Pensioni e buoni pasto: Giorgia Meloni non rinuncia, ne ha due. E accusa fango

Pensioni e buoni pasto: Giorgia Meloni non rinuncia, ne ha due, accusa il fango
Giorgia Meloni: pensione da deputato e una da giornalista col rinforzo e buoni pasto. Ma vuole ridurre quelle degli altri

Pensioni d’oro e buoni pasto, tra Giorgia Meloni, deputato e leader di Fratelli d’Italia e Pierluigi Roessler Franz, che su Blitzquotidiano l’ha criticata per le sue iniziative contro i pensionati. Pierluigi Roessler Franz, presidente del Gruppo Romano Giornalisti Pensionati presso l’Associazione Stampa Romana, ha scritto un duro articolo di critica severa sulla proposta Meloni.

La posizione di Giorgia Meloni, esposta nella sua replica diffusa attraverso Dagospia,  è questa:

“Il disegno di legge di Fratelli d’Italia, bocciato in Commissione lavoro della Camera, prevede che sia ricalcolata con il metodo contributivo (quello che dal 1996 vale per tutti i lavoratori) la parte dell’assegno pensionistico che eccede la soglia di 10 volte il trattamento minimo INPS, sarebbe a dire 4950 euro al mese.

“Chiediamo semplicemente di verificare se gli assegni da 10.000, 30.000, 90.000 euro al mese che alcuni privilegiati percepiscono, corrispondano a contributi effettivamente versati o se invece siano figli delle leggi generose della Prima Repubblica. Chi ha effettivamente versato i contributi non ha nulla da temere, ma chi prende più del dovuto si troverebbe la propria pensione decurtata e riparametrata con il sistema contributivo. Con quanto ricavato si andrebbero ad aiutare le pensioni minime e di invalidità. In ogni caso, come detto, ciò vale solo per le mega pensioni, sotto i 4950 euro al mese rimane tutto immutato.

“La proposta prevede che ciò valga per qualsiasi pensione pagata dallo Stato e anche nel caso di cumulo di pensioni. Con un emendamento a mia firma, inoltre, sono stati inclusi nella proposta anche tutti i vitalizi e i trattamenti pensionistici degli organi costituzionali”.

Il ragionamento ha un suo fascino, anche se Pierluigi Roessler Franz lo stronca e bolla di “proposta demagogica“.

Dove Giorgia Meloni si impappina, o chi le ha scritto la lettera la fa impappinare, è sul tema dei buoni pasto.

Giorgia Meloni ha scritto sdegnata che su Blitzquotidiano

“si argomenta che poiché la Camera dei deputati (nella quale Fratelli d’Italia siede all’opposizione con i suoi 9 deputati su 630 totali) ha deciso di aumentare i buoni pasto dei parlamentari, allora Fratelli d’Italia dovrebbe rinunciare alla propria proposta di revoca delle pensioni d’oro. Ecco, ad argomentazioni come questa, per imbarazzo nei confronti di chi le sostiene, preferisco non rispondere”.

L’impressione è che abbiano letto male: non uno scambio pensioni – buoni pasto veniva auspicato.

Quello che si chiedeva era la rinuncia ai buoni pasto, semplicemente.

La replica di Giorgia Meloni, che ormai sembra in aperta competizione con la sinistra più lamentosa, non si sottrae alla moda di Saviano e della macchina del fango colpevole anche del buco dell’ozono:

“Quindi, con buona pace di chi tenta di tirare fango su di me per bloccare questa riforma di civiltà, se la proposta di Fratelli d’Italia fosse approvata dal Parlamento, riguarderebbe anche la pensione della sottoscritta, nel caso in cui dovesse mai raggiungere la soglia prevista dalla legge”.

Sul tema pensioni, Pierluigi Reossler Franz replica:

“Cercherò di spiegare in sintesi perché non sono d’accordo con questa demagogica proposta che violerebbe la certezza del diritto (come il principio della irretroattività delle leggi e i diritti acquisiti), nonché i principi contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 5 giugno scorso.

“Furbamente, per cercare di confondere le idee, l’onorevole Giorgia Meloni, giocando su un equivoco creato ad arte, continua innanzitutto a non spiegare se il riconteggio con effetto retroattivo riguardi tutte le pensioni superiori a 5 mila euro mensili al lordo oppure al netto delle tasse IRPEF con le addizionali comunali e regionali.

“Nella sua iniziale proposta di legge e nella mozione discussa a Montecitorio l’8 gennaio scorso i 5 mila euro mensili erano certamente intesi come lordi, mentre durante l’iniziale dibattito alla Camera nella serata del 5 febbraio l’onorevole Meloni, forse accortatasi della sua gaffe, ha poi cambiato idea ipotizzando 5 mila euro netti al mese.

“Ma ha poi improvvisamente lasciato l’Aula semideserta di Montecitorio durante la partita di calcio Roma-Napoli senza neppure ascoltare gli interventi di molti altri deputati, e soprattutto le critiche rivoltegli su questo punto dal Presidente della Commissione Lavoro ed ex ministro del Lavoro Cesare Damiano che l’ha ironicamente presa in giro proprio perché non aveva compreso la profonda differenza esistente tra 5 mila euro lordi o netti al mese.

“Nella sua precisazione l’onorevole Meloni sembra ricambiare di nuovo idea e tornare all’antico, perché ribadisce che il conteggio riguarderebbe tutte le pensioni superiori a 10 volte il trattamento minimo INPS. In soldoni riguarderebbe quindi tutte le pensioni di oltre 65.170 euro lordi l’anno, cioè 5 mila euro lordi – e non netti – al mese.

“Nella mia nota pubblicata su Blitzquotidiano ponevo tre domande all’onorevole Meloni, attendendomi una sua puntuale risposta. Risposta che, purtroppo, non è arrivata.

“Mi permetto, quindi, di chiederLe di nuovo:

1) si batterà per la revisione con effetto retroattivo anche dei vitalizi dei parlamentari, compreso, ovviamente il suo (lei potrà, infatti, godere del beneficio del sistema retributivo dal 2006, cioé da quando é stata eletta deputato, fino al 2011, cioè per circa 5 anni mezzo, mentre usufruirà del sistema contributivo per la sua permanenza a Montecitorio solo a partire dal 2012 in poi)? E come giustifica questa esclusione dal Suo progetto di legge dei vitalizi degli onorevoli? Perché, allora, non riprende il vecchio disegno di legge presentato nella passata legislatura dall’allora non ancora premier Enrico Letta e rimasto poi, stranamente, nei cassetti di Montecitorio?

2) Perché nella Sua proposta di legge non ha previsto la radicale modifica dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), cioé di quella norma che con una subdola interpretazione ha sinora consentito lo scandalo della cosiddetta doppia pensione per deputati, senatori, europarlamentari, governatori di Regioni e sindaci di grandi città e che in 44 anni di vigenza sarebbe sinora costata allo Stato almeno 6 miliardi di euro? Per caso Lei, forse, non ci rientra o vi ha espressamente rinunciato, visto che é giornalista professionista iscritta dal 2006 all’INPGI “Giovanni Amendola” e che i suoi colleghi giornalisti di fatto le pagherebbero per 3/4 la Sua futura pensione?

3) Si impegnerà a far correggere immediatamente il comma 487 dell’art. 1 dell’ultima legge di stabilità (è la n. 147 del 27 dicembre 2013), che, anziché tagliare i vitalizi degli ex parlamentari di importo superiore ai 91 mila 250 euro lordi l’anno, come è già avvenuto per tutte le altre pensioni di pari importo, li mette in realtà in una botte di ferro e al riparo da qualsiasi futuro prelievo forzoso grazie ad un ingegnoso meccanismo giuridico creato ad arte nel maxiemendamento del governo Letta-Alfano?”

 

 

 

 

 

 

 

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