ROMA – L’ispezione alla bara di Enrico De Pedis lunedì mattina alle 9 sarà una operazione quasi chirurgica. Sarà praticato un forellino nelle tre casse una dopo l’altra che custodiscono, una dentro l’altra, i resti di De Pedis. Poi un sondino con fibra ottica sarà fatto passare dal forellino per osservare e teleriprendere il contenuto e fare eventuali piccoli prelievi per il DNA, proprio come una operazione chirurgica in endoscopia.
Poi il forellino sarà sigillato e, in meno di un’ora, tutto sarà finito. Dopodiché Enrico De Pedis, detto Renatino dagli amici quando era vivo e condannato da morto a essere “il Dandy” del Romanzo criminale, potrà finalmente riposare in pace, dopo ben 22 anni di polemiche ricorrenti e ripetute.
I primi ad arrivare, qualche minuto prima delle 8, davanti all’ingresso della basilica di S. Apollinare, a due passi da piazza Navona e assediata dai giornalisti già da oggi, saranno gli avvocati Marilio Prioreschi e Lorenzo Radogna, legali della vedova di “Renatino”, Carla, e dei fratelli Marco e Luciano De Pedis.
Alle 8,15 arriverà il sostituto procuratore Simona Maisto, che dieci anni fa ha ereditato il travagliato fascicolo sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. Con il magistrato arriveranno gli uomini della polizia scientifica e almeno un medico legale. Lo scopo dell’ispezione è legato alla scomparsa della Orlandi: con questo atto la Procura della Repubblica di Roma intende chiudere almeno un capitolo della vicenda, l’ipotesi che vuole che nella bara di De Pedis siano occultati i resti della ragazza, sparita a 16 anni di età il 22 giugno 1983.
“Noi saremo lì prima del magistrato perché vogliamo chiedergli e ottenere di presenziare alle varie operazioni, dato che sono atti istruttori che in qualche modo interessano i nostri assistiti”, specifica l’avvocato Prioreschi. Il caso è singolare. Nessuno degli assistiti di Prioreschi e Radogna è infatti indagato, neppure il defunto Enrico dato che i defunti non sono né processabili né indagabili. L’interno della basilica inoltre gode del privilegio dell’extraterritorialità, è cioè come fosse territorio del Vaticano, il quale quindi ha una sua voce in capitolo su tutto ciò che vi avviene. Infine, la cripta e il suo contenuto sono proprietà privata della vedova Carla, la quale non si è affatto opposta all’ispezione, anzi l’ha accolta con un sospiro di sollievo perché sperava ormai da anni che si decidessero a farla. Appare quindi logico che all’ispezione presenzino non solo i suoi legali, ma anche almeno un suo perito di fiducia.
Come che sia, cosa faranno il magistrato, gli uomini della scientifica e il medico legale una volta scesi nel sotterraneo ed entrati nella angusta stanzetta, molto umida, che ospita la cripta con le spoglie di De Pedis? Cosa si troveranno davanti dopo avere sollevato la pesante lastra di marmo della cripta che contiene le tre bare una dentro l’altra? E il sondino calato attraverso il forellino cosa mostrerà loro? Qualche giornale domenica assicurava che la bara e il suo contenuto verranno portati all’istituto di Medicina legale dell’Università della Sapienza per esservi analizzati. Altri giornali fanno a gara a immaginare altri fantasiosi scenari, compreso il trasloco della salma dalla basilica al cimitero comunale di Prima Porta, alla periferia di Roma. Senza trascurare la solita dissennata ipotesi che nella bara ci siano anche o solo i resti di Emanuela Orlandi, sparita ben 7 anni prima che De Pedis venisse sparato a morte nel febbraio del ’90. Non manca chi straparla dell’oblò praticato nella prima cassa come di un privilegio riservato ai papi e ai santi per essere visibili ai fedeli…
Una volta sollevata la lastra di marmo della cripta i magistrati vedranno la grande mantilla che la signora Carla indossava il giorno delle nozze, celebrate in quella basilica e causa della scelta di seppellirvi il marito. Sollevata la mantilla, troveranno la cassa di zinco obbligatoria per legge per sigillare una bara di legno quando il caro estinto non riposa in una fossa scavata nel terreno. Poiché lo zinco non è certo bello da vedere, la vedova ha pensato bene di coprirlo con la mantilla delle nozze. Dopodiché si passerà a trapanare lo zinco e, immediatamente sotto, il legno di ciliegio della classica bara e il rame della cassa che contiene le spoglie mortali di De Pedis.
Così il sondino potrà entrare in azione. A poco servirà, a quanto pare, l’oblò di cui si è parlato di recente con toni di scandalo, come se si trattasse della estensione di un privilegio di santi e Papi all’asserito boss della banda della Magliana (morto peraltro con la fedina penale pulita in relazione almeno ai crimini della banda). L’oblò non servirà perché per guardare attraverso di esso dovrebbero essere estratte l’una dall’altra le tre casse e per questo invece si farà ricorso al sondino.
L’oblò della cassa di rame derivò a suo tempo da un obbligo di legge quando una bara con un morto dentro esce dal territorio italiano per andare in quello di uno Stato estero qual è il Vaticano, al quale la basilica di S. Apollinare appartiene a tutti gli effetti, extraterritorialità compresa, appositamente decisa dalla Corte Costituzionale italiana con sentenza negli anni ’50 per sopperire al fatto che la basilica e gli omonimi due palazzi – uno adiacente ad essa e l’altro in periferia – non erano compresi nella lista degli immobili vaticani totalmente riconosciuti come extraterritoriali fin dalla firma dei Patti Lateranensi. L’oblò non ha nulla a che vedere con l’ostensione alle folle dei fedeli: serve solo ed esclusivamente per permettere di controllare cosa ci sia nella cassa, se un cadavere o qualcos’altro, ed è per questo che è obbligatorio.
Il sondino infine entrerà nella cassa di rame. E qui oltre alle ossa, assai probabilmente quelle del solo De Pedis, troverà quegli oggetti e quel vestiario decisi dalla humana et coniugalis pietas della moglie Carla.