MILANO – Il neo presidente dell’Inps Tito Boeri, con la non insolita boria dei bocconiani che ha caratterizatto anche il pernicioso ex primo ministro Mario Monti, continua ad annunciare batoste contro le cosiddette “pensioni d’oro” con il cipiglio da ministro se non da capo del Governo. Ma continua a collezionare figuracce perché smentito ormai da tutti coloro che nella stanza dei bottoni ci stanno davvero, da Matteo Renzi al suo fido braccio destro per l’economia Yoram Gutgeld, fino al ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
Strano che un bocconiano come lui non citi MAI la legge Mosca, che approvata nel 1974 ha permesso man mano lo sbarco di un totale 40 mila personaggi, compresi nomi di peso come l’ex presidente dela Repubblica Giorgio Napolitano, nel paradiso delle pensioni Inps ottenute senza avere MAI versato una lira di contributi.
Una estensione della legge Mosca ai giornalisti ha consentito a uno stuolo di politici di aggiungere alla ricca pensione da parlamentare anche quella da giornalista i cui contributi però sono stati in larga misura accreditati dall’Inpgi. Lo stesso principio di rivalutazione è stato applicato anche ai non parlamentari che abbiano lavorato in giornali politici, sindacali ecc.: questo scherzo sarebbe costato alle casse della previdenza dei giornalisti, Inpgi, alcune centianaia di milioni di euro. Ora invece di chiedere indietro quei soldi,vogliono tagliare le pensioni a chi ha versato fior di contributi dal proprio stipendio.
Strano anche che lo stesso bocconiano Tito Boeri pratichi una sorta di gioco delle tre carte evitando accuratamente di dire che l’Inps pratica sia l’erogazione delle pensioni a chi ha versato i contributi durante l’intera vita di lavoro sia a chi invece ha versato poco o nulla, ai baby pensionati e agli indigenti con la pensione “sociale” o minima. Insomma, il bocconiano Boeri non vuol far sapere troppo che l’Inps pratica anche l’ assistenzialismo, come è più o meno giusto, e che il macigno al collo del suo bilancio è QUESTO e NON le pensioni d’oro – che sono la conseguenza di contributi previdenziali d’oro – e tanto meno quelle abusivamente e demagogicamente dette “d’oro”.
Ma andiamo per ordine, prima è bene far notare come Yoram Gutgeld abbia fatto, e fatto perciò fare a Renzi, un’inversione a U rispetto quanto dichiarava solo due anni fa a proposito della necessità di bastonare i pensionati “d’oro”, che spesso non erano e non sono neppure d’argento. Come mai questo clamoroso ripensamento? Evidentemente i cervelloni renziani devono essersi accorti – alla buon’ora! – che in un “Paese di vecchi”, cioè di pensionati, come l’Italia quando si arriva alle elezioni NON è trascurabile, trattandosi infatti di milioni di elettori. Meglio quindi tenersi buono un così ricco bacino elettorale evitando di continuare a minacciare sfracelli con la ridicola scusa dell'”equità sociale”, la quale semmai dovrebbe essera assicurata sia eliminando buona parte delle 40 mila pensioni, spesso doppie, munte a sbafo dalle poppe di mamma Inps sia garantendo anche ai non abbienti prestazioni sanitarie pubbliche non da accattoni il lunga lista d’attesa, ma a un livello non insoportabilmente diverso da quello che chi ha invece quattrini può garantirsi ricorrendo a medici e cliniche private.
Inoltre le pensioni, d’oro o no, sono state inesorabilmente trasformate nell’ultimo vero ammortizatore sociale esistente in Italia. Spesso infatti i pensionati anziché godersi la pensione spendedola in bagordi o comunque tutta per sé la devono spendere in gran parte per mantere i figli disoccupati o aiutare quelli sotto o male occupati. E poiché ormai si tratta di figli ultratrentenni, con relativa prole, ecco che i nonni sovente devono aiutare con i soldi della pensione anche i nipotini. Questa sì che è una funzione sociale, un vero e proprio ammortizatore sociale, ma a carico delle tasche dei pensionati! E se questi “aiuti” a figli e nipotini vesissero a mancare, la protesta “giovanile” monterebbe e sarebbe un bel guaio per qualunque governo in carica, compreso quello di Renzi.
Veniamo al sodo. Boeri è smento anche dallo studio presentato da Alberto Brambilla alla Camera, dive si leggono due cose interessanti:
-“Il tasso di rendimento delle pensioni col retributivo calava notevolmente oltre la soglia di 44 mila euro di reddito e che queste pensioni sono già state penalizzate con ripetuti interventi di blocco della indicizzazione ai prezzi e con l’imposizione di contributi di solidarietà”.
– “le pensioni che incorporano in proporzione la parte maggiore di importo non corrispondente a quanto versato non sono le cosiddette pensioni d’oro ma quelle integrate al minimo, quelle frutto di prepensionamenti, erogate da fondi speciali e le baby pensioni del pubblico impiego. Basti pensare che ben 8,5 milioni di pensionati (il 52,2% del totale) ricevono prestazioni «totalmente o parzialmente a carico della fiscalità generale”.
Veniamo ora alla legge Mosca, che tra i suoi miracolati annovera nomi di peso e di gran peso. Tutto grazie a una legge risalente al 1974, che prende il nome da Giovanni Mosca, deputato socialista e, in precedenza, leader della Cgil. La “leggina” fu presentata per sanare la situazione di qualche centinaio di persone, che nel dopoguerra avevano lavorato per sindacati o partiti politici più o meno in nero, cioè senza che a loro nome fossero stati versati all’Inps i contributi dovuti.
Bastava una semplice dichiarazione del rappresentante nazionale del sindacato o del partito e si potevano riscattare, al costo dei soli contributi figurativi, interi decenni di attività, a partire dagli anni ’50. Poiché siamo in Italia, proroga dopo proroga la legge Mosca è diventata non solo una sanatoria per poche centinaia di persone, ma un bengodi per quasi 40mila lavoratori – reali o presunti – di sindacati e partiti politici. Pensioni facili, facilissime. Che hanno procurato alle casse dell’Inps un aggravio valutato in 10 miliardi dì euro.
Tra i beneficiari della legge Mosca, molti bei nomi della politica e del sindacato: Armando Cossutta, Achille Occhetto, Giorgio Napolitano, Sergio D’Antoni, Pietro Larizza, Franco Marini, Ottaviano del Turco, la scomparsa Nilde lotti.
Pensioni che si sono andate ad accumulare a sostanziosi vitalizi parlamentari o ad altri trattamenti previdenziali. Accanto a questi personaggi noti, un esercito di funzionari più o meno oscuri. Chi è ricorso alla maxi-sanatoria previdenziale – perché di questo, in fin dei conti, si è trattato -sono stati soprattutto il Pci e la Cgil. Il Pci regolarizzò la situazione di circa 8 mila funzionari, la Cgil sanò le posizioni dì ben 10 mila dipendenti!
Ovviamente, come lecito attendersi in questi casi, molti ne hanno approfittato per farsi una pensione gratis senza averne diritto. Le tante inchieste avviate dalle procure di mezza Italia tra il 1995 e il ’96 portarono alla luce casi clamorosi, come quelli di funzionari che dichiaravano di aver iniziato a lavorare sin dalla tenera età di cinque anni, oppure quando il loro sindacato o il loro partito ancora non esistevano.
Come se non bastasse, un’altra leggina, votata ai tempi dell’Ulivo, garantisce ad alcuni sindacalisti la possibilità di vedersi moltiplicare per due i contributi pensionistici e quindi, di fatto, di ottenere una pensione doppia. Lo statuto dei lavoratori prevede che ai dipendenti in aspettativa per lo svolgimento di incarichi sindacali siano versati, a carico dell’Inps, i soliti contributi figurativi, calcolati sulla base dello stipendio non più versato dall’azienda di provenienza. Un decreto legislativo del ’96, firmato dall’allora ministro del Lavoro Tiziauo Treu, uomo vicino alla Cisl, prevede però che i sindacalisti in aspettativa possano godere di un ulteriore versamento da parte del sindacato.
Lo stesso privilegio è garantito ai sindacalisti distaccati: quelli, cioè, che continuano a percepire lo stipendio dell’azienda privata o dall’ente pubblico di provenienza pur lavorando esclusivamente per il sindacato.
I base agli ultimi dati disponibili, a godere di questo regime speciale di doppio contributo – in vista di una pensione moltiplicata per lo stesso fattore – sono 1.793 sindacalisti, dei quali ben 1.278 fanno capo alla Cgil.
Insomma, se si volesse davvero una maggiore “equità sociale”, il bocconiano Boeri potrebbe intanto rendere pubblici i dati “assistenzialisti” che impiombano l’Inps e i dati delle decine di migliaia di pensioni per i miracolati della legge Mosca e affini. Compresi i provvedimenti che hanno provocato migliaia di baby pensioni, cioè di buone pensioni a chi aveva lavorato pochi o pochissimi anni e perciò versato pochi o pochissimi contributi previdenziali.
Così Renzi e Gutgeld potrebbero capire dove e come intervenire anziché dare aria alla bocca ed essere costretti a destreggiarsi tra ambiguità poco rassicuranti e inversioni a U. Le quali non fanno altro che confermare che a tutti i nostri politici, compresi i rottamatori alla Renzi e Gutgeld, ciò che realmente interessa NON è un sistema pensionistico equo e finanziabile senza drammi, ma, come sempre, tenersi buone larghe fette di elettorato in modo da poter avere i voti necessari per stare e restare in politica. Maturando ovviamente le relative ricche pensioni a carico dell’Inps… Cioè delle tasche di tutti coloro che lavorano davvero.