Serena Mollicone, il suo assassinio è destinato a restare mistero per sempre?
Il mistero dell’ assassinio di Serena Mollicone: pare proprio che il delitto di Arce sia destinato a restare tale: nonostante la più buona volontà, riaperture delle indagini e supplementi di istruttoria, resta sempre arduo dare un nome a chi l’1 giugno 2001 ha ucciso Serena Mollicone, 18enne studentessa di Arce (Frosinone) nella valle del Liri, nel bosco di Fonte Cupa, in località Anitrella.
Dal Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (Labanof) di Milano, che entro la fine di questo mese deve consegnare ai magistrati le proprie conclusioni, non filtrano infatti buone notizie. Non hanno permesso di dare un nome e un volto all’assassino i DNA estratti fino ad oggi dai 60 prelievi ordinati dalla magistratura di Cassino nei confronti di altrettante persone. Lo permetteranno i DNA ancora da estrarre? Le ricerche su 272 DNA già fatte in precedenza sono state un buco nell’acqua. Le nuova ricerche approderanno invece a qualcosa di concreto?
C’è da sperarlo, anche perché non sta dando frutti la parallela riapertura delle indagini, voluta dal Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) Angelo Valerio Lanna per verificare se il brigadiere Santino Tuzzi si è suicidato sparandosi al cuore di propria spontanea volontà oppure è stato istigato a farlo. Ed è difficile che di frutti ne possa dare ad anni di distanza dai fatti. Siamo ormai alla gara contro il tempo: il 10 luglio scade la proroga di sei mesi per questi supplementi d’indagine e non è detto che ne venga concessa un’altra.
Ricordiamo che Tuzzi dopo ben sette anni di silenzio si decise ad andare dal magistrato per dire che aveva visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce alle 11 del giorno in cui fu uccisa. Il cadavere della ragazza venne trovato dopo poche ore con le mai e i piedi legati con filo di metallo del tipo da giardinaggio, imbavagliato e con la testa infilata in un sacchetto di plastica. Secondo qualche amica e amico, Serena dai carabinieri ci sarebbe andata per denunciare un asserito traffico di droga gestito dal figlio Marco del maresciallo Franco Mottola, che comandava all’epoca la locale stazione dell’Arma. Tuzzi si è sparato un colpo di pistola al cuore tre giorni dopo la sua testimonianza.
“Mio padre non era una persona ricattabile su nessun fronte, non aveva scheletri nell’armadio”, ha dichiarato Maria Tuzi, figlia di Santino, a Radio Cusano Campus. “Sono convinta che ha assistito a qualcosa accaduto in quella caserma e che per questo è stato ricattato con minacce sui figli e sul nipote. Se mio padre non è stato ucciso e si è invece suicidato, allora vuol dire che è stato costretto a farlo per evitare che succedesse qualcosa a noi”.
Le verifiche nelle stanze della caserma dei carabinieri, compreso l’alloggio di servizio dei Mottola al primo piano, sono però state ordinate solo in tempi recenti.
Non ha dato risultati l’uso del Luminol per individuare eventuali tracce di sangue sui pavimenti o nelle architravi delle porte, una delle quali è stata nel frattempo cambiata. E non ha dato risultati utili neppure il prelievo di tracce organiche dalle quali estrarre i DNA prelevate dalle stanze.
Con quale criterio sono state scelte le 60 persone alle quali sono stati prelevati i campioni organici dai quali estrarre i DNA?
“Se non si dispone di un metodo preliminare di scrematura, l’intera popolazione italiana (forse mondiale) potrebbe essere sottoposta a prelievo e comparazione. Occorre in via preliminare stabilire qualche forma di discernimento”, ha specificato Lanna nelle motivazioni con le quali ha sostenuto la necessità di riaprire le indagini. Il magistrato ha anche aggiunto: “Si potrebbe pensare di sottoporre a comparazione solo le impronte o i profili genetici di coloro che sono transitati in zona, individuandoli magari mediante l’aggancio delle celle telefoniche. Oppure chi è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza o chiunque possa essere individuato tramite registri, carte di credito, transazioni negoziali”.
Partendo ovviamente dalle persone coinvolte nell’inchiesta, vale a dire il maresciallo Mottola, ormai ex comandante della stazione di Arce, sua moglie Anna Maria e il loro figlio Marco, e dalle persone vicine alla studentessa.
Insomma, Lanna spera di poter fare il bis del caso Gambirasio/Bossetti . Come è noto, dell’uccisione della 13enne Yara Gambirasio, abitante nel Bergamasco a Brembate di Sotto e trovata cadavere il 26 febbraio 2011, si è potuto accusare e mandare a processo, tuttora in corso, Massimo Giuseppe Bossetti grazie alle analisi del DNA di migliaia di persone.
“Nessuno però deve considerarsi né sospettato né tantomeno indagato”, ha voluto precisare l’avvocato Dario De Santis, legale del padre di Serena, Guglielmo Mollicone.