Confindustria, una poltrona per tre

ROMA – Col ritorno dalle vacanze per i signori di viale dell’Astronomia si apre un periodo di grandi conciliaboli e trattative. All’inizio del 2012, infatti, scade il secondo biennio di Emma Marcegaglia al vertice di Confindustria e la prima presidente donna per statuto non può venire rinnovata nell’incarico un’altra volta. Già da tempo si è chiamato fuori dalla corsa alla successione un potenziale candidato “di peso”: Alberto Bombassei, presidente della Brembo, ha addotto motivi anagrafici (in realtà l’imprenditore vicentino ha “solo” 71 anni che in Italia non sono poi così tanti) e impegni aziendali. Il suo nome era molto quotato anche per la grande esperienza di cose confindustriali maturata in qualità di vicepresidente dell’organizzazione, con deleghe rilevanti alle relazioni industriali, agli affari sociali e alla previdenza, e di ex presidente di Federmeccanica. Uscito di scena Bombassei, non sarà facile trovare un personaggio in grado di raccogliere consensi largamente maggioritari, come fece l’imprenditrice mantovana nel 2008. Sarà difficile ma mai come ora Confindustria necessita di una presidenza forte, unitaria, in grado di far navigare la gigantesca associazione nel procelloso mare aperto della crisi economica e finanziaria internazionale e in quello interno, ma non meno agitato, caratterizzato in questa fase dall’annunciata uscita dalla Confindustria del socio per decenni più influente e di maggior rilievo (anche contributivo), la Fiat. Un problema quest’ultimo che nell’agenda del prossimo presidente di viale dell’Astronomia, chiunque esso sia, non potrà che stare al primo posto. Il che non significa solamente attivare tutti gli sforzi diplomatici nei confronti del renitente Marchionne, ma mettere mano alla riforma di un’organizzazione elefantiaca (mezzo miliardo di euro annui di contributi associativi, quasi 150 mila aderenti, circa quattromila dipendenti e molte decine di strutture regionali, provinciali e di settore), delegando più poteri alle sue ramificazioni locali e settoriali.

Un’impresa, la riforma di questo pachiderma, da far tremare le vene ai polsi a chiunque ma anche tanto impellente. Su quali spalle ricadrà? Al momento sono in tre a dividersi i favori dei potentati e delle diverse cordate imprenditoriali: Giorgio Squinzi, Gianfelice Rocca e Aurelio Regina. Vediamo da vicino quali sono i loro atout, i pregi e i difetti e quali “santi” hanno nel paradiso confindustriale e in quello politico. Squinzi, bergamasco di 68 anni, è un’imprenditore di grandissimo successo: la “sua” Mapei (la famiglia detiene la totalità delle azioni), industria chimica che fa soprattutto prodotti per l’edilizia, come adesivi e sigillanti, è ormai presente in tutto il mondo e il gruppo, che conta circa cinquemila dipendenti, fattura ben oltre il miliardo di euro e ha sempre avuto bilanci in attivo senza bisogno di licenziamenti e cassa integrazione. In quanto presidente di Federchimica e candidato preferito di Emma, di cui peraltro fu a suo tempo un grande elettore, ha a disposizione due jolly di non poco conto per uscire vincente dalla gara. Inoltre ha un’amicizia di lunga data con il premier e in particolare con un berlusconiano dell’inner circle: Fedele Confalonieri. D’altro canto, però, la sua esperienza concreta e le sue prese di posizione in materia di relazioni sindacali non sembrano le più adatte per ricucire le fratture fra viale dell’Astronomia e l’italo-canadese dal pulloverino blu. Squinzi è sul fronte opposto a quello di Marchionne: ci tiene molto ad avere buoni rapporti con i sindacati e non nasconde affatto di volerli con “tutti” i sindacati e di voler evitare a ogni costo di dividere le organizzazioni dei lavoratori. In questo il suo modo di vedere è ampiamente condiviso all’interno di Confindustria, soprattutto fra le medie imprese. A ostacolare la salita al soglio confindustriale di Squinzi, infine, c’è soprattutto Squinzi stesso e i suoi familiari. Il suo gruppo, infatti, è gestito direttamente da lui stesso, dalla moglie e dai due figli e chi lo conosce bene sostiene che ha assai poche intenzioni di abbandonare la plancia di comando del transatlantico-gioiello Mapei per imbarcarsi nella carretta confindustriale.

Tra i grandi elettori del prossimo presidente ve n’è uno assai influente e che pare si stia dando parecchio da fare per un candidato: l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, non nasconde le sue simpatie per Gianfelice Rocca, l’avversario più titolato di Squinzi. E sulla scia di Scaroni si muove anche gran parte dei top manager delle imprese a partecipazione pubblica e certamente l’Assolombarda, ora diretta da un uomo cresciuto all’Eni e in buoni rapporti con Scaroni, Alberto Meomartini. C’è da dire che Rocca ha un pedigree di tutto rispetto: è vicepresidente della Confindustria e ha avuto la delega per l’Educazione sia durante la presidenza di Luca di Montezemolo che durante quella della Marcegaglia. Rocca è uomo della mediazione e molto discreto: fra i dieci italiani più ricchi è certamente quello di cui meno si sa e meno si scrive. Ma ricco lo è davvero tanto, il 63 enne presidente del gruppo italo-argentino Techint (gasdotti, oleodotti, acciaio e molto altro ancora: oltre cento società distribuite in tutto il mondo) e dell’Istituto Clinico Humanitas. Con il fratello Paolo (che si occupa soprattutto delle attività in America Latina), nel 2010 Gianfelice risultava il leader della Borsa italiana. Le loro società quotate a Piazza Affari capitalizzavano complessivamente oltre 12 miliardi di euro. Un terzo fratello, il maggiore, Agostino come il nonno fondatore dell’impresa, che aveva la guida del gruppo, è scomparso nel 2001 in un incidente aereo. Il terzo e più giovane (48 anni) concorrente alla poltrona di Emma è un imprenditore romano che non ha certo la stazza (in fatturato) di Squinzi né tantomeno di Rocca, ma ha dimostrato grandi capacità di navigatore conquistandosi per ora il tronetto di presidente dell’Unione degli industriali romani. Regina ha collezionato consigli d’amministrazione ma più con le sue abilità diplomatiche e la sua estesissima rete di amicizie che con i suoi capitali, per la verità “modesti”.

Sempre con le medesime risorse potrebbe tentare il colpo grosso, specie se non riuscisse a prevalere nettamente nessuno dei due candidati più quotati. L’imprenditore romano ha un socio nella Manifatture tabacchi toscane il cui appoggio potrebbe risultare decisivo: Luca Cordero di Montezemolo. Assieme a Lcdm, Regina può contare sull’ex presidente degli industriali romani Luigi Abete. Quanto alle sue conoscenze e amicizie politiche, sono tante e rigorosamente bipartisan: dal sindaco di Roma Gianni Alemanno agli ex primi cittadini Francesco Rutelli e Walter Veltroni, dall’ex premier e suo maestro Giuliano Amato (complice il circolo di tennis di Orbetello) al ministro dell’Economia Giulio Tremonti (complice l’Aspen Institute). Regina vanta nel suo curriculum anche l’essere stato “assistente alla cattedra di Metodi per la risoluzione dei conflitti internazionali”, nonché “assistente alla cattedra di Strategia globale presso la scuola di guerra dell’esercito”: materie senz’altro utili in una gara conflittuale come quella per la presidenza di Confindustria. Ciò malgrado la scalata a quella grossa poltrona appare davvero improbabile per un così piccolo imprenditore, anche a causa di alcuni recenti incidenti di percorso: riuscirà il Nostro a far dimenticare in breve tempo le sue troppo amichevoli chiacchiere telefoniche con Luigi Bisignani? Staremo a vedere.

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