Tremonti, il panettiere e la Guardia di finanza

A svuotare i portaceneri delle auto in strada approfittando delle soste per i semafori rossi o a buttare per strada le lattine vuote di birra o coca cola sono milioni di italiani, è cioè costume comune anche se molto deprecabile e decisamente incivile. Ma se a svuotare il portacenere o a buttar via la lattina fosse il ministro dell’Ambiente, allora è ovvio che la gente si scandalizzerebbe, anche se da qui a chiederne le dimissioni ce ne corre.

L’esempio aiuta a inquadrare meglio la vicenda del ministro Giulio Tremonti,  reo di versare al suo collaboratore Marco Milanese mille euro la settimana per l’uso (di parte?) dell’ormai famoso appartamento in Campo Marzio a Roma.

Negli Usa e in altre democrazie occidentali ci sono politici che hanno dovuto dimettersi per non avere versato i contributi assicurativi alla colf o per faccende di questo genere.

Il problema con Tremonti è che si tratta del ministro delle Finanze, cioè quello che è assurto a simbolo del rigore fiscale, della correttezza dei comportamenti nei rapporti economici tra cittadini e Stato (non vale il contrario perché gli italiani non sono cittdini ma sudditi).

Tremonti è il ministro della Guardia di Finanza. Come risponderà il classico panettiere alle fiamme gialle che invaderanno il suo negozio accusandolo delle peggiori atrocità in materia fiscale? Semplice: faccio quello che ha fatto il vostro ministro, rivolgetevi a lui, non a me.

A parte questo, forse Tremonti va cacciato anche solo perché s’è scelto come braccio destro uno come Milanese. E secondo me il ministro s’è impiccato da solo alla corda del dire che ha accettato l’ospitalità di Milanese perché si sentiva spiato. Di solito infatti si cercano di queste ospitalità discrete, lontane dai registri degli alberghi e da altri occhi indiscreti, per poter andare a letto in santa pace con chi non è il o la propria consorte. Per carità, non si tratta certamente del caso di Tremonti, ma, come si suol dire, la carne è debole perciò in pura linea teorica non si può escludere nulla, come insegnano gli scandali dal caso Profumo in Inghilterra a quello di Bill Clinton negli Usa.

Insomma, non è da escludere che Tremonti se ne debba infine andare per avere mentito agli italiani. Però volerlo cacciare “qui ed ora” con la motivazione dell’affitto in nero fa il paio, in peggio, con la speranza vana dei partiti di centro, di sinistra e di Gianfranco Fini di cacciare Silvio Berlusconi da palazzo Chigi puntando sulle sue meritate vicende giudiziarie anziché sulla propria forza politica, ahinoi deboluccia.

Deboluccia anche perché il capitale del “vento che cambia”, accumulato con la conquista dei consigli comunali di Milani e Roma e con il botto referendario, appare già in buona parte dissipata da una serie di mosse e iniziative, una più masochista e autoreferenziale dell’altra.

Che cosa curiosa, meritevole di riflessione: l’aumento dello spread dei titoli di Stato italiani rispetto quelli tedeschi s’è già mangiato in pochi giorni buona parte dei quattrini che la stangata Tremonti deve mettere assieme; parallelamente, le recenti scelte sbagliate del P in tema di voto per le Province, scampata galera per il senatore Alberto Tedesco, scandalo tangenti a Milano per Filippo Penati e sbandamenti berlusconi di Antonio Di Pietro, sono una sorta di aumento dello spread rispetto la credibilità che penalizza le forze di centro sinistra.

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