Sallusti e il carcere: in gioco la libertà di stampa

di Pino Nicotri
Pubblicato il 7 Novembre 2012 - 10:09 OLTRE 6 MESI FA

Alessandro Sallusti finirà o non finirà in galera?

L’interrogativo che non sembra appassionare molto gli italiani sembra un po’ accantonato, tra “rottamatori”, risultati elettorali in Sicilia, boom del partito di Beppe Grillo ed elezioni Usa.

Anche la domanda se Sallusti verrà anche sospeso o cacciato dall’Ordine dei giornalisti oppure no: non se ne parla quasi più, e questo è un brutto segno: c’è il rischio infatti che complice il silenzio passi, non solo al Senato ma anche alla Camera la linea forcaiolo vendicativa di tutti coloro che in Parlamento con la scusa di evitare altri casi Sallusti vogliono gettar via l’acqua sporca con tutto il bambino.

Che in questo caso è la libertà di stampa, contro la quale è in corso da tempo il tentativo berluscone e non solo di imporre un qualche tipo di bavaglio in parallelo col tentativo di mettere la museruola ai magistrati. Tentativo riesploso alla grande con l’agitarsi di sapore sedizioso di Silvio Berlusconi di fronte a una semplice condanna emessa nei suoi confronti in nome e per conto del popolo sovrano da un tribunale della Repubblica italiana. Repubblica la cui Costituzione afferma fin dal suo primo articolo di non essere fondata né su Mediaset né su Publitalia né sul Cavaliere, e che il suo sovrano è, per l’appunto, il popolo. Non il signor Berlusconi Silvio.

Un antico detto cinese afferma che sollevare un masso troppo grosso senza poterlo spostare è da stupidi, perché si finisce col farselo cascare sui piedi, si finisce cioè col farsi molto male. In nessun Paese civile si potrebbe arrivare alla prova di forza in atto oggi in Italia per sapere se a sollevare un masso troppo grosso è stata una sentenza di condanna emessa da un tribunale della Repubblica o la reazione scomposta di un privato cittadino condannato, ma ricco sfondato e uso alle ribalderie più varie, compreso il pagarsi la nascita di un intero suo partito e frotte di parlamentari per spadroneggiare in parlamento e diventare capo del governo pro domo propria. Intanto però alle periodiche urla contro la magistratura si sono aggiunte le periodiche grida e manovre contro il giornalismo. Ma andiamo per ordine.

Libertà di stampa sì, certo! Ma la libertà di diffamazione e, peggio ancora, di calunnia cosa hanno a che spartire con la libertà di stampa? Nulla. Vero è che il caso Sallusti formalmente riguarda purtroppo più le seconde che la prima, però è vero pure che Sallusti paga per un articolo non scritto da lui e che la classe politica ha preso la faccenda come palla al balzo per regolare vecchi conti con la stampa, che non si decide a stare a cuccia nonostante di editori puri non ce ne siano quasi più e nonostante rischino la chiusura una settantina di testate.

Eventualità quest’ultima che fa esultare di gioia Beppe Grillo, il quale quindi è da presumere tifi per la galera anche a Sallusti oltre che per l’intera “Casta” intesa in senso molto lato. Oltre ai partiti, Grillo probabilmente vorrà abolire anche i giornali, tanto per fare buon peso. Ma davvero Sallusti merita di andare in carcere 14 mesi, sia pure magari ai domiciliari, visto che paga colpe altrui e che ha fatto il suo dovere di direttore di non rivelare il nome dell’autore dell’articolo per il quale gli è stata contestata l’omissione di controllo? Poteva forse Sallusti fare il nome dell’autore senza squalificarsi a vita di fronte alla redazione del suo giornale e non solo di fronte a quella? E come può, realisticamente, un direttore controllare la veridicità di TUTTI gli articoli pubblicati OGNI GIORNO dal suo giornale se in Italia per arrivare a una qualunque verità processuale ci vogliono più anni di attesa che per l’arrivo di Godot?

Guardiamoci bene in faccia: come è stato appurato purtroppo ex post, Sallusti paga per colpa del giornalista autore dell’articolo del 18 febbraio 2007, firmato con lo pseudonimo Dreyfus,  che diffamava o calunniava un magistrato di Torino. Come c’era da sospettare visto l’uso di uno pseudonimo da vittimista, l’articolo è farina di… Farina: vale a dire, di quel Farina Renato radiato dall’Ordine dei giornalisti per avere violato la legge che vieta collusioni con i servizi segreti, ma premiato da Berlusconi con un posto in Parlamento. Farina il coraggio di dire che l’articolo in questione l’aveva scritto lui l’ha trovato solo quando averlo trovato era ormai inutile se non ridicolo.

Vale a dire, quando la condanna di Sallusti era ormai definitiva, convalidata in terzo grado anche dalla Cassazione. Per giunta, Sallusti ha avuto un comportamento non supplice né accusatorio, non ha cioè inveito contro i magistrati, s’è limitato solo a dire una parte di quello che pensa di Farina e del suo “coraggio” a scoppio molto ritardato. In galera dovrebbe semmai finirci Farina, il Dreyfus fasullo che per anni ha lasciato venisse pubblicamente spezzata con disonore la spada non sua, ma quella del suo direttore colpevole di non averlo mollato al suo destino. Bella gratitudine, oltretutto.

Insomma, un bel pasticcio. Aggravato dal fatto che da qualche anno è di moda reclamare, anche e soprattutto da parte dei Sallusti e dei giornali da loro diretti, la “certezza della pena”, mentre in questo caso la pena è bene che resti sulla carta. E che diventi l’occasione per ripensare e ridefinire una materia quanto mai importante ponendo finalmente una discriminante ben precisa: non è ammissibile finire in galera per una omissione di controllo di un articolo.

Il nostro oltretutto è un Paese dove NON finisce in galera chi per omissione di controlli in fabbrica e nei cantieri provoca la morte di lavoratori, settore nel quale l’Italia ha il record europeo, e neppure chi per omissione di controllo della guida della propria auto provoca morti e a volte autentiche stragi.

Non sono d’accordo con chi dice che Sallusti non deve andare in prigione perché è inammissibile andarci per un reato d’opinione: non sono d’accordo non sul fatto che non si debba andare in prigione per reati di opinione, ma sul fatto che l’articolo che ha inguaiato Sallusti contenesse opinioni, visto che infatti non opinioni conteneva ma accuse gravissime, disonoranti e campate per aria. Oltre a sostenere che non si deve finire in carcere per reati di opinione, sostengo ad alta voce che non di deve finire in carcere per omissione di controllo di un articolo.

Non si deve neppure far passare la soluzione che i partiti vogliono invece far passare: multe o ammende o comunque sanzioni pecuniarie pesanti a carico dell’articolista e uso dell’Ordine dei giornalisti come bastone padronale per rompergli pure le ossa. Per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie bisogna essere chiari: un articolo diventa diffamatorio solo se e quando viene pubblicato, esattamente come un proiettile diventa pericoloso e può far danno solo ed esclusivamente se viene inserito in un’arma e sparato.

Ciò significa che la responsabilità anche pecuniaria è del possessore dell’arma che ha sparato, cioè del giornale che ha pubblicato l’articolo, vale a dire dell’editore. Sarà poi eventualmente cura dell’editore rivalersi sul giornalista o sul direttore responsabile con trattenute o magari invocare la lesione del rapporto di fiducia necessario per poter continuare a lavorare in un giornale. Esiste già presso la Fnsi il fondo di solidarietà per i giornalisti querelati e condannati a risarcimenti, ma oltre a trattarsi di un fondo limitato c’è da aggiungere che contribuisce con cifre minime: spero di essere stato informato male, ma mi pare contribuisca fino a un massimo di 6.000 euro per condannato.

Nella riunione del 30 ottobre del Consiglio dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, del quale sono membro, ho proposto di risolvere il problema istituendo un’assicurazione obbligatoria per tutti i giornalisti contro il rischio querela, così come è obbligatoria l’assicurazione a carico dei giornali per gli inviati quando sono impegnati fuori redazione, specie se all’estero in zone pericolose,  e quella contro gli incidenti automobilistici se si guida un’auto.

Con mio sbalordimento non è mancato il collega che si è opposto a che una tale assicurazione la paghi l’editore “perché allora l’editore pretende giustamente di controllare tutti gli articoli e decidere lui quale pubblicare e quale no”. Preferisco non commentare una tale affermazione e limitarmi a far notare due cose. La prima è che qualunque direttore serio per decidere se pubblicare o no gli articoli che ritiene possibili causa di grane giudiziarie li fa prima leggere allo studio legale di fiducia del giornale, cioè dell’editore. Se Sallusti avesse seguito questa prudente pratica, diffusa e legittima, non sarebbe successo quello che è successo. La seconda è che i giornali pagano l’assicurazione per i rischi degli inviati, ma non per questo l’editore si sogna di decidere lui se e chi spedire come inviato.

Riguardo poi l’uso dell’Ordine come bastone, lasciamo che l’Ordine conservi la sua autonomia e ruolo, altrimenti è meglio abolirlo visto anche che gli Ordini professionali esistono solo in Italia. Fino ad oggi l’Ordine nazionale ha funzionato e vigilato sulla deontologia professionale in modo abbastanza soddisfacente, nonostante i suoi limiti e nonostante i singoli Ordini regionali pecchino a volte di campanilismo o di protezionismo verso i colleghi membri delle loro strutture direttive.

Che si sollevi il problema del carcere per giornalisti rei di avere scritto cose sgradite o anche sgradevoli è comunque un bene, Era ora. Giornalisti di spessore come Mario Scialoja, Fabio Isman e Piervittorio Buffa hanno conosciuto il carcere senza nessuna difesa a oltranza da parte del Parlamento e del mondo dei mass media. Anzi, contro quei colleghi urlava la stessa destra che oggi urla pro Sallusti (e tace a oltranza sul comportamento di Farina). Per avere pubblicato un documento falso passatole da un millantatore e che diffamava dirigenti politici è finita in carcere nel 1982 la giornalista de l’Unità Marina Maresca. E  il suo direttore responsabile, Claudio Petruccioli, si dimise responsabilmente senza sollevare obiezioni di sorta.