Entro la settimana prossima – probabilmente già lunedì – i legali di Pietro Orlandi presenteranno formale richiesta di sequestro del libro di Roberta Hidalgo “L’affaire Emanuela Orlandi”. Sono finite nel nulla le trattative tra l’editore Fabio Croce e gli avvocati di Orlandi, lo studio legale Petra Bassani, Grieco e Associati: Croce era disposto ad alcuni tagli, Orlandi voleva il ritiro del libro, che peraltro risulta ormai esaurito.
“Nel giorni scorsi ho parlato al telefono sia con Pietro Orlandi che con i suoi avvocati, ma non c’è stato niente da fare”, afferma Fabio Croce, che spiega: “Pietro è arrabbiato per le pagine che parlano dei familiari di sua moglie, ma è ancor più arrabbiato per quelle che parlano della zia Anna, sorella di suo padre Ercole Orlandi”. Il motivo dell’arrabbiatura è comprensibile: secondo la Hidalgo zia Anna sarebbe la vera madre di Emanuela. La ragazza sparita il 22 giugno del 1983 a soli 15 anni e mezzo d’età e mai più ritrovata sarebbe figlia di Anna e di un alto prelato.
Come se non bastasse, la Hidalgo un po’ confusamente insinua che la zia Anna non sarebbe davvero sorella di Ercole Orlandi, vale a dire anche lei figlia del Pietro Orlandi che fu scudiero del Papa, ma addirittura, forse, dello stesso Papa. La Hidalgo inoltre riferisce che il legame fra gli allora ragazzi Orlandi, quattro sorelle e un fratello, e la zia Anna era molto forte perché fin dalla loro nascita era stata lei ad allevarli come e forse più della madre, compito facilitato dall’abitare tutti, compresa la zia, nella stessa casa in Vaticano. Da questo poco si può capire perché Pietro Orlandi abbia chiesto con prontezza il ritiro del libro e, non avendolo ottenuto, intenda procedere con la richiesta formale di sequestro giudiziale.
Non sono solo le pagine sulla zia Anna, in realtà, a costituire significative novità nel già tanto intricato elenco di tesi che si sono intrecciate in questi 30 anni. La tesi di fondo del libro è che Emanuela Orlandi sarebbe viva e abiterebbe con il fratello e con i sei figli di lui a ridosso delle mura del Vaticano, facendosi passare per sua moglie e alternandosi nel ruolo di mamma con una donna che dovrebbe essere la vera moglie di Pietro, Patrizia Marinucci. Anche se a leggere il libro potrebbe trattarsi di un’altra persona ancora.
La lettura de “L’affaire Emanuela Orlandi” non è molto agevole, si tratta infatti di una specie di diario delle indagini condotte dalla stessa Hidalgo, di mestiere fotografa, insieme con due suoi volenterosi amici francesi, diario nel quale intere giornate di sorveglianza davanti al portone di casa Orlandi (dimenticando però l’uscita posteriore del palazzo) si alternano a sopralluoghi in campagna, nelle ville dei Marinucci e della zia Anna, a serate in birreria e a malinconiche giornate di autoreclusione.
La lettura è avvincente, il racconto febbrile, a un certo punto sembra che Pietro Orlandi parlando in casa sua con la moglie, che per la Hidalgo è sua sorella Emanuela, si vanti di poter trovare con facilità nella banca in cui lavora, il famoso IOR del Vaticano, la rispettabile somma di 50 miliardi di vecchie lire (con la svalutazione, più o meno 35 milioni di euro). Per farne che? E a che titolo? Non si sa. Anche perché la conversazione non è molto chiara dato che viene intercettata grazie a una cimice introdotta nell’abitazione dal terzetto di improvvisati detective in modo astuto, ma certo non legittimo né professionale.
Le tesi della Hidalgo sono dunque esplosive. La certezza con cui riferisce i particolari e le testimonianze raccolte fa pensare che sarebbe giustificato un intervento dei magistrati per ottenere una serie di precisi chiarimenti: dall’autrice del libro, compreso il perché si sia decisa a diffondere solo ora (forse per la prescrizione riguardo la cimice?) il frutto delle sue indagini, iniziate nel 1999 e proseguite per qualche anno, ma anche dallo stesso Pietro oltre che da alcuni personaggi ancora in vita passati in rassegna nel corso delle pagine.
Ci sono alcune cose che sarebbe opportuno chiarire con certezza, eliminando i margini di ambiguità che, stando ai risultati di alcuni test di laboratorio fatti fare a Parigi dalla Hidalgo, pare proprio che esistano. L’intraprendente fotografa è riuscita infatti a procurarsi non poco materiale biologico: sangue mestruale su un tampax della Marinucci, capelli sia della madre di Emanuela Orlandi, signora Maria Pezzano, che della madre della Marinucci, signora Margherita Cardellini, e della zia Anna. Il tutto utilizzato per confrontare i rispettivi Dna. Risultato? Pare che la moglie di Pietro Orlandi non sia figlia di Maria Pezzano, e quindi non è la sorella di Pietro, ma non è neppure figlia di Margherita Cardellini. Al contrario, il Dna della donna che secondo la Hidalgo sarebbe Emanuela Orlandi rediviva pare compatibile con quello di Anna Orlandi, la zia Anna che abitando con loro ha cresciuto come e forse più di una madre sia Emanuela che il resto della nidiata.
Ma le stranezze non sono finite. La donna che vive con Pietro ha i capelli neri come li aveva Emanuela, alla quale nel viso somiglia non poco, mentre Patrizia Marinucci sarebbe bionda, alternerebbe lunghi periodi in Vaticano ad altri in una tenuta fuori Roma dei suoi genitori, e verrebbe chiamata “mamma Trizi” dai figli di Pietro. Il quale quindi a Roma vivrebbe con la sorella mentre a volte passerebbe in campagna lunghi periodi con la moglie. La donna che vive con lui a Roma viene chiamata dai figli di Pietro – che nel periodo di osservazione della Hidalgo erano tre, con un quarto in arrivo a indagini chiuse – con un diminutivo che non c’entra nulla con il nome Patrizia: stando alle intercettazioni tramite cimice, pare infatti che la chiamino “mamma Mandi”. Altra cosa strana, stando alla cimice la chiamerebbe Mandi anche Pietro. Perché Mandi? Perché, a detta della Hidalgo, quel nomignolo ricorda il nome Emanuela.
Ultimo colpo di scena, anche questo però per ora solo presunto: stando alla Hidalgo, sulla patente di guida rilasciata nel 1980 alla “vera” Patrizia Marinucci era incollata una foto assolutamente eguale a quella incollata sul tesserino di iscrizione di Emanuela Orlandi al conservatorio musicale Ludovico da Victoria di piazza S, Apollinare. Conservatorio che nell’83 aveva sede nel palazzo di S. Apollinare, del quale la famosa omonima basilica tutt’ora e da qualche secolo non è che la cappella.
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