Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna

Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell'Emilia-Romagna.
Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna. (Ansa)

ROMA – È una notizia di grande interesse per centinaia di migliaia di pensionati pubblici e privati. Due nuove eccezioni di incostituzionalità del blocco della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS per il biennio 2012-2013 (ma implicitamente anche per il successivo triennio 2014-2016), deciso dal Parlamento nella legge n. 211 del 2011 sono state sollevate dalla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, in quanto il mancato adeguamento delle pensioni equivale sostanzialmente ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti ancorché il blocco sia formalmente temporaneo poiché non è previsto alcun meccanismo di recupero.

Accogliendo le tesi del professor Rolando Pini e dell’avvocato Giovanni Sciacca per conto di dieci pensionati INPS, il giudice Marco Pieroni si è rivolto all’Alta Corte, ritenendo violati i principi di uguaglianza, di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione anche differita, della garanzia previdenziale, della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche, sanciti dagli articoli 3, 36, 38, 53, nonché dall’art. 117, primo comma, della Carta repubblicana per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (art. 6, diritto dell’individuo alla libertà e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul «patrimonio»; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Le due articolate ordinanze della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, saranno esaminate dai giudici di palazzo della Consulta tra alcuni mesi assieme a quelle in parte analoghe già pendenti del tribunale del lavoro di Palermo e della Corte dei Conti della Liguria.

*Pierluigi Roesler Franz
Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati

Ecco le sentenze 158 e 159 del 13 maggio 2014:

ALLEGATI

N. 158 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2014
Ordinanza del 13 maggio 2014 della Corte dei conti – Sez. giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna sul ricorso proposto Surace Salvatore c/INPS. Previdenza – Pensioni – Perequazione automatica delle pensioni – Previsione, in considerazione della contingente situazione finanziaria, che la rivalutazione automatica delle pensioni, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge 23 settembre 1998, n. 448, è riconosciuta per gli anni 2012-2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento e che per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS ed inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l’aumento è comunque attribuito fino alla concorrenza del predetto limite maggiorato – Violazione del principio di uguaglianza – Lesione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione anche differita – Violazione della garanzia previdenziale – Lesione dei principi della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche – Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. – Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, art. 24, comma 25. – Costituzione, artt. 3, 36, 38, 53 e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n.41 del 1-10-2014)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER L’EMILIA-ROMAGNA

In funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica in persona del consigliere Marco Pieroni, ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 43666/Pensioni Civili del registro di segreteria, proposto dal signor Salvatore Surace, nato a Rizziconi (RC) il 6.9.1942, residente a Modena, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Rolando Pini; Uditi, nella pubblica udienza del 14 gennaio 2014, con l’assistenza della sig.ra Laura Cannas, l’avv. prof. Rolando Pini per il ricorrente e l’avv. Mariateresa Nasso per l’INPS di Roma; Premesso che con atto depositato in data 11 aprile 2013, il ricorrente, rappresentato e’ difeso dall’avv. prof. Rolando Pini, propone ricorso avverso: a) il trattamento pensionistico a lui attribuito a partire dal mese di agosto 2011, nella parte in cui detto trattamento e’ stato assoggettato al “contributo di perequazione” previsto dal comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nel testo successivamente modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; b) la mancata rivalutazione automatica del loro trattamento pensionistico in applicazione dell’art. 24, comma 25, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 214 del 2011; che questo Giudice, con riferimento alla prima richiesta, ha deciso con separata pronuncia;

che con riferimento alla seconda richiesta sub b), il ricorrente si duole del fatto che la mancata rivalutazione automatica del suo trattamento pensionistico in applicazione del comma 25 dell’art. 24 del medesimo d.l. n. 201 del 2011; convertito dalla l. n. 214 del 2011 riproduca, nella sostanza, i medesimi effetti derivanti dal citato art. 18, comma 22-bis, del dl. n. 201 del 2011, violando peraltro i parametri di cui agli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost. che l’INPS ha prodotto, in replica, memoria depositata in data 26 settembre 2013;

che quanto alla questione riguardante il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria (art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla l. n. 214 del 2011), l’INPS ha: a) ricordato una serie di pronunce della Corte costituzionale in base alle quali questioni consimili siano state dichiarate manifestamente infondate (sent. n. 202 del 2006; n. 256 del 2001); fatto presente che analoga questione e’ stata rigettata dalla Corte dei conti, Sez. Giur. Lazio con sentenza n. 214 del 2013; c) che la norma in questione, a differenza di quella caducata per effetto della sentenza n. 116 del 2013 della Corte costituzionale, colpisce tutti i pensionati pubblici e privati;

che il ricorrente ha reiterato le proprie ragioni con la successiva memoria 11 dicembre 2013; in particolare, nel corso dell’udienza pubblica e’ emerso che le trattenute a titolo di “contribuzione perequativa” effettuate a carico dell’interessato risultano essere state restituite solo con riferimento al 2013 e non anche per gli anni 2011 e 2012;

Ritenuto che il ricorrente si duole della mancata rivalutazione automatica del proprio trattamento pensionistico in applicazione del
comma 25 dell’art. 24 del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla l. n. 214 del 2011;

che, in proposito, deve premettersi che la disposizione della quale questo Giudice e’ chiamato a fare applicazione (citato art. 24, comma 25, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla l. n. 214 del 2011) prevede: “In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e’ riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l’aumento di rivalutazione e’ comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3 dell’ articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e’ abrogato.”;

che questo Giudice rileva che il censurato art. 24, comma 25, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 prevede il blocco degli adeguamenti delle pensioni, superiori a tre volte il trattamento minimo: tale norma sembra penalizzare detti trattamenti pensionistici, vulnerando il principio di proporzionalita’ fra retribuzione, in contrasto con il combinato disposto degli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione; che se e’ pur vero che la Corte costituzionale (sent. n. 316/2010) ha affermato che in particolari circostanze e con riferimento ai trattamenti pensionistici piu’ elevati possa sospendersi, per un periodo limitato, l’adeguamento annuale previsto dall’art. 59, 13° comma, l. n. 449/1997, e’ da considerare che la stessa Corte ha affermato (cfr. medesima sentenza n. 316/2010, punto 4 del Considerato in diritto) che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con, gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita’ […] perche’ le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”; d’altro canto, il censurato art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, appare peggiorativo rispetto all’art. 1, comma 19, l. n. 247 del 2007 (ritenuto legittimo dalla citata sentenza n. 316/2010) giacche’ paralizza l’adeguamento dei trattamenti superiori a tre volte, anziche’ ad otto volte, il minimo INPS;

che vale aggiungere che il blocco introdotto dalla norma censurata: a) per un verso, segue a distanza di soli quattro anni quello ritenuto legittimo; b) per altro verso, per esplicita autogiustificazione inteso a contribuire al finanziamento di esigenze generali dello Stato (art. 24, 1 comma 1, d.l. n. 201/2011) “in considerazione della contingente situazione finanziaria” (art. 24, comma 25, primo periodo, d.l. n. 201/2011), sembra palesare profili di irrazionalita’ per eccedenza del mezzo rispetto al fine (art. 3 Cost.), giacche’ ad esigenze di tal fatta dovrebbe logicamente provvedersi con la fiscalita’ ordinaria (art. 53 Cost.);

he invero, il citato art. 24, comma 25, citato dissimula a ben vedere l’introduzione di una misura volta a realizzare un introito per l’Erario sotto forma di un risparmio realizzato forzosamente mediante la compressione di un diritto (quale quello all’adeguamento dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati; sicche’ la misura avversata dagli interessati sembra sostanziarsi in realta’ in una sorta di prelievo fiscale settoriale, come si diceva dissimulato, in quanto ontologicamente non dissimile da quello gia’ oggetto della pronuncia demolitoria della Corte Costituzionale con la sent. n. 116/2013, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.;

che il vizio della norma in questione emerge altresi’ ove si consideri che la natura retributiva (differita) delle pensioni ordinarie e’ stata ormai definitivamente statuita dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 116/2013, laddove al punto 7.3. del Considerato in diritto, cosi’ si esprime: “Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor piu’ palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicche’ il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con piu’ evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia’ rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu’ possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro”, donde la possibile lesione degli artt. 3 e 53 Cost.;

che e’ evidente che il mancato adeguamento delle pensioni equivale ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti ancorche’ il blocco sia formalmente temporaneo poiche’ non e’ previsto alcun meccanismo di recupero, con conseguente lesione degli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost.; tanto piu’ che il blocco incide sui pensionati, fascia sociale per antonomasia “debole” per eta’ ed impossibilita’ di adeguamento del reddito, come evidenzia ancora la pronuncia della Corte n. 116 del 2013 (punto 7.3. del Considerato in diritto), pronuncia che non senza significato ha affermato che “i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti”;

che con la sentenza n. 223 del 2012, la Corte costituzionale nel ritenere la fondatezza della questione sollevata in relazione all’art. 53 Cost. ha ricordato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita’ contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita’, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta’ politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Pertanto, il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., consiste in un «giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta’ dell’entita’ dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997);

che facendo applicazione di tale principio di diritto la Corte ha ritenuto che nella specie, pur considerando al giusto la discrezionalita’ legislativa in materia, la norma impugnata si ponesse in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost., in quanto “l’introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione viola, infatti, il principio della parita’ di prelievo a parita’ di presupposto d’imposta economicamente rilevante”. Tale violazione e’ stata ritenuta tale sotto due diversi profili: a) da un lato, a parita’ di reddito lavorativo, il prelievo e’ ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici; b) d’altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto, (con l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) contributo di solidarieta’ (di indubbia natura tributaria), al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalita’, l’ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. Nel caso in esame, dunque, l’irragionevolezza non risiedeva nell’entita’ del prelievo denunciato, ma nella “ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi”;

che anche nel caso in esame pare rinvenirsi un’ipotesi di lesione del combinato disposto di’ cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad “una platea di soggetti passivi”, e cioe’ ai percettori del trattamento pensionistico, senza estenderla alla generalita’ dei percettori di altre tipologie di reddito (ad esempio, reddito da lavoro dipendente pubblico e privato) in violazione in particolare dell’art. 53 Cost., nei due commi di cui esso si compone, che tutela due interessi di pari rango, quello della collettivita’ al concorso di tutti alle spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica che fa eco al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che gia’ aveva informato di se’ l’art. 25 dello Statuto albertino, e quello del singolo al rispetto della propria capacita’ contributiva, espressivo della funzione garantistica della norma;

che, per la ragioni che precedono, anche in questo caso, come in quelli decisi con le sentenze n. 223 del 2012 e n. 116 del 2013 della Corte costituzionale “la sostanziale identita’ di ratio dei differenti interventi “di solidarieta’”, poi, prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta’ del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di’ un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu’ favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta’ economica, anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo. L’eccezionalita’ della situazione economica che lo Stato deve affrontare e’, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, e’ compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non e’ indifferente alla realta’ economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non puo’ consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale e’ fondato l’ordinamento costituzionale”;

che la Corte ha in proposito ricordato che l’art. 53 della Costituzione deve essere interpretato in modo unitario e coordinato, e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre; che, infatti, la universalita’ della imposizione, desumibile dalla espressione testuale “tutti” (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di concorrere alle “spese pubbliche in ragione della loro capacita’ contributiva” (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all’appartenenza del soggetto alla collettivita’ organizzata; che, nello stesso tempo, la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacita’ contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita’, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta’ ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta’ politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione) (ord. n. 341/2000; sent. 104/1985); che una sommaria ma significativa ricognizione delle misure legislative di analogo tenore rispetto a quella qui censurata e che da’ evidenza che il blocco della perequazione automatica va sempre piu’ assumendo i caratteri di intervento “strutturale”, e non quello di natura eccezionale e “non reiterabile” mostra come, nel tempo, risultano rinvenibili diverse disposizioni di tenore analogo a quello qui censurato: l’art. 1, comma 19, della legge n. 247/2007 (oggetto di scrutinio da parte della Corte, v. sent. n. 316/2000); l’art. 59, comma 13, della legge n. 449 del 1997 (oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale, v. sent. n. 316/2010); analoga disposizione risulta ora inserita nell’ultima legge di stabilita’, art. 1, comma 483, 1. n. 147 del 2013;

che tanto premesso, come dianzi rilevato, vale in proposito nuovamente richiamare la sentenza n. 316 del 2010, con cui la Corte costituzionale ha osservato che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita’ (su cui, nella materia dei trattamenti di quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del 1985), perche’ le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta” (punto n. 4 del Considerato in diritto). Tale pronuncia della Corte costituzionale aggiunge che “i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti” (cfr. punto 7.3. del Considerato in diritto). La sentenza aggiunge ancora che “nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor piu’ palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicche’ il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con piu’ evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia’ rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu’ possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro” (punto 7.3. del Considerato in diritto);

che circa il rispetto del principio di proporzionalita’ della pensione (artt. 3. 36 e 38 Cost. va noi citata l’ordinanza n 531 del 2002, con cui la Corte, in considerazione della “natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico”, ha ricordato di avere costantemente affermato “il principio della proporzionalita’ della pensione alla quantita’ e qualita’ del lavoro prestato, nonche’ della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968); che ha, altresi’, riconosciuto che il requisito della proporzionalita’ deve sussistere non solo al momento del collocamento a riposo del lavoratore, ma anche successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta (sentenze n. 96 del 1991 e n. 26 del 1980); che, tuttavia, ha altrettanto costantemente specificato che tale principio non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli stipendi, ma che spetta alla discrezionalita’ del legislatore determinare le modalita’ di attuazione del principio sancito dall’art. 38 della Costituzione; che, piu’ precisamente, tale determinazione consegue al bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agii impegni di spesa (sentenze n. 457 del 1998; n. 226 del 1993 e n. 119 del 1991), con il limite comunque di assicurare “la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona” (sentenza n. 457 del 1998); che, sotto altro aspetto, l’esigenza di adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita e’ assicurata attraverso il meccanismo della perequazione automatica del trattamento pensionistico (attualmente disciplinato dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e successive modifiche ed integrazioni);

che la Corte ha altresi’ rilevato (ordinanza n. 299/1999; sentenza n. 245/1997) che per esigenze stringenti di equilibrio di bilancio il legislatore ha imposto a tutti sacrifici anche onerosi (sentenza n. 245 del 1997) e che norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all’art. 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarieta’ sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso;

che la Corte non ha inoltre mancato di evidenziare che “spetta al legislatore (ordinanze n. 263/2002 e n. 99/1999), nell’equilibrato esercizio della sua discrezionalita’ e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica (sentenze nn. 477 e 226 del 1993), bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti: nel caso in esame, il processo di perequazione delineato dal decreto-legge n. 409 del 1990, convertito nella legge n. 59 del 1991, non viene infatti vanificato, come sembra temere il giudice rimettente, ma soltanto differito per un periodo ragionevolmente contenuto; rinvio che, certo, non e’ dettato da motivi arbitrari, trovando fondamento nella piu’ complessa manovra correttiva degli andamenti della finanza pubblica”;

che deve aggiungersi che la norma di legge in questione pare lesiva anche del principio dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (art. 3 Cost.), dato che i pensionati adeguano i programmi di vita alle previsioni circa le proprie disponibilita’, programmi che possano plausibilmente comprendere impegni finanziari (per es. mutui), assunti anche per solidarieta’ familiare; di qui l’inopinato sconvolgimento delle loro legittime previsioni che puo’ incidere sulle prospettive di vita dei pensionati stessi, violando cosi’ ilche in proposito, questo Giudice e’ avveduto della giurisprudenza della Corte costituzionale che ha piu’ volte legittimato il legislatore ad emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» “(sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236, n. 206 del 2009, 349 del 1985); tuttavia, per questo ultimo profilo, la recente conclusione del Giudice delle leggi, quale quella contenuta nel punto 13.8. del Considerato in diritto della sentenza n. 310 del 2013 (che conclude come segue: “situazione che nella specie non puo’ dirsi sussistente.”) non appare in tutto perspicua circa l’operare in concreto del principio enunciato; sicche’, con riferimento alla disposizione di legge citata permane il dubbio circa la non implausibilita’ della non manifesta infondatezza anche della questione riferita alla lesione del cd. principio dell’affidamento (art. 3 Cost.); principio dell’affidamento;

che questo Giudice e’ altresi’ a conoscenza dell’orientamento della Corte costituzionale in virtu’ del quale “il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui puo’ attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo definiti, ma piu’ lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle richiamate sentenze della stessa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra economica del 1992” (sentenze n. 245 del 1997 e n. 299 del 1999, come anche richiamate anche nella sentenza n. 223 del 2012). E’ noto altresi’ che la Corte costituzionale, “in generale, ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonche’ temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione”.

La Corte, nella sentenza n. 310 del 2013, ha aggiunto che le norme impugnate “superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che comprende piu’ anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio”. (v. Corte cost., sent. n. 310/2013, n. 13.5. del Considerato in diritto).

Medesima ratio decidendi – impiegata dalla Corte per risolvere la questione con riferimento a tutti i parametri sollevati artt. 3, 36, 53 e 97 Cost. – e’ alla base della successiva ordinanza n. 113 del 2014, con la quale la Corte rigetta le questioni sollevate come manifestamente infondate.

In disparte la grave problematica, non affrontata in modo esplicito dalla Corte, circa la tenuta della disposizione secondo cui “lo Stato concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali” (art. 5, comma 1, lett. g, della legge costituzionale n. 1 del 2012) in relazione alla previsione del principio dell’equilibrio del bilancio introdotta in esito alla profonda modifica costituzionale degli articoli 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost., tale modo di argomentare della Corte (v. citate sentenza n. 310/2013 e ordinanza n. 113/2014) presenta un rilevante elemento di novita’, che legittima interventi restrittivi di blocchi stipendiali (volti a realizzare risparmi di spesa) prolungati nel tempo, la cui ragionevolezza per l’innanzi veniva condizionata dalla giurisprudenza della Corte al loro carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato; ma non e’ chi non veda che il prolungamento temporale del limite di dette misure (secondo il nuovo orientamento della Corte) rischia di entrare in conflitto con la premessa che dette condizioni sono teleologicamente finalizzate a garantire, con conseguente introduzione di sacrifici a carattere sostanzialmente non piu’ “temporalmente limitato” bensi’ a carattere sostanzialmente strutturale; sicche’, nel caso del reiterato blocco della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, anche in considerazione della minore aspettativa di vita dei titolari del diritto, detto sacrificio rischia di trasformarsi da temporale in definitivo. In tale prospettiva, i criteri fin qui impiegati dalla Corte per scrutinare le misure restrittive, l’uno connotato da un carattere propriamente transeunte delle misure (impiegato nelle citate pronunce riguardanti la manovra economica del 1992) e l’altro, piu’ recente (v. citata sentenza n. 310 del 2013 e ordinanza n. 113 del 2014), qualificato da una non implausibile estensione temporale propria delle manovre finanziarie pluriennali, rischiano di entrare tra loro in collisione (o in contraddizione) quanto piu’ la durata di detto limite venga prolungato (o reiterato) nel tempo, con trasformazione della restrizione da temporale a permanente, da provvisoria a strutturale, da eccezionale a ordinaria, da “temporalmente giusta” a “ingiusta”, in relazione ai parametri costituzionali 3, 53, 36 e 38 Cost.

Tanto piu’ nel caso che ne occupa, riguardante, non gia’ il blocco della crescita di stipendi o pensioni, bensi’ la rivalutazione monetaria (nella specie) dei trattamenti pensionistici, meccanismo quello della rivalutazione, riconducibile nell’alveo dei sistemi di indicizzazione, che attende alla precipua funzione di mantenere integro ii collegamento con il fenomeno dell’inflazione e dunque dei trattamenti pensionistici – nella misura in cui essi attendono alla funzione fondamentale inerente a diritti civili e sociali, quali quelli di sostegno della vecchiaia (art. 5, comma 1, lett. g, della legge costituzionale n. 1 del 2012) – con le complessive dinamiche del costo della vita a garanzia della adeguatezza degli emolumenti percepiti e maturati dai lavoratori alle loro esigenze di vita (art. 38 Cost.).

che come dianzi accennato la Corte Costituzionale ha utilizzato il concetto di legittimo affidamento fin dalla sentenza n. 349 del 1985, affermando che: “dette disposizioni, pero’, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi’ anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto”;

che anche la sentenza n. 73 del 1990 ha confermato i principi gia’ affermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 349 del 1985) secondo cui le “disposizioni modificatrici in senso sfavorevole della precedente disciplina dei rapporti di durata, anche se incidenti su diritti soggettivi, emanate dal legislatore ai fini pensionistici, non devono concretare un regolamento irrazionale ed arbitrario, lesivo delle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti e frustrare l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica che e’ elemento fondamentale dello Stato di diritto”;

che in particolare – ha soggiunto la Corte -, “senza una inderogabile esigenza, non puo’ effettuarsi in una fase avanzata del rapporto tra lavoratori ed I.N.P.S. una modifica legislativa che alteri in senso sfavorevole, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative nutrite dal lavoratore.”;

che peraltro, “l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici della disciplina dei rapporti di durata in senso sfavorevole per i beneficiari, quando tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti” (sent. n. 393 del 2000);

che in tema di affidamento la Corte (sentenza n. 170/2013) ha anche affermato di avere “individuato una serie di limiti generali […] attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civilta’ giuridica, tra i quali sono ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita’ di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario […]. In particolare, in situazioni paragonabili al caso in esame, la Corte ha gia’ avuto modo di precisare che la norma … non puo’ tradire l’affidamento del privato, specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se la disposizione…. sia dettata dalla necessita’ di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad evenienze eccezionali” (punto 4.3. del Considerato in diritto);

che sulla base del disposto di cui all’art. 117, comma 1, della Costituzione, come introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 (cfr. Corte cost. sentt. nn. 348 e 349/2007), ulteriore parametro evocabile, nella specie, e’ la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (espressamente riconosciuta dall’Unione europea sulla base dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea), come interpretata dalla Corte di Strasburgo, avente natura di parametro interposto rispetto al citato art. 117, primo comma, Cost., in quanto la disposizione di legge censurata pare confliggere tanto con il principio della certezza del diritto come patrimonio comune di tradizioni degli Stati contraenti, che sopporta eccezioni solo se giustificate dal sopraggiungere di rilevanti circostanze di ordine sostanziale (cfr. sentenza della V sezione del 19/7/2007, nel ricorso 69533/01 della Corte di Strasburgo), quanto con altri diritti garantiti dalla Carta: il diritto dell’individuo alla liberta’ e alla sicurezza (art. 6), il diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul “patrimonio” (art. 21), il diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso alle prestazioni di’ sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34);

che quanto al principio della certezza del diritto, va anche richiamata la sentenza n. 7/2007, con cui la Corte dei conti, sez. unite, ebbe ad affermare che “l’affidamento nella sicurezza giuridica costituisce invero un valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze 17 dicembre 1985, n. 349; 14 luglio 1988, n. 822; 4 aprile 1990, n. 155; 10 febbraio 1993 n. 39), ora ancor piu’ rilevante considerato che lo stesso legislatore prescrive che l’attivita’ amministrativa sia retta (anche) dai principi dell’ordinamento comunitario (articolo 1, primo comma, della legge 7 agosto 1990 n. 241 quale modificato dall’articolo 1 della legge 11 febbraio 2005 n. 15), nel quale il principio di legittimo affidamento e’ stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in un’ottica di accentuata tutela dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle istituzioni europee (Corte di giustizia delle Comunita’ europee, 15 luglio 2004, causa C-459/02; 14 febbraio 1990, causa C-350/88; 3 maggio 1978, causa 112/77)”;

che analoga criticita’ e’ dato riscontrare sul piano della cd. “adeguatezza” (art. 38, secondo comma, Cost.) della prestazione pensionistica nel tempo a seguito della vigenza della norma dianzi citata e censurata; mentre infatti puo’ ritenersi oramai acquisito il concetto secondo cui il rispetto del precetto costituzionale dell’adeguatezza presuppone la permanenza delle condizioni di effettivita’ della protezione economica garantita, effettivita’ che viene a mancare quando una legge non preveda l’adeguamento (non necessariamente per mezzi di meccanismi automatici, cfr. Corte cost., sentt. n. 457 dei 1998 e n. 280 del 1974) dell’importo della prestazione al mutamento nel tempo dei valori monetari (Cod. cost., sent. n. 487 del 1988), problematici e poco indagati sono i limiti posti al legislatore il quale, se puo’ intervenire in senso peggiorativo per «inderogabili esigenze”, non puo’ conculcare i diritti pensionistici “in misura notevole” e in “maniera definitiva”, tanto piu’ che nell’urto della garanzia dell’adeguatezza con l’esigenza dell’equilibrio di bilancio, la prestazione sociale, nel bilanciamento degli interessi, tendenzialmente resiste, come peraltro testimoniato dalla stessa legge costituzionale n. 1 del 2012 (pur in vigore dal 1° gennaio 2014), che, all’art. 5, primo comma, lett. g), prevede che la legge di cui all’articolo 81, sesto comma, della Costituzione (come sostituito dall’articolo 1 della medesima legge costituzionale) “[…] concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali”;

che in tale logica, la rilevanza della congiuntura economica, sempre piu’ incombente, non puo’ incidere in modo preminente e comunque senza limiti irragionevolmente valicabili, sul principio di’ adeguatezza dei mezzi da apprestare per le esigenze di vecchiaia dei lavoratori (art. 38 Cost.) e neppure su quello di “retribuzione proporzionata e sufficiente” (art. 36 Cost.), laddove il trattamento pensionistico venga assimilato ad una “retribuzione differita” (Corte cost., sent. n. 116 del 2013); che anche la Corte di Giustizia, fin dalla decisione C – 12/77 del 3 maggio 1978 (Topfer), ha affermato che “il principio di tutela dell’affidamento fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario”; che per quanto suesposto, ai sensi dell’art. 23 secondo comma della legge n. 87 del 1953, appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, nonche’ con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6, diritto dell’individuo alla liberta’ e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul “patrimonio”; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.

P.Q.M.

la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia-Romagna in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica, visti gli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, nonche’ con l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6, diritto dell’individuo alla liberta’ e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul “patrimonio”; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo, la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (ex artt. 1 e 2 del regolamento della Corte costituzionale 16 marzo 1956), con sospensione del giudizio. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche’ comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi’ deciso in Bologna, nella pubblica udienza del giorno 14 gennaio 2014. Bologna, li 04/07/2014

Il Giudice: Pieroni

II direttore di segreteria: Natalucci

Nella pagina successiva: l’ordinanza 159 della Corte dei conti dell’Emilia-Romagna

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