ROMA – I pensionati non devono credere alle storie che circolano contro di loro. C’è nell’aria un vento di imbroglio. Attenti, è in corso una grande mistificazione, non cascateci. Fanno terrorismo sulle pensioni perché?
Viene un dubbio: che terrorizzando i pensionati e aizzando i descamisados, si smantella il sistema pensionistico e se ne favorisce la sostituzione con delle belle compagnie di assicurazione. I conti dello Stato non miglioreranno, alla fine, perché gli oneri da Stato sociale resteranno. In tutti questi giorni di polemica seguiti alla sentenza della Corte Costituzionale sulla perequazione delle pensioni, si è mossa una formidabile macchina di propagandistica senza che una voce, dai politici e dai sindacalisti, si sia alzata per ricordare il fantasma della spending review e invocare tagli a sprechi e ruberie.
Se i compagni o ex compagni della sinistra ricordassero uno dei loro diavoli, il generale Augusto Pinochet, e ricordassero anche che una delle eredità di Pinochet al Cile fu esattamente la fine delle pensioni pubbliche e l’avvento delle assicurazioni private, forse qualche dubbio verrebbero loro. Negli Usa, in tempi più recenti, ci ha provato George Bush ma non ce l’ha fatta. La sinistra americana è stata ferma e coerente. Riusciranno Matteo Renzi e Tito Boeri dove non è riuscito Bush? Per il momento Renzi e Boeri si danno una mano l’uno con l’altro. Tito Boeri mette in giro numeri che non dovrebbe, demonizzando intere categorie di lavoratori e di pensionati, nel silenzio complice dei sindacati e dei sindacalisti, protetti dalla loro adorata legge Mosca. Matteo Renzi, in piena campagna elettorale con un grande avversario in grande ripresa da battere, Beppe Grillo, arriva alla aperta presa in giro dei pensionati. Parlando dei rimborsi imposti dalla Corte Costituzionale, secondo Roberto Petrini che riporta queste infami parole senza alcun commento, anzi con totale adeesione (“Renzi si rammarica”) Renzi ha detto:
“Purtroppo questi soldi non andranno ai pensionati che prendono 700 euro al mese”.
Dimentica Renzi che quei pensionati la rivalutazione l’hanno già avuta tutta e ignora che quei poveri pensionati ricevono in proporzione di quanto hanno versato e che alcuni di loro sono stati pagati in nero (vedi sotto i casi di Orietta Berti & C.), spesso con i contributi inclusi nello stipendio.
Quello che lascia amareggiati è l’adesione alle tesi di cui è principale portatore il ministero della Economia da parte di giornali come Repubblica, di giuristi come Sabino Cassese o Elisabetta Gualmini schierarsi contro la Corte Costituzionale rea di avere garantito i cittadini contro il Governo in nome della Costituzione. Siamo arrivati a sentire persone libere di mente come Linda Lanzillotta sostenere che il pareggio di bilancio prevale sulla Costituzione. Ci si è messo anche Italia Unica, il neo partito di Corrado Passera, a dare contro ai pensionati, con un calcolo elettorale molto sbagliato.
È bene che i pensionati abbiano chiaro un concetto: il rapporto tra Costituzione e sentenze della magistratura ordinaria o della Corte Costituzionale rispetto al deficit è che quelle sentenze vanno rispettate e il Governo deve recuperare il denaro da un’altra parte, tagliando sprechi e ruberie.
I “pensionati d’oro” non devono farsi intimidire dalla grande congiura che li vuole colpevoli di avere lavorato più degli altri, guadagnato più degli altri, versato contributo più degli altri. Non è vero che con le loro pensioni sfasciano i conti dello Stato: altre pensioni, altri interventi di Stato sociale pesano. Non sono i pensionati a doversene fare carico, è lo Stato, sono tutti i contribuenti, tutti.
Non devono farsene carico i pensionati delle aziende private, che hanno versato tutti i loro contributi e la cui gestione pensionistica è probabilmente attiva, né devono farsene carico i pensionati dello Stato, il cui buco contributivo di 30 miliardi dipende dallo Stato evasore, non dai dipendenti pubblici cui le trattenute sono state fatte ogni mese. Ora Tito Boeri scopre che le loro pensioni sono superiori a quelle del privato: ma non è colpa loro, dipende da accordi sindacali e leggi. Il solerte Boeri, invece di istigare l’odio sociale, vada a prendere i ministri e i direttori generali che hanno firmato quelle leggi e quegli accordi, i parlamentari che le hanno proposte e approvate, ma lasci stare i pensionati.
Un’ondata di demagogia sta spazzando l’Italia. È una nobile gara tra Beppe Grillo e il Pd. L’atto fondatore del partito dell’invidia si può ricondurre all’estate del 2007 quando Vincenzo Visco dichiarò guerra alle stock option dicendo che “non è giusto che un amministratore delegato guadagni più di un ministro”. Poi c’è stata la marea montante di Beppe Grillo con i suoi descamisados cui ha risposto Matteo Renzi con gli 80 euro e la promessa di togliere la pensione di reversibilità alla nonna. Renzi si è un po’ calmato quando ha fatto due righe di conto e ha visto quanti milioni di voti muovano i pensionati. Ma l’aria che tira è quella che ci dà un clima peronista, giustizialista, che vuole punire chi ha meritato di più, non i più ricchi, perché i veri ricchi non si toccano, i padroni pagano il 20 per cento di tasse sui dividendi e sul plusvalore, ma chi scatena il partito dell’odio è l’immediato vicino o superiore, l’ex capo, l’ex direttore in azienda o al Ministero.
Molti pensionati d’oro prendono pensioni inferiori a quanto dovrebbero se fosse riconosciuto loro l’intero rendimento dei contributi versati. Molti pensionati d’oro godono di pensioni superiori al versato ma questo non è frutto di rapine, discende da leggi dello Stato. Molti pensionati sono ex lavoratori di categorie fortunate ma anche a forte usura, come tipografi dei giornali, che hanno lavorato di notte per più di 30 anni e hanno anche goduto di retribuzioni coerenti su cui hanno pagato, loro e le aziende, fior di contributi. Un giorno hanno detto loro di andarsene, se non il giornale crollava sotto il peso del loro stipendio. Per evitare lo scontro, lo Stato ha regalato fino a 5 anni di contributi: è stato lo Stato a decidere, con una legge votata dal Parlamento. Perché ora devono pagare i lavoratori?
In America, diciamo per inciso, l’onere se lo sono accollato gli editori, garantendo ai lavoratori in esubero lo stipendio a vita,purché si ritirassero consentendo la riduzione degli organici.
Ma l’Italia è questa, fin dai tempi dell’unità: i profitti ai padroni, gli oneri alla comunità. Comunità è il caso di dire e non Stato soltanto, perché questo è il caso dei giornalisti, con l’Istituto di Previdenza Inpgi che da 30 anni paga al posto degli editori la “fissa”, l’indennità di licenziamento che si è trasformata, visto che nessuno viene mai licenziato, in una speciale indennità di quiescenza retaggio di tempi migliori. Ora l’Inpgi ha problemi di bilancio: si è fatta carico di prepensionamenti, solidarietà, cassa integrazione così che la Rizzoli può sventolare la promessa per l’intero 2015
“un ebitda consolidato ancora in crescita fino al raggiungimento di una marginalità (ante oneri non ricorrenti) pari a circa il 9% sui ricavi del 2015, [preliminare a] un prossimo ritorno all’utile consolidato”.
Il Gruppo Espresso Repubblica a quel livello di mol su fatturato c’era già nel primo trimestre 2015.
Tradotto in latino: i giornalisti pensionati devono pagare perché De Benedetti riceva i dividenti da Repubblica e il Corriere della Sera sistemi gli acquisti diciamo così sfortunati decisi dai suoi azionisti. Non è giusto e i pensionati devono ribellarsi. Così devono fare i giornalisti, così devono fare tutti i pensionati in Italia.
Se Orietta Berti prende “una pensione da fame” e con lei Leopoldo Mastelloni e Marina Ripa di Meana, non si devono commuovere. Vuol dire che quelli hanno lavorato molto in nero, come la stessa Orietta Berti riconosce pur con un giro di parole:
““Molti contributi non mi sono stati versati. Sono andati perduti quelli dal 1965, quando ho cominciato a cantare professionalmente, fino a quelli dei primi Anni Ottanta. Quando facevi le serate quasi nessuno ti versava i contributi: era prassi”.
Questo non è un problema dei pensionati, è un problema dell’ispettorato dell’Inps o dell’Enpals.
Matteo Renzi forse ne è consapevole solo a metà e in questo momento pensa solo a vincere in modo trionfale le elezioni, favorito dalla assenza di una opposizione presentabile, chiusa nel ridotto in Valtellina (Berlusconi) e negli slogan da Italia proletaria e fascista (Salvini).
Se avesse la voglia e la capacità di rifletterci, forse si renderebbe conto dei rischi che corre:
1. diventare strumento di una manovra più o meno occulta che fa solo il gioco delle compagnie di assicurazioni, che fa di 5 o 10 miliardi di peggioramento dei conti (dati del Ministero dell’Economia e dell’Inps, di cui è sempre bene non fidarsi fino in fondo) il simbolo della crisi finanziaria di un Paese dove nel solo mese da gennaio a febbraio il debito pubblico è aumentato di 15 miliardi e non per le pensioni.
In Italia tra febbraio e marzo il debito pubblico è salito di 15 miliardi, a 2.184,5 miliardi; era di 1.907 nel 2011. Vuol dire che è aumentato, a dirla un po’ rozzamente, di 5 miliardi e più al mese in 40 mesi. Dalla lotteria di numeri che i giornali ci hanno rovesciato addosso, estraiamo il numero 5 miliardi che è l’impatto immediato della sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni.
Siamo davvero sicuri che la sentenza, che ha mandato il tilt il Ministero dell’Economia e scatenato i suoi trombettieri, mandi a carte e 48 i conti dello Stato italiano?
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