Mentre la pensione mia e di altri colleghi subiva i vari stop della perequazione, cioè del recupero parziale dell’inflazione calcolata dallo Istat, i canoni di affitto delle nostre abitazioni continuavano invece ad aumentare perché sempre “perequati”, cioè aumentati in base all’aumento della stessa inflazione calcolata dall’ Istat.
Ecco una evidente contraddizione e ingiustizia del tiro al piccione in auge da tempo contro i pensionati. Posso magari capire e accettare il ricorso a volte allo stop della perequazione delle pensioni, ma è evidentemente inaccettabile che queste vengano colpite dall’ulteriore ridimensionamento provocato dagli affitti delle abitazioni.
È evidente che se i politici fossero capaci, intelligenti e onesti, dovrebbero bloccare in parallelo quanto meno i canoni degli affitti. Che non sono uno scherzo. In 20 anni il canone d’affitto dell’appartamento dove abito è esattamente raddoppiato, raddoppio avvenuto per tutti gli altri affittuari ventennali dell’immobile. Ma gli euro degli stipendi per chi è ancora al lavoro e delle pensioni per chi non lo è più NON sono affatto raddoppiati. E il futuro si annuncia anche peggiore.
Sto parlando di pensioni niente affatto d’oro, e neppure d’argento, per giunta maturate con il sistema contributito e non più retributivo fin dal ’95: calcolate cioè in base a quanto effettivamente versato all’ente pensionistico e non in base agli ultimi stipendi percepiti prima di andare in pensione. E sto parlando di colleghi che, come me nonostante la mia veneranda età, hanno figli che mantengono all’Università e non di rado figli ultra trentenni ancora a carico perché non trovano un lavoro degno di tale nome.
È davvero necessario un prelievo forzato dalle pensioni, come a suo tempo dagli stipendi per poter entrare nell’euro? Perché allora non dare dei buoni del Tesoro o altri titoli di Stato, magari azioni privilegiate, cioè senza diritto di voto, di aziende pubbliche in cambio della cifra prelevata? Si parla tanto e spesso si straparla di altre privatizzazioni. Bene. Perché allora non destinare parte delle privatizzazioni ai pensionati ai quali si “statalizza”, dandola cioè al fisco, (anche) la mancata perequazione o i blocchi d’altro tipo?
Ormai anche nel partito “de sinistra” Pd è di moda blaterare contro chi osa avere pensioni che superano i 1.500 euro netti al mese. Completamente smarrita la cultura politica originaria, quella cioè che dal Partito comunista s’è man mano annacquata nei vari PdS, DS, SD fino all’approdo nel PD, completamente persa la capacità di analisi della realtà produttiva italiana e della composizione della società (“le classi”: do you remember?), smarrita perfino la bussola della scuola di buona qualità per tutti e dello stimolo per la ricerca scientifica, i nostri eroi ripiegano nella contemplazione dell’anagrafe: giovani, donne, anziani, occupati, disoccupati, semioccupati, pensionati… E ovviamente tirano a colpire chi meno si può organizzare e difendere. Strano modo di essere sinistra.
Per carità, le pensioni d’oro ci saranno anche, anzi ci sono, ma in numero talmente limitato che anche a tosarle robustamente le casse statali ci ricavano ben poco. Certo non a quello che serve per rilanciare l’occupazione e garantire un futuro, pensione compresa, ai giovani. Dove sta scritto che il rilancio dell’occupazione e il futuro dei giovani deve essere garantito o co-garantito dai pensionati, d’oro o d’argento che siano, anziché da una politica capace di essere tale come è sempre avvenuto in passato? E il populismo non è certo politica capace. Così come è da politici d’accatto e demagoghi di professione predicare l’eguaglianza ai livelli più bassi anziché quella ai livelli abbastanza alti per tutti. Le scialuppe di salvataggio del Titanic non sono occupate dai pensionati d’oro o d’argento, ma dalla massa di politici che non sono all’altezza della situazione.
E che non siano all’altezza della situazione lo dimostra ancora una volta un fatto ben preciso. Anziché aggredire l’evasione fiscale e l’economia in nero, basata oltretutto sul dilagare della criminalità, pur di tenersi buono il circo berluscone eliminano di colpo la Imu, alla cieca, senza sapere come rimpiazzarne gli introiti, per poi ammettere candidamente che la cancellazione di tale tassa comporta “meno risorse per l’occupazione e per la lotta all’evasione fiscale”! Il tutto però lasciando intatti i privilegi del Vaticano, che non solo in fatto di Imu si è scoperto – grazie all’archivio di Gotti Tedeschi, ex timoniere della banca vaticana IOR – essere stati mercanteggiati assieme a molto altro: compresa l’approvazione di leggi e delle nomine ai vertici della Rai e di altri strapagati posti di comando e potere.
Una tale pletora di politici, a grande maggioranza incapaci, si rivela così parassitaria di fatto, ingiustificata quindi. Lo Stato risparmierebbe molto di più riducendo il numero dei parlamentari e magari eliminando il loro diritto alla pensione anche dopo appena una legislatura, vale a dire dopo appena quattro anni di parlamento. Se poi ci si decidesse a eliminare le province, ovviamente senza licenziare nessuno ma bloccando il turn over e trasferendo man mano le competenze, i risparmi sarebbero enormemente più grandi.
Ho più volte sostenuto che poiché la vita media si allunga è ovvio che si deve allungare anche la vita lavorativa. In Italia la vita media è di 79,4 anni per gli uomini e a 84,5 per le donne. Mi pare ovvio ritardare progressivamente l’andata in pensione portandola fino ai 70 anni, problema che in alcuni Paesi europei già si è posto. Così il “peso” pensionistico calerà drasticamente. Ma c’è il coro di chi sostiene che ritardare l’uscita dal lavoro significa impedire l’ingresso ai giovani. Affermazione falsa, come dimostra il fatto che alla massa di prepensionamenti non solo nei giornali NON è seguito l’incremento delle assunzioni di giovani. Per evitare progressioni eccessive della retribuzione se ne potrebbe rallentare o bloccare la crescita dopo il 65° anno di età.
A conti fatti, la guerra ingaggiata da vari politici anche “de sinistra” contro i “privilegi pensionistici” diventa un rimprovero al fatto che la vita media si è allungata “troppo”. Ma un rimprovero anche a chi nella vita ha saputo migliorare la propria posizione occupazionale e professionale conquistando stipendi più alti della media prima e di conseguenza pensioni più alte della media dopo. Di questo passo, si comincerà a reclamare contro chi ha risparmi “d’oro” in banca, cioè per esempio più di 10 mila euro, contro chi ha abitazioni “d’oro”, cioè più grandi per esempio di 60 metri quadri, contro chi ha auto “d’oro”, cioè di cilindrata superiore ai 500 o ai 1.000 centimetri cubi, ecc.
Prima di arrivare a questi punti di follia, contenuti in nuce nell’attuale assalto indiscriminato alle pensioni “d’oro”, è bene fermarsi. E riflettere.