Terrorismo. Italiani di Tunisia non hanno paura: “Tunisini sono meglio di noi, tasse solo 3%, clima per pensionati”

MILANO – Franco Giagulli si è trasferito da anni con la moglie Isa da  Verona a Sousse, in Tunisia, dove è stato compiuto l’attentato terroristico firmato Isis,  e aiuta con consigli di vario tipo gli amici che vogliono imitarlo. Compreso il suo amico d’infanzia Giacomo, detto Mimì, che a Sousse ci si è trasferito da un paio di mesi.

L’ho chiamato al telefono di casa e mi sono allarmato e un po’ spaventato perché Franco per rispondere ci ha messo quello che alla mia emotività è parso un po’ troppo. Poi finalmente ha risposto. Gli ho inviato delle domande ed ecco anche le risposte:

Cosa è successo esattamente e a che distanza da dove abitate?

“La mia abitazione si trova a circa due chilometri dal posto dove è avvenuto l’attentato. Mia moglie Isa si trovava in spiaggia, una lunga distesa di sabbia bianca lunga almeno 100 chilometri, nel momento della strage. Non si è accorta di nulla. Siamo stati avvisati di quanto è accaduto da mia figlia Paola la quale ci ha telefonato dall’Italia, il resto lo abbiamo appreso dalle televisione. A distanza di giorni non mi è del tutto chiara la dinamica della strage. Troppa la facilità da parte dei terroristi (due) di girare indisturbati davanti alla spiaggia e all’ingresso dell’albergo”.

Siete mai stati a mangiare nel ristorante dell’albergo colpito dai terroristi? Era famoso per i piatti a base di pesce.

“Due mesi fa, andando a trovare due nostre amiche italiane, abbiamo pranzato al self service di uno dei due alberghi della strage: ottimo pranzo alla modica cifra di circa dieci euro”.

Immagino che i vostri figli e parenti in Italia siano stati in ansia, più di me finché non mi avete risposto al telefono.

“Figli, parenti e amici in forte ansia. Ho passato il pomeriggio di venerdì a tranquillizzare tutti al telefono o via web”.

Che atmosfera c’è a Sousse dopo questo assalto?

“L’atmosfera qui di colpo si è fatta pesante. Mai Sousse è stata interessata da fatti di sangue, nemmeno nel momento della caduta di Ben Alì, tre anni fa, che è nato a Sousse e che qui ha la maggior parte dei suoi chiacchieratissimi parenti. Pochi turisti in giro. La sera della strage, la passeggiata intorno al porto degli yacht, sempre affollata anche d’inverno, risultava insolitamente deserta, mia moglie e io abbiamo passeggiato in quasi assoluta solitudine”.

Ma ci sono stati segni premonitori della tragedia in arrivo?

“Non ci sono stati segni premonitori. Sembrava che l’attentato del Bardo fosse stato un atto unico e irripetibile, poiché il governo tunisino era intervenuto tempestivamente a isolare i terroristi”.

Ora invece collegando la tragedia di Sousse con quella del museo del Bardo a Tunisi non si ha l’impressione che la Tunisia stia precipitando nel baratro?

“La Tunisia sembra in grado di fronteggiare l’emergenza. Certo che dopo le misure restrittive prese dal governo in queste ultime ore, la libertà individuale dei tunisini si è alquanto ridotta”.

E’ in pericolo la laicità dello Stato tunisino?

“Cosa significa la laicità dello stato tunisino? Viene da chiederselo. Negli Stati dove si professa la religione musulmana, questa permea tutti i tessuti connettivi della vita sociale. Tuttavia sotto il regime prima di Bourghiba, poi di Ben Alì i gruppi con forte connotazione religiosa sono stati del tutto emarginati dalla vita politica. Questo ostracismo perdura tuttora”.

Noi eravamo grandi amici e vicini di casa quando eravamo ragazzi. Cosa vi ha spinto a trasferirvi in Tunisia e a prendere la residenza tunisina?

“Per quanto mi riguarda vari sono stati i motivi che mi hanno spinto a trasferirmi in Tunisia: il minor costo della vita (circa 50% in meno), il favorevole regime fiscale (3% di tasse contro un 30/35 per cento in Italia sull’importo lordo della pensione), ma anche la possibilità di godere di un clima gradevole tutto l’anno”.

Perché avete scelto Sousse?

“Abbiamo scelto Sousse perché gode di un clima più equilibrato rispetto al resto della Tunisia. Perché è una cittadina moderna (350 mila abitanti). Perché gode di buoni servizi soprattutto sanitari e un alto grado di cultura essendo sede di svariate facoltà universitarie”.

Cosa dicono i vostri figli di questa vostra scelta? E cosa dicono adesso, dopo la tragedia di Sousse?

“Hanno rispettato la nostra scelta. Mia figlia Paola soffre maggiormente del distacco dai genitori. Dopo la tragedia di venerdì scorso sono evidentemente più preoccupati. Li abbiamo tranquillizzati. Le azioni terroristiche sinora sono state dirette a gruppi di turisti e non a singoli residenti”.

Tornate spesso in Italia? E com’è la vita del pendolare Italia-Tunisia?

“Siamo ritornati in Italia a intervalli regolari e in coincidenza delle nostre tipiche ricorrenze. Il relativo pendolarismo non ci preoccupa, siamo a pochi chilometri dall’Italia. Unico neo la dogana al rientro, fastidiosa se non si dà qualche piccola mancia….”.

Uno di voi si è trasferito a Sousse poco più di un mese fa: perché? Turista o deciso a mettere radici anche lui?

“Un nostro amico d’infanzia ha deciso di condividere l’avventura tunisina con noi. E’ già a buon punto con la burocrazia dopo solo 50 giorni”.

Ora che pensate di fare? Restare o tornare in Italia?

“Siamo fatalisti. Se ti trovi nel punto sbagliato nel momento sbagliato, può succederti di tutto in qualsiasi parte del mondo”.

In conclusione cosa direste a chi ha in mente di trasferirsi come voi in Tunisia per gli stessi vostri motivi?

“In questi giorni abbiamo ricevuto numerose attestazione di affetto. A chi vuol venire a vivere qui dico di non aver paura, le condizioni di vita sono gradevoli e favorevoli”.

Reduce da un giro per le vie di Sousse, arriva anche l’amico d’infanzia di Giagulli, Mimì, ufficiale in congedo dell’aeronautica militare e anche mio caro amico di quando eravamo ragazzi, non ancora ventenni. Poi ognuno di noi ha preso la sua strada e ci siamo rivisti in gruppo solo tre ho quattro volte, l’ultima delle quali a Verona alla vigilia della partenza e trasferimento a Sousse

“Sono appena rientrato da una lunga passeggiata lungo la strada principale di Hammam Sousse. Lungo il percorso ho ricevuto, insieme con altri due amici, manifestazioni di affetto e simpatia da parte di tutte, dico tutte, le persone che abbiamo incrociato. Il medesimo trattamento ci è stato riservato dal personale di servizio e clienti dell’affollatissimo bar dove ci siamo fermati per trascorrere parte della serata. Come se ciò non bastasse, al rientro è sfilato un lunghissimo corteo di ciclisti che ci salutavano, con l’indice ed il medio indicavano il segno di vittoria e chiedevano “sorry”. Cosa dire? Mi sono commosso. Se poi pensi che ciò che è accaduto avrà effetti devastanti per l’economia di questa splendida città, mi vien voglia di ricambiare il “sorry””.

Mimì si ferma un attimo, poi conclude:

“Aggiungo qualcosa che potrebbe sembrare “fuori tema”: quando, qui, un bambino mi sorride e gli faccio una carezza, i genitori mi riservano ampi gesti di compiacimento. A Verona, nell’accarezzare un bambino che mi sorrideva mentre ero in fila alla cassa di un supermercato, sono stato “fulminato” dallo sguardo sospettoso di sua mamma… ho avuto veramente paura! Temevo che la mamma chiamasse le forze dell’ordine e mi accusasse di pedofilia.

Tutto ciò per significare che qui mi sento più a mio agio.
A mezzanotte passata, da casa mia sentivo ancora lo strombazzare cortei di auto che continuavano la manifestazione”.

POST SCRIPTUM – Franco e Mimì sono tra i miei più cari amici di quando ero ragazzo e abitavo a Villafranca Veronese, tutti e tre figli di sottufficiali dell’aeronautica militare. A Franco devo molto, perché mi ha fatto scoprire che il mondo non era solo il bozzolo nel quale vivevo: autobus militare per andare a scuola, autobus militare per tornare da scuola a casa nel Villaggio Azzurro, che si chiamava e si chiama così perché ci abitavano e ci abitano tutt’ora famiglie di militari del vicino aeroporto.

Per me, autobus militare anche durante tutta l’estate – e molti pomeriggi anche del periodo in cui andavo a scuola – per andare in aeroporto con mio padre al mattino per poi tornare a casa a fine pomeriggio sempre con autobus militare. In aeroporto passavo le giornate a scorrazzare in lungo e in largo per la vasta campagna, a caccia di lucertole e ramarri e a ingozzarmi di frutta, ciliegie soprattutto, degli alberi dei contadini ai quali erano stati espropriati i campi per ampliare di molto il piccolo aeroporto già esistente.

Primi anni ’60: per avere qualche lira in tasca, Franco ci stimolò a fare ciò che per le nostre famiglie era impensabile: andare d’estate a fare gli scaricatori! Pagati a ore, al mercato ortofrutticolo di Verona, che si fregiava del titolo “Il più grande del Sud Europa”, ed era davvero enorme. Se non ricordo male, la paga era di 200 lire l’ora, che di notte e ai festivi diventavano 300. Scontrandomi con i miei, ho fatto lo scaricatore le tre estati degli ultimi anni di liceo: e ho scoperto così che il mondo era diverso da come lo conoscevo….

Ho così man mano abbandonato l’idea di fare il pilota militare, con delusione di mio padre, o il missionario in Africa o il frate trappista. Finito il liceo, sono uscito di casa e mi sono iscritto a Fisica all’Università di Padova: dove con mille lavori diversi e tutti precari mi sono sempre mantenuto totalmente da solo sia per pagarmi gli studi che per campare.
Grazie, Franco! E grazie, Mimì!

Alla fine poi sono approdato all’Espresso. Ma di questo né Franco né Mimi hanno colpa.

 

 

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