Ospedali in crisi a Genova e in Liguria, al Galliera è battaglia, Toti contro la Curia per coprire gli errori. La politica contro l’establishment storico di Genova.
Nella confusione di un finale d’anno tra i più complicati, con neo epidemie, rigurgiti angosciosi di Covid, cambi di regime politico, esplode a Genova uno scontro che pochi sanno leggere, ma che ha un peso storico non indifferente.
Nasce tutto da diciassette ambulanze in fila davanti al pronto soccorso dell’Ospedale Duchessa di Galliera, nel pieno delle Feste e di una doppia, tripla epidemia, Covid 19, influenza australiana, altri virus scatenati dopo tre anni di distanziamenti.
Le ambulanze hanno a bordo malati più o meno gravi che corrono al Pronto Soccorso per capire quali sono realmente le loro condizioni perché “sul territorio” non hanno trovato risposte dai medici di base e di famiglia, negli ambulatori, ovunque…
E stanno lì a aspettare per ore, alla porta di un ospedale collassato, che a sua volta collassa gli altri della città, dove le ambulanze rimbalzano nel tentativo di trovare accoglienza.
Neppure gli ambulatori “flues”, allestiti in fretta e furia dalla Regione per soccorrere i Pronti Soccorsi intasati, trattando i codici bianchi, i casi meno gravi, sono riusciti a fermare l’ondata.
Febbre alta, sintomi incrociati, tamponi dubbi: le sindromi di questo finto inverno italiano si incrociano alla porta del vecchio Ospedale e lo travolgono.
A questo punto il presidente della Regione Giovanni Toti con il neo assessore alla Sanità, il medico di rianimazione Angelo Gratarola, che si è finalmente deciso a nominare, cedendo le deleghe sanitarie che si era tenuto per più di due anni, piombano in fondo alla coda delle ambulanze e sparano a zero sulla gestione del Galliera.
Accusano i vertici dell’ospedale di avere sbagliato tutto negli ultimi anni. Di non avere programmato le emergenze, di non saper gestire un personale, che di suo è già da tempo in rivolta, sotto organico, in crisi per la fuga di medici e infermieri e la difficoltà di assumere.
Accuse pesanti, che colgono il vertice mentre sta cambiando il ponte di comando dopo anni. Dimesso con polemica Adriano Lagostena, per anni e anni il direttore generale, sostituito il direttore sanitario, che aveva tutti contro. Un marasma.
Se il sistema ospedaliero genovese è in crisi la colpa è delle insufficienze del Galliera, sparano i vertici regionali, trovando un capro espiatorio perfetto.
Ma il Galliera nella geografia sanitario politica genovese non è un ospedale qualsiasi per storia e attualità. Il suo presidente è l’arcivescovo in carica e, quindi, oggi padre Marco Tasca, francescano veneto. Ex capo della gerarchia dell’ordine del santo di Assisi, 65 anni, insediato a Genova da oltre due anni, successore di cardinali del calibro di Giuseppe Siri, Angelo Bagnasco, Giovanni Canestri, Tarcisio Bertone, Dionigi Tettamanzi, tutti sempre dediti al funzionamento del Galliera.
Il vicepresidente è Giuseppe Zampini, ex ad di Ansaldo Energia, un grand commis di Stato, piazzato lì con la missione di costruire il nuovo Galliera, grande progetto sul quale Genova discute da anni. Tra grandi idee, grandi opposizioni, comitati contrari, finanziamenti ballerini e destino incerto, seppure centrale nell’insieme dell’ assistenza ospedaliera in tutta la città.
Il consiglio di amministrazione di questo ospedale è sempre stato di emanazione arcivescovile.
Il vescovo, o cardinale, in carica ha sempre scelto fior da fiore i migliori professionisti della città per occuparsi del Galliera in memoria della leggendaria Duchessa, nata Brignole Sale-De Ferrari, principessa di Lucedio. Fu moglie di Raffaele De Ferrari, marchese, un Rotschild nostrano dell’Ottocento. Con munifica generosità finanziò alla fine del secolo la costruzione dell’ospedale, profondendo grandi capitali e santa beneficenza e vincolando l’operazione a uno statuto di ferro.
E così questa struttura, costruita sulla collina nobile di Carignano, sopra il centro più antico di Genova, con una architettura allora all’avanguardia, oggi quasi museale, ma di enorme pregio. Bilanciato, però, dalla vetustà rispetto ai moderni sistemi di cura e assistenza, è nei decenni sempre stata gestita dal culmine dell’ establishment genovese più raffinato e potente.
Si sono seduti intorno al tavolo di quel cda figure oggi storiche, dai principi Doria Lamba, ai costruttori Pongiglione, al grande finanziere Giamba Parodi, erede Bombrini, proprietario degli acquedotti genovesi.
Le scelte chiave erano prese, quindi, in un consesso ristretto e qualificato che distillava decisioni importanti sotto la sacra benedizione cardinalizia. Pescando i migliori medici per nominarli primari. Fornendo alla grande macchina ospedaliera i mezzi per ammodernarsi e tenere il passo con i tempi.
Oggi che la tempesta si scatena sul Galliera, oltre a Zampini, in quel cda siedono, per esempio, Ugo Salerno il presidente del Rina, una delle realtà economiche più importanti della città e non solo, l’avvocato Ernesto Lavatelli, uno dei legali genovesi più accorti, Piergiorgio Alberti un altro legale di chiara fama, maestro di diritto amministrativo, che è anche nella Fondazione dell’Ospedale Gaslini, il superdirigente della Regione stessa, Luca Parodi, l’avvocato Mario Mascia, assessore comunale di peso nella giunta Bucci.
Quindi lo scontro con la Regione diventa un match tra potentati contrapposti e comprende perfino conflitti interni non da poco, incroci di competenze da non sottovalutare.
La realtà di questo ospedale è, infatti, troppo ingarbugliata e il boom dell’influenza di fine anno, insieme col serpente strisciante del Covid, non può che complicare un equilibrio che investe, appunto, il sistema zoppicante degli ospedali a Genova. Dove la giunta di Toti, in carica oramai da sette anni, non è riuscita a trovare un assetto di equilibrio.
Si spara sul Galliera anche per giustificare uno schianto organizzativo globale. L’ospedale principe di Genova, il San Martino, è da anni in mezzo al guado di una trasformazione che non parte mai, Villa Scassi a Sampierdarena, doveva essere chiuso e trasformato in Rsa e casa di salute, ma il Covid ne ha sottolineato la strategicità, soprattutto nella area di ponente di Genova sguarnita di grandi presidi sanitari.
A Erzelli, nuovo centro di alta tecnologia, dove si trasferirà anche il Politecnico, aspettano da lustri oramai che si decida quale ospedale privato arriverà, con grandi gruppi interessati ma mai decisi ad investire sul serio.
Una parte della città, appunto quella di Ponente, è così sguarnita e il problema si estende a tutta la Regione, tra privatizzazioni discusse di ospedali già esistenti, come quello di Albenga. E attese infinite di nuovi, come a La Spezia, dove il famoso Felettino aspetta di essere ricostruito da una decina di anni, e come Bussana che attende il nuovo ospedale per l’area più occidentale della Regione…..
Insomma un mezzo ko che esplode nel momento più delicato e la cui interpretazione è sottile, perché mette sotto accusa tutta la politica sanitaria regionale, per altro ancora impegnata nella tempesta Covid. E mette contro una politica di centro destra, molto trionfante in Liguria e un apparato di potere professionale e imprenditoriale benedetto dalla Chiesa e finora intoccabile.
Come si permettono di attaccare l’ospedale numero uno della Curia? si chiedono non solo nelle sacrestie, ma negli ambienti cattolici e in quello storico establishment, unto dal vescovo.