Tre anni fa, nel 2010, l’attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta fu il primo firmatario di un’apprezzabile e condivisibile proposta di legge per abolire i vitalizi dei parlamentari. Il documento è però rimasto lettera morta, restando chiuso nei cassetti di Montecitorio senza neppure essere stato mai esaminato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, finendo così in un cestino.
Ci si attendeva ora che da premier l’onorevole Enrico Letta, coerentemente con quanto aveva ipotizzato il 21 dicembre 2010, ripresentasse questa sua proposta come iniziativa dell’Esecutivo e quindi con ben altra valenza, ma soprattutto con ottime chances di veder trasformata in legge la sua proposta. Purtroppo, almeno per il momento, queste aspettative sono andate deluse. Il numero 1 di palazzo Chigi deve essere evidentemente rimasto ancora suggestionato dalla lavata di capo fattagli in una lettera dell’aprile 2011 dal presidente dell’Associazione degli ex parlamentari, Gerardo Bianco, già segretario del Ppi.
Coraggio, quindi, Presidente Letta, si ravveda! Anche se sarebbero stati opportuni alcuni aggiustamenti, la Sua proposta n. 3981 andava davvero nel segno giusto prevedendo, tra l’altro, l’abrogazione dell’istituto dell’assegno vitalizio e il divieto di accumulo del vitalizio con i contributi graziosamente elargiti da Pantalone (cioè dall’Inps o da altri enti previdenziali anche privatizzati come l’Inpgi per i giornalisti) in base ad una distorta interpretazione dell’art. 31 dello Statuto dei Lavoratori in vigore dal 1970 (vedere qui sotto) a favore di chi venga eletto deputato, senatore, europarlamentare, Governatore di Regione, Sindaco di grandi città, ecc..
Secondo alcune stime abbastanza attendibili il costo di questa ingiustificata e privilegiata doppia pensione per i parlamentari a carico dell’Inps e degli altri enti previdenziali pubblici e privati avrebbe addirittura superato i 5 miliardi di euro (oltre 10 mila miliardi di lire) in 43 anni e mezzo di applicazione della norma contenuta nella legge n. 300. Viceversa, ripetiamo, per il parlamentare la doppia pensione arrivava dal cielo assolutamente gratis!
La proposta di legge n. 3981 presentata nella passata legislatura da Enrico Letta, ma non più da lui riproposta, prevedeva inoltre il cumulo tra pensione e redditi da lavoro dei parlamentari, cioè l’esatto opposto di quanto chiesto ora dall’onorevole Maria Anna Madia (giovane parlamentare ruspante del Pd scelta da Matteo Renzi a far parte del suo team e destinata a far presto carriera nel mondo politico) nel suo discutibile, quanto stravagante e contestato, emendamento presentato nei giorni scorsi alla legge di stabilità per il 2014 all’esame delle Commissioni Lavoro e Bilancio della Camera.
La filosofia del progetto di legge di 3 anni fa dell’onorevole Letta è, a mio parere, da condividere al 100 per cento. Come si legge in un articolo pubblicato sul sito internet dello stesso premier, si prefiggeva infatti di affermare un principio sacrosanto: “È giusto che la politica venga retribuita, ma non è giusto che lasci privilegi per tutta la vita”.
Peccato, che appena 2 settimane fa, lo stesso premier Enrico Letta se ne sia, però, completamente dimenticato quando ha presentato a nome del Governo – ottenendo poi la fiducia – un nuovo pesante taglio delle pensioni più alte che, nonostante la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 5 giugno scorso avesse già dichiarato incostituzionale una misura analoga introdotta dai Governi Berlusconi e Monti, mira a colpire di nuovo dal 2014 i titolari di pensioni superiori ai 90 mila euro lordi l’anno e addirittura in misura ben più pesante
(- 6% oltre i 90 mila 168 euro lordi l’anno e fino a 128 mila 812 euro lordi l’anno;
– 12% oltre i 128 mila 812 euro lordi l’anno e fino a 193 mila 218 euro lordi l’anno;
– 18% oltre i 193 mila 218 euro lordi).
Ma, guarda caso, questo taglio non avrebbe colpito anche i sostanziosi vitalizi dei parlamentari (il viceministro Pd dell’Economia Stefano Fassina, accortosi della “svista”, ha ora promesso di volerla correggere con un apposito emendamento alla Camera per risolvere la questione, che altrimenti rischia di costituire un grave precedente in materia di equità).
Il punto, però, è che resterebbe comunque una profonda ingiustizia che, invece, la proposta Letta di 3 anni fa mirava correttamente ad eliminare. Difatti si manterrebbe sostanzialmente in vita la doppia pensione per tutti quei cittadini eletti deputati, senatori, europarlamentari, Governatori di Regioni, Sindaci di grandi città, ecc., che al momento della loro elezione risultavano titolari di una posizione contributiva previdenziale. Fino al 1999 tutti costoro si sono visti regalare i contributi sia per la parte di loro competenza come lavoratori, sia per la parte di competenza datoriale. A fine 1999, per effetto di un’apposita disposizione (art. 38 della legge n. 488 del 23 dicembre 1999 – legge finanziaria per il 2000, vedere allegato 5 qui sotto), approvata ad hoc per cercare di mettere a tacere una campagna scandalistica di stampa messa in atto da parte di alcuni giornali.
La maggiore novità della legge 488 consisteva, appunto, nel lasciare ad esclusivo carico del parlamentare la parte dei contributi di competenza del lavoratore, lasciando a carico dell’Inps e degli altri enti previdenziali competenti solo la quota già a carico dell’azienda prima dell’aspettativa parlamentare.
Purtroppo, l’errore di fondo è stato, però, quello di mantenere in parallelo anche l’elargizione del famigerato vitalizio a spese di Pantalone che, come abbiamo visto, lo stesso Premier Enrico Letta sin da 3 anni fa avrebbe voluto cancellare.
Mi permetto, quindi, di avanzare una proposta di una semplicità elementare e che si adegua perfettamente sia alla formulazione letterale dell’art. 31 dello Statuto dei Lavoratori, sia alla spending review del binomio Monti-Fornero: “I lavoratori eletti deputati o senatori hanno diritto a mantenere il loro posto di lavoro per tutta la durata del mandato e a vedere accreditati dalla Camera o dal Senato i contributi previdenziali originariamente versati dall’azienda presso cui lavoravano. Resta, tuttavia, a esclusivo carico del deputato e del senatore la quota di contributi già di sua spettanza come lavoratore. Deputati senatori già iscritti ad enti previdenziali prima della loro elezione non hanno alcun diritto di percepire vitalizi da Camera o Senato”.
In sintesi, un qualsiasi lavoratore (magistrato, manager, dirigente bancario, medico ospedaliero, professore universitario o di scuola, militare, sindacalista, giornalista ecc.) eletto deputato o senatore ha diritto a mantenere il precedente posto di lavoro per tutta la durata del mandato parlamentare e a vedersi poi accreditare i contributi nello stesso identico modo in cui avveniva prima della sua elezione. Pertanto la Camera o il Senato dovrebbero sostituirsi all’azienda per i contributi relativi alla sola parte aziendale, mentre il deputato o il senatore dovrebbe versare la sua quota di pertinenza così come già avveniva in precedenza. Ma senza più godere di alcun vitalizio a spese di Pantalone.
Anche se ovviamente questa normativa non potrebbe avere effetto retroattivo, costituirebbe comunque un atto di buona volontà del Parlamento nei confronti dei cittadini e nessuno potrebbe più lamentarsi degli ingiustificati privilegi oggi goduti da deputati e senatori. E si accontenterebbe finalmente dopo 3 anni lo stesso premier Enrico Letta con un consistente risparmio per le casse dello Stato che compenserebbe il mancato gettito conseguente all’eliminazione del taglio sulle pensioni oltre 90 mila euro al momento reintrodotto nella legge di stabilità per il 2014 con il voto di fiducia al Senato.
* Presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l’Associazione Stampa Romana
Lo Statuto dei lavoratori a favore della Casta parlamentare
LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attivitàsindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento. (GU n.131 del 27-5-1970 )
Art. 31.
(Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali).
I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche
elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato.
La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.
I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico della assicurazione generale obbligatoria di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche ed integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l’esonero.
Durante i periodi di aspettativa l’interessato, in caso di malattia, conserva il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime.
Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all’attività espletata durante il periodo di aspettativa.
La “pezza” del 1999
Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27-12-1999
(Supplemento Ordinario n. 227)
LEGGE 23 dicembre 1999, n. 488
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000).
Art. 38 (Contributi pensionistici di lavoratori dipendenti che ricoprono cariche elettive e funzioni pubbliche)
1. I lavoratori dipendenti dei settori pubblico e privato, eletti membri del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo o di assemblea regionale ovvero nominati a ricoprire funzioni pubbliche, che in ragione dell’elezione o della nomina maturino il diritto ad un vitalizio o ad un incremento della pensione loro spettante, sono tenuti a corrispondere l’equivalente dei contributi pensionistici, nella misura prevista dalla legislazione vigente, per la quota a carico del lavoratore, relativamente al periodo di aspettativa non retribuita loro concessa per lo svolgimento del mandato elettivo o della funzione pubblica. Il versamento delle relative somme, che sono deducibili dal reddito complessivo risultando ricomprese tra gli oneri di cui all’articolo 10, comma 1, lettera e), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, deve essere effettuato alla amministrazione dell’organo elettivo o di quello di appartenenza in virtù della nomina, che provvederà a riversarle al fondo dell’ente previdenziale di appartenenza.
2. Le somme di cui al comma 1 sono dovute con riferimento ai contributi relativi ai ratei di pensione che maturano a decorrere dal 1° gennaio 2000.
3. I lavoratori dipendenti di cui al comma 1, qualora non intendano avvalersi della facoltà di accreditamento dei contributi di cui al comma 1 medesimo secondo le modalità previste dall’articolo 3 comma 3 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564 e successive modificazioni, non effettuano i versamenti relativi.
4. I soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 564 del 1996, che non hanno presentato la domanda di accredito della contribuzione figurativa per i periodi anteriori al 31 dicembre 1998 secondo le modalità previste dal comma 3, articolo 3, del decreto legislativo, 16 settembre 1996, n. 564 e successive modificazioni, possono esercitare tale facoltà entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. A decorrere dal 1o gennaio 2000 il diritto agli sgravi contributivi previsti all’articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978 n. 218 e successive modificazioni e integrazioni è riconosciuto alle aziende che operano nei territori individuati ai sensi dello stesso articolo come successivamente modificato e integrato che impiegano lavoratori anche non residenti per le attività dagli stessi effettivamente svolte nei predetti territori.
6. La disposizione di cui al comma 5, si applica anche ai periodi contributivi antecedenti il 1° gennaio 2000 e alle situazioni pendenti alla stessa data; sono fatte salve le maggiori contribuzioni già versatee le situazioni oggetto di sentenze passate in giudicato.
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