Le finestre della Polverini e i contratti degli uffici stampa della Regione

Anche se ormai s’è dimessa da governatore del Lazio, vale la pena di raccontare un episodio attribuito a Renata Polverini che dà un’idea del suo uso di due pesi e due misure almeno per fatti ritenuti di scarsa o nessuna importanza.

Quando arrivò nel suo ufficio alla Pisana, così si racconta, la neo governatrice come prima cosa storse il naso: l’illuminazione naturale era troppo scarsa a causa della vicinanza di una parete esterna alle finestre, che erano anche scomode. Dopo avere storto il naso Renata Polverini non perse tempo, fece le sue rimostranze alla competente struttura tecnica regionale. Detto, fatto: la tecnostruttura provvide a marce forzate ad aprire nell’ufficio del nuovo Numero Uno del Lazio due grandi e luminose finestre affacciate sul giardino. E per far posto ai finestroni una scala in muratura fu demolita e ricostruita a razzo, a una distanza dalla parete esterna tale da poter consentire l’apertura delle due belle vetrate.

Dopo tale vicenda era legittimo aspettarsi da parte della governatrice una particolare sensibilità in tema di illuminazione delle stanze di lavoro dei suoi sottoposti, impiegati compresi. Invece non è stato così. Un addetto all’ufficio stampa del Consiglio, il giornalista Ugo Degl’Innocenti, assunto per concorso e decano dei nove colleghi del suo ufficio, vari mesi fa si è visto trasferire la sua postazione di lavoro in una stanza pessimamente illuminata. Il trasferimento gli era stato annunciato come ”temporaneo”, in attesa che finissero gli interminabili lavori di ristrutturazione dei vecchi uffici, ma il tempo passa e quel “temporaneo” somiglia sempre di più a “definitivo”. A differenza delle altre stanze assegnate “provvisoriamente” agli altri giornalisti dello stesso ufficio stampa, quella di Degl’Innocenti non è dotata di un impianto di condizionamento dell’aria e manca anche un semplice impianto di aereazione. Le finestre sono del tipo cosiddetto “vasistas”, apribili cioè solo in parte, verso l’interno e con asse orizzontale anziché verticale. Il guaio supplementare e che l’angolo di apertura è di pochi gradi e le finestre si affacciano sulla parete esterna di una rimessa che si trova ad appena un metro e mezzo di distanza. Ovvio che di luce e aria nella stanza ne entrino ben poche.

A questo punto vale la pena aprire una parentesi per spiegare perché quel tipo di finestre si chiama vasistas. Il nome deriva infatti dal tedesco “was ist das?”, che in italiano significa “cos’è questo?”. O, come dicono dalle nostre parti, “ma che è ‘sta roba?”. Evidentemente, deve essere stata questa l’esclamazione di molta gente le prime volte che ha visto le vasistas….

Come che sia, Degl’Innocenti a un certo punto ha perso la pazienza e ha inviato una e-mail alla Polverini, facendo anche notare per l’appunto che per il proprio ufficio lei era stata accontentata con molta solerzia, mentre lui se ne sta invece in una stanza che sembra un sottoscala. Stanza nella quale per poter avere un po’ d’aria fresca si deve tenere aperta la porta antincendio che dà sul corridoio. Dal corridoio però arriva l’odore della vicina mensa e soprattutto il fumo dei capannelli dei troppi schiavi delle “cicche”.

Motivo per cui Degl’Innocenti all’allora governatrice ha anche fatto notare una stranezza, che a dire il vero è un illecito: “Nessuno si è ancora premurato quanto meno di mettere nell’ufficio stampa – nel vecchio ufficio come in quello provvisorio – cartelli con la scritta “vietato fumare”, nonostante la relazione del 16 febbraio 2011 del medico competente, che durante un sopralluogo aveva rilevato un “fastidioso odore di fumo di tabacco” e quindi consigliato “di effettuare una più intensa vigilanza e repressione dei comportamenti a rischio, preceduta da massicce campagne di informazione e di sensibilizzazione antifumo presso i lavoratori”.

Il tempo è passato, ma nessuno, tanto meno la Polverini, s’è mai fatto vivo, mentre il fumo e gli odori forti della mensa sono ancora lì. Dato che ci siamo, vale la pena porre una domanda: perché nella stessa Regione Lazio i giornalisti dell’ufficio stampa del Consiglio hanno un contratto impiegatizio, mentre a quelli dei gruppi consiliari si applica il contratto nazionale collettivo dei giornalisti? Certo, sono cose un po’ di bottega e di casta, che danno pochi brividi ai milioni di precari e cassintegrati, ma sono indici di una scompostezza di comportamenti che è emblematica.

Tra tanto scialo di quattrini da parte dei consiglieri che alla fine ha affondato la Polverini, è possibile che nessuno abbia mai avuto il tempo necessario per accorgersi della discriminazione contrattuale. A ben vedere, questa disparità di trattamento e il menefreghismo della giunta e del consiglio sono uno scandalo nello scandalo. Anche perché il “Testo unico delle leggi regionali in materia di comunicazione” (proposta di legge regionale n. 172/2011) prevede proprio che “al personale, iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, che svolge attività di informazione presso gli uffici stampa della Giunta e del Consiglio regionale, si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico.”. A novembre dello scorso anno la proposta di legge in questione ha ottenuto il parere favorevole della commissione competente (oltre al plauso del sindacato dei giornalisti intervenuto anche in audizione), ma all’ordine del giorno del Consiglio laziale neppure è stata inserita. Forse troppo indaffarati nelle feste in costume greco romano e in carnasciali d’altro tipo, i consiglieri non hanno avuto il tempo per badare a certe quisquilie.

 

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