzoni: indagini viziate dal pregiudizio riverberante di colpevolezza e dal fremito della vittoria a ogni costo, con la certezza di avere ragione e di essere infallibili.
Il processo in Corte d’Assise invece si svolse ottimamente. I Mottola ancora non sono stati prosciolti in fase di indagini preliminari (però ci si sta arrivando), e sinora sono stati sottoposti a tre tipi di processi: quello istituzionale, quello mediatico-giornalistico, quello sociale. Il primo non è riuscito a trovare alcuna loro traccia sulla scena del rinvenimento, sul cadavere, sul nastro e sul fil di ferro che legavano Serena, e su altro, anzi, ne sono esclusi.
Il processo mediatico ha seguito la logica del sospetto, non può mollarli ed ammettere di aver sbagliato.
Il terzo è ancora in corso e dipende dai primi due. Comunque, i Mottola dovevano esser attenzionati prima per i motivi anzi detti (questo sarebbe stato una garanzia anche per loro), invece gli inquirenti dell’epoca preferirono imboccare due strade fallaci: prima la pista Guglielmo Mollicone e famiglia, dopo la pista Carmine Belli. Il problema è che anche i legali della famiglia di Serena si accodarono alla caccia indiscriminata al carrozziere d’Arce Carmine Belli.
D – Secondo lei, il carabiniere Santino Tuzzi si è davvero suicidato o, come sostiene per esempio Guglielmo Mollicone, è stato suicidato? E se lo hanno ucciso, perché lo hanno fatto?
R – Inizialmente sospettai omicidio, poi, da quando ho studiato attentamente gli atti, ho il convincimento che si tratti di suicidio.
Ritengo che Guglielmo Mollicone, esasperato, addolorato e colpito dall’ingiustizia del fallimento dell’individuazione dell’assassino e dai torti subiti, abbia il diritto di guardare verso tutte le direzioni e indicare ipotesi e gli accertamenti investigativi relativi. Il problema è che viene strumentalizzato, usato e mandato avanti da persone che hanno interessi non di giustizia, ma di carriera, di spettacolo, di immagine e similari. Ora Mollicone guarda verso i Mottola e la ex caserma, e interpreta il tutto in chiave anti Mottola, però produce elementi contraddittori che “qualcuno” gonfia e orienta a proprio piacimento. Ed è ovvio che Guglielmo fa notizia SE E SOLO SE (doppio presupposto condizionato) propone circostanze e piste clamorose.
D – Avere prelevato Guglielmo Mollicone in chiesa mentre pregava accanto alla bara di sua figlia è stato da parte dei carabinieri un atto dovuto o una messinscena per indirizzare su di lui i sospetti e le malelingue dei paesani? E perché indirizzare i sospetti sul padre della vittima?
R – Per me è stata una grandissima porcata, una vendetta privata e un errore: ma nessuno intervenne sul maresciallo Franco Mottola che sputtanò a livello nazionale Guglielmo, l’inchiesta e l’intero sistema investigativo italiano. Perché l’indagine restò in mano a Franco Mottola? Come mai non fu redarguito? Non è che era stato “delegato” e/o indirizzato da qualcun altro molto compiacente a fare la porcata a Guglielmo?
D – Serena non fumava. Allora per chi ha comprato un pacchetto di sigarette Marlboro Light il giorno in cui è scomparsa?
R – Serena fumava ogni tanto, lo hanno dichiarato sia il fidanzato che qualche amica. Comunque, il telefonino, l’hashish ed altro che sono stati infilati a bella posta da qualcuno a casa sua, sono misteri all’interno del grande mistero della morte di Serena che dovevano essere investigati prima, non ora. Sono misteri collegabili alla morte oppure che fanno parte della guerra fra i Mottola e i Mollicone, oppure ad altri scenari.
D – Manca davvero una porta nell’abitazione allora dei Mottola annessa al comando dei carabinieri? Secondo lei, perché manca?
R – Fanno parte della teoria che vede Serena uccisa all’interno della caserma, ma non vi è alcuna prova. Occorre scavare nelle memorie, nei ricordi, nelle foto, nei filmati di tutti coloro i quali frequentavano la caserma. Lasciamo stare però maghi, veggenti, sensitive, fattucchiere e chiromanzie varie.
D – I magistrati hanno fatto fare indagini su perché manchi quella porta e sulla macchia del pavimento che a dire di Guglielmo Mollicone indica che il pavimento è stato lavato del sangue di Serena?
R – Non è stato trovato nulla di adeguato. Voglio aggiungere una considerazione. Guglielmo Mollicone deve esprimersi definitivamente su quattro aspetti:
1) sugli avvistamenti di Serena riportati dall’autista dell’Acotral Amerigo Zeppieri, da Valentina Cianchetti e dalla ex maestra Elvira Mollicone; Zeppieri descrive Serena sulla corriera ed arrivare ad Arce alle 11,30 circa; Valentina Cianchetti la descrive sul corso d’Arce vicino una bancarella verso le 11,30 – 11,45; la maestra Mollicone la descrive verso le 13 in piazza, vicino la chiesa. Quindi le dichiarazioni di Zeppieri e di Valentina sono compatibili con la presenza di Serena verso le 12 nella caserma, mentre quella della maestra Mollicone no, perché secondo le ipotesi di Guglielmo basate sulle dichiarazioni del brig. Tuzzi, Serena alle ore 13 era stata già disattivata.
2) Come era vestita Serena? I tre la descrivano in modo diverso, ma chi è veramente certa di quanto dice è solo la maestra Elvira, gli altri due no, sono incerti e imprecisi. E manca all’appello degli indumenti di Serena proprio la maglietta color turchese descritta dalla maestra.
3) Come mai gli indumenti di Serena, quelli del rinvenimento, non hanno nemmeno una macchia di sangue che, se lei avesse indossato la maglietta rossa e la felpa grigia al momento del ferimento con spruzzi e fluenza del sangue, necessariamente dovevano starci?
D – Lei farebbe riesumare il cadavere di Serena per condurre altri accertamenti e quali?
R – Secondo me non servirebbe a nulla. Mi si spieghi quali accertamenti sarebebro utili.
D – Sono molte le indagini per omicidio che nei paesi restano prive di risultati. Nella città va meglio? E se sì, non è una grave ingiustizia a danno di chi non abita in città?
R – Mi sembra che i delitti del Mostro di Firenze, di via Poma, dell’Olgiata e tanti altri abbiano l’interessamento delle Procure delle grandi città. In realtà falliscono le indagini che partono col piede sbagliato causa il pressappochismo, la fretta, il pregiudizio e l’arroganza, le altre finiscono bene.
D – Lei professionalmente come si definisce? Certo non solo giornalista.
R – Giornalista perché fondatore e direttore della rivista di criminalistica, criminologia, invetigazione e intelligence “Detective & Crime”. In realtà sono docente universitario, esperto in analisi e investigazione della scena del crimine, in criminal profiling e in sicurezza anticrimine; sono criminologo, criminalista e investigatore, esperto di investigazione criminale, scrittore e maestro di karatè e difesa personale. Infine, svolgo attività di consulente tecnico globale nelle specialità che ho citato. E dirigo il Centro Studi Investigazione Criminale (CESCRIN).
D – In Italia da molti anni si parla sempre molto di sicurezza dei cittadini. Ma cosa si fa in concreto?
R – Si fa ben poco, perché si applicano i principi del “chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati”, di una vigilanza superficiale e disorganizzata, dell’incertezza della pena e della giustizia giusta, di un garantismo-buonismo esaperato e inutile. Quanto sopra blocca l’individuazione immediata del soggetto pericoloso e/o reo, dell’intervento repressivo-investigativo immediato, dell’effetto deterrente, dell’acquisione della prova penale, di un monitoraggio serio, sistemico e incisivo.
La sicurezza anticrimine deve essere applicata col collegamento attivo e armonico con le attività investigative e viceversa, e il tutto deve riverberarsi in sede giudiziaria e per il recupero del soggetto condannato, ma sono tutte utopie.
D – Ora verranno scarcerati anche gli ergastolani autore di più delitti, pare anche gli assassini della Uno Bianca, killer e capi delle varie mafie. Ma ci saranno misure per controllarli anche una volta scarcerati?
R – Ci saranno misure superficiali e “ministeriali”, di facciata e contraddittorie. Sono del parere che gli uccisori seriali, professionali e ideologici devono restare in galera vita natural durante per un insieme di motivi, dalla coazione a ripetere alla pericolosità continua, al diritto alla sicurezza della società e dei cittadini.
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