Pensione a 70 anni, in Germania ci sono quasi

Mentre in Italia ci si accapiglia sul tema delle pensioni di anzianità, i ricercatori del Max-Planck-Institut e della Cambridge University pronosticano che fra 60 anni l’aspettativa di vita media sarà di cento anni, traguardo già previsto da vari specialisti nel libro “Il Manifesto della lunga vita” (Sperling&Kuepfer, 2007), dove si mette l’accento anche sulle drammatiche conseguenze per i bilanci degli Stati, compresi gli Usa e quelli europei, a causa dell’aumento esponenziale delle spese sanitarie, assistenziali, previdenziali e pensionistiche. Si ricorda che l’attuale aspettativa di vita in Italia si aggira sugli 84,3 anni per le donne e 79,1 per gli uomini.

A questa bomba a orologeria sotto il bilancio statale italiano, si aggiunge l’esplosivo della natalità insufficiente e della mancanza di lavoro stabile per i giovani. Si fanno cioè pochi figli, e molti di loro non riescono a trovare un lavoro non precario o comunque con contributi previdenziali tali da poter alimentare il sistema pensionistico.

In Germania, vale a dire nel paese leader europeo che detta legge anche al governo italiano in molti campi, questi temi li hanno affrontati da tempo, creando un metodo e un organismo per elaborare delle proposte man mano aggiornate con due rapporti consegnati ogni anno al capo del governo tedesco, rapporti che si occupano di economia ma anche dei temi comunque centrali per il Paese.

L’organismo in questione si chiama Sachverständigenrat ed è composto da cinque economisti di chiara fama, detti anche i cinque saggi dell’economia, ed è noto in Italia come Consiglio degli esperti economici. Le ricette sono arrivate, precise e chiare, e raccomandano interventi nel settore previdenziale e occupazionale. L’ultimo rapporto, di qualche mese fa, nelle sue 211 pagine contiene come sempre proposte concrete, che purtroppo però vanno in direzione diametralmente opposta alle pretese della Lega Nord.

Per esempio, al cancelliere Angela Merkel i cinque saggi hanno fatto notare che per la sostenibilità non solo del sistema previdenziale, ma anche di quello produttivo, “servono 350 mila immigrati in più ogni anno”. Una ricetta amara per i nostri leghisti, anche se addolcita dalla raccomandazione che tali immigrati siano il più possibile “qualificati”.

L’altra ricetta contenuta nelle 211 pagine ha già fatto molto discutere: innalzare gradatamente l’età pensionistica portandola per tutti a 69 anni, fatta eccezione per i lavori usuranti. In base a raccomandazioni precedenti del Consiglio dei cinque saggi è già stato deciso che nel 2029 tutti possano andare in pensione non prima dei 67 anni di età. Ora però il traguardo deve essere spostato in avanti: entro il 2060, cioè nel giro di due generazioni, si dovrà lavorare fino a 69 anni. I nati dal 1977 in poi è possibile che non possano andare in pensione prima di tale età.

I motivi della proposta di riforma e della raccomandazione sull’incremento di immigrati sono i seguenti. Negli anni ’60 gli ex lavoratori tedeschi usufruivano della pensione in media per dieci anni, oggi invece per più di 18, cioè quasi il doppio. Inoltre la popolazione diminuisce a causa del basso tasso di natalità (i nati si sono dimezzati in 50 anni, arrivando a meno di 650 mila l’ anno) e questo decremento se non viene corretto comporterà una diminuzione di dieci milioni di abitanti entro il 2050 e di conseguenza un crollo decisamente drammatico della produzione e della ricchezza nazionale.

Ovvio che le conseguenze sarebbero disastrose non solo per la Germania, ma anche per l’intera Unione Europea. Specie se le cose dovessero continuare ad andare come stanno andando, vale a dire se si dovessero ripresentare crisi come quella attuale dalla quale non è chiaro se e come se ne può uscire. Per sopperire alla carenza di occupati il Consiglio degli esperti ha suggerito anche una serie di riforme per permettere alle donne di liberarsi dai lavori domestici e potere così entrare nel mercato del lavoro retribuito.

Come si vede, in Italia si litiga mentre la Germania non smette mai di pensare concretamente al futuro. Mentre noi abbiamo ministre di bella presenza ma di scarsa o nulla utilità come Mara Carfagna per le evanescenti Pari Opportunità, in Germania fin dal 21 novembre 2002 il ministro per gli Affari Sociali, signora Ulla Schmidt, ha insediato la “Commissione per la sostenibilità del finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale”.

La Commissione è composta da 26 esperti provenienti dal mondo politico, economico, scientifico e sindacale, che, sotto la guida del docente ed esperto di economia Bert Rürup, deve elaborare proposte per il futuro dei sistemi pensionistico, sanitario e assistenziale tedesco, attenendosi però al “rispetto dell’equità intergenerazionale e riducendo i costi accessori del salario”. Alla Commissione viene anche affidato il compito di suggerire gli interventi legislativi da attuare, preparando anche l’opinione pubblica ai futuri tagli delle spese sociali, ritenuto ormai comunque inevitabili.

Il primo rapporto, con annesse ricette e suggerimenti, arriva dopo meno di un anno, per l’esattezza il 28 agosto 2003, senza restare inascoltato. L’utilità di un tale modo di procedere porterà alla creazione del Sachverständigenrat, il Consiglio dei cinque saggi presieduto fino a qualche tempo fa proprio da Bert Rürup.

Domanda: perché in Italia non possiamo seguire il metodo tedesco? Perché non possiamo arrivare anche noi, con l’apporto delle varie parti sociali, a proposte concrete da tradurre in realtà anziché lasciarle affogare nelle chiacchiere e nella polvere?

 

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