Guai a chi tocca Comuni e Regioni (per le Province si può discutere)! Nelle scorse settimane e a tutt’oggi, fra le proteste che hanno accompagnato le lunghe doglie della manovra sui conti pubblici, una si è fatta particolarmente sentire, quella delle “autonomie locali”. Governatori, presidenti di Provincia e sindaci, sia di destra che di sinistra, sono scesi in piazza per contestare i tagli che per l’ennesima volta colpivano i loro bilanci. Alla fine sono riusciti a ottenere uno “sconto” di un paio di miliardi sulle decurtazioni inizialmente previste. Ma continuano a dichiararsi assolutamente insoddisfatti e a sostenere che con questi ennesimi sacrifici richiesti agli enti locali salteranno molti servizi sociali. I primi cittadini e i governatori tratteggiano un futuro foschissimo, nel quale diversi Comuni non saranno più in grado di garantire una decente nettezza urbana (ammesso che prima lo fosse, decente), gli asili nido verranno chiusi, le tariffe di molti servizi, dall’acqua all’elettricità, saranno riviste all’insù, i trasporti dovranno essere falcidiati, le Regioni taglieranno soprattutto la sanità, gli aiuti alle imprese e via elencando.
Scenari davvero preoccupanti per i cittadini, specialmente per quelli a più basso reddito, che, di fronte a tali minacce, non possono che prendere partito per le autonomie locali contro lo Stato centrale senza cuore. La propaganda leghista fa il resto. Ma è proprio così che stanno le cose? Nei bilanci degli enti locali non c’è neanche un po’ di “grasso” sovrabbondante? E’ proprio ineluttabile che a fare le spese dei tagli siano servizi pubblici di primaria importanza? Ho il sospetto che la naturale “simpatia” che ci ispirano i poteri locali, più vicini alla nostra comunità di riferimento di quelli nazionali, talvolta ci annebbi un po’ la vista. Forse è meglio prendere nota e tenere sempre ben presente qualche aspetto non proprio commendevole della spesa pubblica di Comuni, Province e Regioni prima di accodarsi ai cortei che vedono passeggiare a braccetto Vasco Errani e Gianni Alemanno, Renata Spolverini e Piero Fassino, Flavio Tosi, Roberto Cota e Raffaele Lombardo. Ecco alcuni esempi su cui meditare.
Nella Capitale, per la meritevole opera assistenziale di fornire un tetto temporaneo a sfrattati o calamitati, l’amministrazione Alemanno spende più di 33 milioni di euro all’anno, pari a una media di 2.317 euro ogni mese per nucleo familiare (842 per persona), con punte di 4.200 euro a nucleo, praticamente l’affitto di un buon alloggio nel quartiere chic dei Parioli (peccato che quegli appartamenti stiano in via di Pietralata). Una buona parte di questi quattrini vengono incassati da strutture della Chiesa romana, ma questo è un altro discorso. Spese incomprimibili o sprechi (per non dir di peggio) incomprimibili?
In attesa che arrivi il federalismo che, checché ne dica il Carroccio, comporterà sensibili aumenti della spesa pubblica, un dato è già acquisito: le nuove regole dei conti pubblici regionali riguarderanno solamente le Regioni a statuto ordinario, le cinque a statuto speciale continueranno come prima e cioè a spendere e spandere in allegria. Qualche esempio? La Sardegna, mentre nel paese si discutere come ridurre il numero delle Province o magari abolirle, avvalendosi delle sue facoltà “speciali” ha istituito quattro nuove inutili Province “regionali”: Olbia-Tempio, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra. Costo: 26 milioni di euro nel 2010. Poiché però queste entità sono frutto di aggregazioni fra Comuni medio-piccoli, nessuno dei quali è predominante, si è pensato bene di indicare non quattro ma otto capoluoghi di Provincia. Sugli sprechi siciliani si potrebbe tranquillamente scrivere un libro.
Ci limitiamo a ricordare che la Regione ha circa 20 mila dipendenti, con stipendi da favola per la Trinacria (in media 43 mila euro l’anno), e 14 mila tra pensionati e baby-pensionati. La spesa totale per questo esercito è di quasi due miliardi di euro all’anno. E’ stato inoltre stimato che siano circa 80 mila le persone che fanno capo a enti e società partecipate dalla Regione guidata da Lombardo. Un altro consistente capitolo di spesa riguarda i deputati regionali (90), che guadagnano ciascuno 16 mila euro al mese, e gli ex deputati (300) dotati di pensioni d’oro. Anche al Nord le regioni “speciali” non scherzano. C’è la Valle d’Aosta che, con un numero di abitanti complessivo inferiore a quello di una Circostrizione di Roma, si permette di acquistare il Grand Hotel Billia spendendo, fra investimento iniziale e ristrutturazioni, quasi 100 milioni. E c’è il Trentino-Alto Adige dove le due Province autonome, Trento e Bolzano, assorbono la quasi totalità delle competenze regionali. Ciò non impedisce che i loro due presidenti assommino anche le cariche di presidente e vicepresidente della Regione, con relativi emolumenti (il primo incassa annualmente 320 mila euro all’anno, più di Barack Obama). Per non parlare dei 70 consiglieri regionali che non hanno quasi nulla da fare, dei 190 ex consiglieri pensionati, dei dipendenti, eccetera eccetera.
Non che le Regioni ordinarie siano esempi di morigeratezza. Un recente studio dell’associazione degli artigiani di Mestre ha calcolato che in dieci anni (2000-2009) le complessive spese delle Regioni sono aumentate di 90 miliardi, ovvero del 75 per cento, una buona metà dei quali dovuti alle uscite sanitarie. Le Regioni a statuto speciale hanno allargato i cordoni della borsa più di quelle ordinarie le quali ultime, però, non sono rimaste molto indietro avendo fatto crescere i costi di un consistente 71 per cento. Con punte eccezionali: l’Umbria, ad esempio, ha battuto tutti accrescendo le sue spese del 144 per cento. Quest’andazzo ha certamente migliorato in molte realtà il livello del welfare. Ma si può in ogni caso e aprioristicamente dire che questo sia un bene o dobbiamo prima chiederci se le risorse ce lo consentivano? Quando ad esempio, sempre secondo gli artigiani mestrini, si scopre che gli oneri finanziari delle Regioni nel decennio considerato hanno fatto un balzo del 113 per cento, qualche problema dobbiamo porcelo. Così come una riflessione merita il fatto che per ogni abitante di Bolzano si è sostenuta nel 2009 una spesa sanitaria di 2.558 euro mentre per ciascun lombardo se ne sono spesi “solo” 1.510. Ma i montanari non erano di tempra fortissima?