Presidente della Repubblica, giorno -7, i partiti non superano gli interessi di parte: e si spera in Mattarella

Presidente della Repubblica, a – 7 dalla elezione. Trovo deprimente e allarmante, che si parli in continuazione della scelta del prossimo presidente della Repubblica come di una partita per la quale l’unica preoccupazione è vincere.

Vincere sì, ma per fare cosa? Mistero. L’unica cosa chiara è che tutti vogliono vincere per il proprio interesse, privato, personale, di partito, di gruppo, di bottega. Senza mai nominare e delineare l’interesse generale dell’Italia,  della quale devono scegliere il presidente dei prossimi sette anni.

L’interesse generale e le cose da far realizzare al prossimo presidente per il bene nazionale non vengono mai specificate e discusse da partiti, kingmaker veri o presunti, leader, opinionisti e strateghi vari. Immersi in strategie, alchimie, consigli e suggerimenti che potrebbero andar bene per partite di calcio.

E immersi anche in condanne e veti preventivi contro questo o quel candidato perché non è un esempio edificante.

Vedi il caso di Silvio Berlusconi. Come se i suoi critici feroci il loro dentista, cardiologo, medico personale, guardiano del condominio, custode dei propri risparmi e guadagni, lo scelgano non in base alla sua bravura professionale, ma in base alla sua morale e condotta di vita privata.

Tutto ciò premesso, è allucinante che si voglia controllare se davvero voteranno per Berlusconi tutti i parlamentari dei partiti e partitini i cui leader lo vogliono al Quirinale. Controllo che avverrà, oltre che con la solita campagna acquisti, imponendo ai  parlamentari di ogni gruppo di scriverne il nome e cognome in modo preordinato.

Silvio Berlusconi per un partito, Berlusconi Silvio per un altro, S. Berlusconi, Berlusconi S. e infine solo Berlusconi per gli altri.

L’onorevole Roberto Fico, che presiederà al rito delle votazioni, se ne ha legalmente la possibilità farebbe meglio a decidere che si voterà indicando solo ed esclusivamente il cognome dei prescelti e che tutte le altre schede saranno nulle. Si eviterebbe così l’imposizione di una inammissibile umiliazione e mortificante guinzaglio per quelli che sono i rappresentanti del popolo italiano. Che quindi sarebbe in definitiva il vero umiliato.

C’è poi l’enigma Mattarella. In apparenza, Sergio Mattarella sembra volere anteporre il proprio interesse personale, godersi in santa pace la vecchiaia, all’interesse dell’Italia della quale è il presidente. Ma sarà vero? 

In questa situazione di partiti e forze politiche quanto mai tra loro divise e antagoniste, oltre che (incapaci e) TUTTE prive di strategie e programmi per mandare avanti l’Italia e il suo sviluppo, è chiaro da molte settimane che l’interesse nazionale è che Mattarella resti al Quirinale. In modo che Mario Draghi resti a Palazzo Chigi.

Mattarella presidente, Draghi a Palazzo Chigi

Che restino entrambi dove sono almeno finché l’Italia non sarà  riuscita a ricevere dall’Unione Europea la grande massa di quattrini, parte dei quali da non restituire, cioè regalati, necessari per rimettersi in cammino. E diventare più moderna ed efficiente. Finché non sarà anche riuscita oltre che a riceverli anche a investirli in modo serio. Anziché dilapidarli come purtroppo avviene con buona parte della grande massa dei quattrini pagati dagli italiani con le tasse.

Quando l’Italia sarà un cantiere funzionante in tutti i settori nei quali deve costruire e ricostruire, allora Mattarella potrà anche uscire dal Quirinale dimettendosi. Anziché passare alla storia come il presidente del gran rifiuto, emulo del gran rifiuto di Papa Celestino V. Sempre che semplicemente Mattarella non segua il consiglio che, secondo Robert Harris nel bel libro Imperium, Cicerone elargì a Pompeo. Se vuoi essere eletto console, di’ che non lo vuoi.

Se questa occasione fornitaci dall’Unione Europea la si perde o la si dilapida, anche per rivoli malavitosi come al solito, c’è il rischio concreto che nel giro dei prossimi 7-10 anni il BelPaese scenderà non di poco nella classifica dei Paesi sviluppati. Con il rischio di incartarsi in una brutta spirale di retrocessioni. Capace di sfociare nella frantumazione dell’unità nazionale.   

 

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