Della riforma del Padre Nostro, forse la preghiera più bella, in Vaticano si parla fin dai tempi di Papa Wojtyla,Nel frattempo infatti l’edizione del 2008 della Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) riporta il Padre Nostro con la frase che voleva Wojtyla: “e non abbandonarci alla tentazione” anziché la traduzione letterale del bimillenario “et ne nos inducas in tentationem”.
Preso però dalla politica, la sua vera passione, contro l’Unione Sovietica e i regimi comunisti, con in testa quello della natia Polonia, il Sommo Pontefice non ne fece poi nulla. Sono reperibili su You Tube almeno tre video che mostrano Wojtyla recitare il Padre Nostro anche in S. Pietro e in Africa, con la solita formula
Ora la modifica è diventata effettiva e già ha suscitato polemiche.
Il barnabita don Giovanni Scalese nel suo blog querculanus.blogspot fa notare come in italiano, francese, inglese e spagnolo quel presunto originario greco su sottofondo semitico “Non indurci in tentazione” viene tradotto in modi diversi. E conclude:
“Ancora una volta, mi pare di essere tornato alle discussioni, puramente verbali, che erano tanto di moda negli anni Settanta-Ottanta”.
Insomma, discussioni da lana caprina. Definite, con evidente critica anche a Papa Francesco,
“inutili diatribe che ci ritroviamo di nuovo fra i piedi. Chiedo: Ma se un Dio che è Padre non può indurci in tentazione, può forse abbandonarci ad essa?”.
La riforma del Padre Nostro è stata presa in mano da Papa Francesco un anno fa. Preceduto di tre giorni dalla Chiesa francese, che ha reso operativo il cambiamento anche distribuendo ai fedeli decine di migliaia di copie della nuova versione, è la sera del 6 dicembre 2017 che Papa Francesco nella settima delle nove puntate del programma televisivo di Tv2000 intitolato proprio Padre Nostro e condotto da don Marco Pozza, giovane cappellano del carcere di Padova, torna alla carica e sfodera la sua prima clamorosa critica. Francesco sorprende i telespettatori, e il clero soprattutto vaticano, affermando che nella preghiera insegnata dallo stesso Gesù “Dio che ci induce in tentazione non è una buona traduzione”. E aggiunge:
”Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice “non mi lasci cadere nella tentazione”: sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Quello che ti induce in tentazione è Satana, quello è l’ufficio di Satana”.
In Francia la controversia ha avuto inizio nell’Episcopato il 29 dicembre 1965. E il 3 dicembre dell’anno scorso, 2017, l’Episcopato è passato dalle parole ai fatti. La nuova versione francese non include più il passaggio “ne nous soumets pas à la tentation”, cioè “non sottometterci alla tentazione”, ma lo ha sostituito con “ne nous laisse pas entrer en tentation”, vale a dire ”non lasciarci entrare in tentazione”.
“La frase classica lasciava supporre che Dio volesse tentare l’essere umano mentre Dio vuole che l’uomo sia un essere libero”, ha dichiarato a Le Figaro il vescovo di Grenoble, monsignor Guy de Kerimel.
Altre modifiche si potrebbero però porre anche per altri passi celebri delle cosiddette Sacre Scritture perché il problema è nella traduzione nelle varie lingue moderne: queste non sempre rendono al meglio il significato originario e a volte anzi lo travisano. Due esempi:
– il famoso cammello che non passerebbe per la cruna di un ago. San Girolamo nella sua Vulgata confuse due parole aramaiche simili nella scrittura, ma diverse nel significato, e tradusse cammello quello che in realtà era una gomena, più plausibile del cammello in quel contesto di pescatori.
– Perfino sull’Agnus Dei c’è da discutere. Nell’’”Agnello che toglie i peccati del mondo” il verbo “toglie” viene da latino tollis, terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo tollere, che però ha vari significati, a partire da “prendere su di sé, farsi carico”, e infatti in antichità Gesù era rappresentato con un agnello sulle spalle . Nell’italiano d’oggi quel toglie è interpretato come “cancella, annulla”.
C’è da ricordare, come ha fatto Robert Aron nel suo “Gli anni oscuri di Gesù”, che il Padre Nostro è una antica invocazione ebraica, adattata e aggiornata da Gesù. Il particolare non è noto, forse perché la Chiesa preferisce obliterare i legami del cristianesimo con le origini giudaiche, fatto di cui massimo esempio è l’Eucarestia, con Ratzinger che nei suoi libri su Gesù arriva a negare la coincidenza del rito iniziato dal Redentore con quello della Pasqua ebraica, ancor oggi praticato.
E, a proposito di traduzioni, c’è il mistero del pane quotidiano. Ci hanno insegnato che il pane quotidiano è quel tozzo o tozzetto che ci deve bastare per nutrirci, in linea col filone pauperistico della Chiesa, una specie di antemarcia della decrescita felice. Una interpretazione recente mette in discussione quel significato, partendo dalla parola greca usata nel testo evangelico per definire “quotidiano”, e cioè “epiousios”. Questa parola, che si trova nel vocabolario greco del Rocci, è stata usata solo una volta, nel Padre Nostro appunto. Il suo significato sarebbe l’opposto della vulgata ecclesiastica: non il pezzo di pane per sfamarci oggi ma il pane del domani, del mondo di Dio che verrà e che Gesù annuncia, l’Eucarestia. Significato più coerente con lo spirito del Padre nostro.
Nella ricostruzione del percorso della riforma del Padre Nostro, è doveroso notare che probabilmente l’idea fu suggerita a Giovanni Paolo II dal giornalista Vittorio Messori, suo ospite a pranzo a Castelgandolfo, che dice di avergli dato l’idea di togliere la sesta invocazione “Non ci indurre in tentazione” e sostituirla con ”e non ci abbandonare alla tentazione”. . Messori però nel 2002 ci tenne a scrivere per il Corriere della Sera un articolo pubblicato il 25 maggio, e ripreso per il suo blog il 22 aprile 2014, per far sapere che il papa polacco
“era un attento lettore dei miei libri e dei miei articoli sui quotidiani italiani. Un giorno mi fece telefonare per invitarmi a colazione nella sua residenza estiva di Castelgandolfo”,
e per far sapere di essere stato l’unico a intervistare don Carmìgnac, “il maggiore specialista al mondo dei manoscritti del Mar Morto”.
Messori specificò che Carmìgnac riguardo quelle parole del Padre Nostro “basandosi sull’originale semitico nascosto sotto il testo greco proponeva come davvero fedele alte parole di Gesù un “non permettere che soggiaciamo alla tentazione (del Maligno)”. E aggiunse che quel religioso soffriva molto perché in Vaticano non gli davano retta. Un modo apparentemente modesto di far capire che l’innovazione che Wojtyla voleva ma rimasta nei cassetti l’aveva suggerita lui durante quella cena a Castelgandolfo. A futura memoria nel caso, ormai inevitabile, che qualche Pontefice successore di Wojtyla tornasse sull’argomento e riuscisse nell’impresa.
Come abbiamo visto, in Francia se ne parlava da quasi 40 anni…