L’urlo di Papa Francesco in Congo: “Giù e mani dall’Africa. Non è una miniera da sfruttare”. Le parole (dure) dette a Kinshasa, subito dopo l’atterraggio.
Così ha iniziato il suo viaggio apostolico, hanno suscitato notevole clamore. Ha sorvolato ”i lager per i migrati” del Nord del Continente Nero per raggiungere “il cuore di tenebra “ della Repubblica democratica del Congo, giusto nell’Africa centrale (91 milioni di abitanti) indipendente dal 1960 dal Belgio.
E qui ha pronunciato il suo primo discorso-sassata, in un Paese che” ha una storia tormentata dalla guerra e caratterizzata da terribili forme di sfruttamento, indegne dell’uomo e del Creato“. Ha poi definito questa terra “un diamante del Creato” invitando ogni persona a rialzarsi, a “ riprendere tra le mani, come un diamante, la propria dignità“. Forte anche l’appello per i bambini sfruttati nelle miniere.
BACCHETTATE LE GRANDI POTENZE
In primis tutto l’Occidente che “ha favorito la diffusione di un vasto risentimento post- coloniale nei propri confronti. Buona parte delle classi dirigenti africane ha assorbito dalla propaganda russo-cinese il processo all’Occidente descritto come l’unico colpevole di tutte le sofferenze della umanità: colonialismo, imperialismo, aggressione, sfruttamento, saccheggio di risorse”.
Papa Francesco, su questa scia, ha parlato di diamanti insanguinati, di ogni forma di sfruttamento, di colonialismo economico schiavizzante, di una storia tormentata dalla guerra, di migrazioni forzate e corruzione. “Un pugno allo stomaco” per il Papa che è venuto in Africa come pellegrino di riconciliazione e di pace.
LO STRAPOTERE DI PECHINO
Il Papa si è indirettamente rivolto, senza ovviamente mai nominarla, alla Cina che è rimasta il principale partner commerciale dell’Africa per 12 anni consecutivi. A ciò si aggiungono gli investimenti infrastrutturali. Le banche di sviluppo cinesi hanno prestato più del doppio rispetto a quelle di Stati Uniti, Germania, Giappone e Francia messe insieme.
Lo strapotere della Cina in Africa è assoluto. Un dato su tutti: il commercio bilaterale totale tra il Continente Africano e la Cina ha raggiunto l’anno scorso i 254,3 miliardi di dollari , con la crescita del 35,5% su base annua. A sua volta l’Africa ha esportato 106 miliardi di dollari di merci in Cina con un valore di crescita del 44%. Pechino insomma non ha concorrenti.
Ci sono ragioni politiche alza base del gradimento africano: la Cina non è mai stata una potenza coloniale e questo le ha giovato. Oltretutto ha applicato, saggiamente, una politica di non ingerenza negli affari interni dei paesi nei quali ha investito. Almeno all’apparenza.
LA TRAPPOLA DEL DEBITO
Va però ricordato che la Cina non presta il suo denaro “gratis” ma vuole essere ripagata, come è normale che sia. Ma chiede la restituzione dei denari prestati stipulando clausole spesso capestro. Inoltre ha intensificato la presenza militare definendo Gibuti “ a base di supporto strategico“.
La Cina protegge i suoi interessi all’estero e tutto ciò crea preoccupazioni non solo in Occidente. Infine è il caso di ricordare che da vent’anni la Cina esporta in Africa manodopera agricola proveniente dalle sue zone rurali. Il flusso migratorio dalla Cina è esploso negli ultimi anni e prosegue a ritmi impressionanti.