Per tenere aperto caso Orlandi anche una sigla di Calipari..

Per tenere aperto caso Orlandi anche una sigla di Calipari..
Per tenere aperto caso Orlandi anche una sigla di Calipari..

ROMA – Ultimi tiri d’artiglieria, petardi, colpi bassi ed esagerazioni varie per il mistero Orlandi e annesso mistero Gregori. Mercoledì 30 ha inizio finalmente la camera di consiglio convocata dal giudice per le indagini preliminari (GIP) Giovani Giorgianni per decidere se accogliere la richiesta di archiviazione formulata il 5 maggio dal procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, in accordo col sostituto Simona Maisto e col magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) Ilaria Calò e in disaccordo con l’aggiunto Giancarlo Capaldo, oppure accogliere l’opposizione all’archiviazione presentata dai quattro avvocati schierati dagli Orlandi e dai Gregori. Quanto durerà la camera di consiglio non è dato sapere, può durare mesi oppure pochi giorni. Intanto però gli ultrà del mistero non risparmiano i colpi, neppure quelli bassi. Alle bordate di “Chi l’ha visto?”  ha fatto eco con entusiasmo, aggravandole, Il Fatto Quotidiano. Ma andiamo per ordine.

“Chi l’ha visto?” nella molto teatrale puntata dello scorso mercoledì 23  ha letto un’informativa della questura di Roma del 1997, piena di affermazioni fatte da “fonte confidenziale qualificata”, purtroppo però in gran parte  indimostrabili. La “fonte” addebitava infatti a Marco Fassoni Accetti, il fotografo romano auto accusatosi della scomparsa della Orlandi e della Gregori, turpi traffici pedofili, la responsabilità della scomparsa nel 1995 del dodicenne Bruno Romano, sfruttato per filmini porno, e di avere simulato nel 1984 la morte per investimento del ragazzino Josè Garramon per nascondere una morte avvenuta invece per stupro e strangolamento.

Purtroppo però l’autopsia fatta a suo tempo ha appurato che al bambino non era stato torto un capello e che la morte era dovuta alla violenza dell’investimento. Josè era stato colpito in pieno mentre correva in strada dal Ford Transit guidato a 70-80 chilometri orari da Accetti. Niente strangolamento dunque e niente stupro o anche solo molestie sessuali dal momento che il cadavere di Josè era vestito di tutto punto senza nulla fuori posto.

Per quanto riguarda le minacce fatte ad Accetti nel 1995 – nel corso di una concitata telefonata – di dire tutto riguardo propositi e azioni su Emanuela Orlandi, i magistrati, messi al corrente di quella telefonata solo nel 2013, hanno interrogato la ex convivente, autrice delle minacce, ma non vi hanno trovato nulla di rilevante, come si legge a chiare lettere nel documento firmato Pignatone, Maisto e Calò. Documento che parla anche della scomparsa di Bruno Romano senza però muovere nessun addebito ad Accetti.

Insomma, una faccenda ben diversa da quella dell’intercettazione che ha dormito nell’archivio della Procura della Repubblica per anni e anni e che quando è stata riportata alla luce dalla tenacia del marito Pietro Mattei ha permesso di scoprire finalmente chi e perché aveva ucciso il 10 luglio 1991 la contessa Alberica Filo Della Torre.

Informativa da cestinare, dunque, ma vistata dall’allora poliziotto Nicola Calipari, passato in seguito ai servizi segreti militari e acclamato come eroe nazionale quando venne ucciso a Bagdad da un soldato Usa il 4 marzo 2005 poco dopo avere contrattato e ottenuto la liberazione di un ostaggio italiano rapito dai fedeli del vecchio regime. Da notare che il soldato Usa aveva sparato perché nessuno lo aveva avvertito dell’imminente transito dell’auto con Calipari, che aveva imprudentemente taciuto la propria missione agli americani che occupavano l’intero Iraq, e perché l’auto con il nostro 007 incredibilmente non si era fermata a un posto di blocco di notte al buio in zona di guerra, mentre era diretta all’aeroporto. Non è dato sapere se l’imprudente silenzio e la fretta di Calipari fossero frutto della sua imperizia o di ordini piuttosto azzardati impartiti dai superiori. Sta di fatto che, come di frequnte accade in Italia, la vedova del nostro 007 venne candidata dal Pd ed eletta in parlamento.

Benché il visto di Calipari fosse poco più di una formalità su un documento altrui, ecco che Marco Lillo, sul Fatto Quotidiano ha colto la palla al balzo annunciando trionfante un articolo che però online non si trova, se ne trovano solo il titolo e il sommario:

“ESCLUSIVO – EMANUELA ORLANDI, LA PROCURA TRASCURO’ LA PISTA DI CALIPARI.
L’intercettazione del ‘97 – Il sospetto Accetti fu minacciato dalla sua compagna: “Racconterò cosa le hai fatto”. Solo ora le verifiche: inutili. Di Marco Lillo”

Ecco che un semplice visto, apposto a mo’ di passacarte, diventa addirittura “la pista Calipari”! Come se il futuro 007 ed eroe nazionale avesse firmato con convinzione dopo le doverose verifiche anziché limitarsi semplicemente a vistare un frutto altrui e come se la sua firma cancellasse le clamorose frottole rifilate dalla “fonte confidenziale qualificata”. E’ stato così che l’indignatissimo articolo de Il Fatto ha dato fuoco alle polveri: tanto è bastato perché la sua affermazione e le sue pesanti accuse alla magistratura venissero fatte proprie da Pietro Orlandi e perché contro la “viltà e l’omertà della magistratura” si scatenassero nel vasto web i suoi tifosi, gli amanti dei misteri più misteriosi e i giustizialisti di varia natura.

Per tentare di evitare l’archiviazione Pietro Orlandi ha consegnato per il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), cioè al Capo dello Stato Sergio Mattarella, circa 70 mila firme, raccolte anche grazie alla insistente grancassa di “Chi l’ha visto?”, di persone contrarie all’archiviazione. Poiché il CSM non ha potere giudiziario, ma è solo l’organo di autogoverno e l’organo disciplinare della magistratura, non si vede che senso possa avere questa nuova iniziativa. Inoltre per quel che se ne sa le firme sono state raccolte senza la garanzia di un notaio o di un cancelliere di tribunale, quindi non possono avere molta validità. Senza contare che la legge italiana prevede che un’indagine non può restare aperta all’infinito, se non ci sono né prove né indizi convincenti dopo un certo numero di anni deve essere chiusa.

Ma può sempre essere riaperta se ci sono elementi concreti nuovi, tant’è che proprio il caso Orlandi è stato riaperto più di una volta e i magistrati non hanno mai trascurato nessuna segnalazione nuova, neppure le più improponibili e strampalate. Perciò far credere che l’archiviazione sia una pietra tombale perenne significa dire una cosa falsa.

Il lato per così dire comico di questi ultimi fuochi è che la mancata firma di Capaldo viene portata come prova del fatto che le indagini devono continuare a carico della cosiddetta banda della Magliana, onnipresente e ubiquitaria, mentre invece è certo che il procuratore aggiunto voleva semmai approfondire la figura di Marco Fassoni Accetti.

Ci sono stranezze e disinvolture eccessive anche nelle opposizioni presentate dai tre avvocati di quattro Orlandi e dall’avvocato dei Gregori. Per esempio, mentre l’avvocato Massimo Krogh, legale di Pietro Orlandi, insiste sulla pista della cosiddetta Banda della Magliana – e del suo defunto asserito “boss” Enrico De Pedis benché assolto in vita anche dall’accusa di esserne stato un semplice gregario – l’avvocato Ferdinando Imposimato, legale della madre di Pietro e di Emanuela, insiste a lungo sulla fantasmagorica pista internazionale, con un miscuglio di servizi segreti degli ormai scomparsi Paesi comunisti e complotti vari, riproducendo in pratica il succo di suoi libri.  Ma le disinvolte opposizioni degli avvocati meritano semmai un articolo a parte.

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