ROMA – Due bombe atomiche sganciate dalla Corte Costituzionale sulle casse dello Stato, ma subito scongiurate con la semplicissima strategia di un colpo al cerchio e uno alla botte. Con la prima bomba, della quale finora è esploso solo l’innesco, la Corte Costituzionale ha incenerito una massa di nomine avvenute senza concorso e con la seconda, sganciata ma non ancora esplosa, ha molto probabilmente spazzato via il blocco della perequazione delle “pensioni d’oro”. Nel primo caso è il governo che nel prossimo consiglio dei ministri cercherà di metterci una pezza con un apposito provvedimento che eviti la deflagrazione per intero. Nel secondo caso potrebbe essere la stessa Corte a disinnescare il catastrofico ordigno. Come? Ricorrendo al noto ritornello “Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato”. Ma andiamo per ordine.
Come è noto, di recente sono state azzerate dalla Consulta oltre la metà (767, per la precisione) delle nomine illegittime, dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, delle Dogane e del Territorio. La sentenza della Corte è fresca di stampa sulla Gazzetta Ufficiale, motivo per cui potrebbe provocare fin dai prossimi giorni un enorme fungo di ricorsi per annullare centinaia di migliaia, se non milioni, di cartelle delle tasse firmate dai funzionari azzerati( http://www.laleggepertutti.it/82685_ecco-i-nomi-dei-falsi-dirigenti-dellagenzia-delle-entrate ). Gli effetti sarebbero peggio di uno tsunami non solo per l’Agenzia delle Entrate, ma anche per lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze.
Veniamo ora alla seconda faccenda: la sentenza in via di stesura, o probabilmente già scritta ma non ancora resa nota, dopo l’udienza dello scorso giorno 10 della Corte Costituzionale riguardo il mancato adeguamento automatico a una parte dell’inflazione, in gergo “perequazione automatica”, deciso per gli anni 2012 e 2013 per le cosiddette pensioni d’oro . E’ quasi certo, se non ovvio, che la Corte decida o abbia deciso che il blocco della perequazione per quel solo tipo di pensioni sia incostituzionale. Nel giugno 2013 infatti la stessa Corte ha bocciato perché incostituzionale il provvedimento che tagliava con un prelievo rafforzato le pensioni sopra i 90 mila euro lordi l’anno. Bocciatura dovuta al fatto che l’eguaglianza di tutti i cittadini sancita dalla Costituzione esclude la possibilità di discriminazioni di sorta, chiarendo inoltre che la pensione,
“deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore (ora pensionato) ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa. Tale proporzionalità e adeguatezza devono sussistere non soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta, secondo valutazioni riservate, anche con riguardo alle disponibilità finanziarie, alla discrezionalità legislativa purché esercitata in modo non irragionevole e arbitrario”.
L’inciso “anche con riguardo alle disponibilità finanziarie” (dello Stato) potrebbe essere la chiave con la quale la Consulta disinnesca la bomba e salva capra e cavoli. Vale a dire, pur annullando per il presente il blocco della perequazione evita comunque la restituzione di quanto già trattenuto in passato dallo Stato. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte. Tanto più che lo stesso citato “riguardo” è già contenuto nella sentenza n° 316 del 2010 riferita al del blocco della perequazione per le “pensioni d’oro” voluto dal governo Prodi per il 2008. E’ infatti vero che in quella sentenza si legge che
“la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”.
Ma è anche vero che vi si legge pure quanto segue:
“la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico, cui lo strumento della perequazione automatica è certamente finalizzato, incontra il limite delle risorse disponibili”.
Difficile quindi, se non impossibile, che la Corte contraddica se stessa legittimando la tosatura delle sole “pensioni d’oro”, le quali peraltro partono da una cifra netta mensile che non è neppure d’argento. Però la restituzione del maltolto accumulato dal 2012 comporterebbe per lo Stato un salasso tra i 5 e gli 8 miliardi di euro. Restituzione che i giudici della Corte sanno bene essere pressocché impossibile: con i chiari di luna di questi tempi, avrebbe effetti tali sulle finanze dello Stato da alterare la legge di stabilità varata dal governo in carica, che sarebbe costretto a una nuova “manovra”.
La Consulta ha già salvato capra e cavoli con la recente sentenza del sulla cosiddetta Robin tax, cioé sull’Ires a carico dei petrolieri, con la quale ha infatti stabilito che la tassa è illegittima, ma solo per il futuro.
Insomma – a meno di un clamoroso contraddirsi della Consulta – “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammoce ‘o passato!”.
POST SCRIPTUM
Forse Renzi lo renderà un esercizio inutile, ma in attesa di sapere come disinnescherà la prima bomba atomica chi per curiosità volesse sapere se potrebbe presentare ricorso per farsi restituire le tasse pagate, o non pagare quelle già notificate, può consultare l’apposito articolo di Blitz del 27 febbraio scorso con il quale l’avvocato Antonio Greco spiega come stanno le cose.