Rai, persa la causa contro il Gruppo Repubblica-Espresso per articolo Curzio Maltese

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Rai, persa la causa contro il Gruppo Repubblica-Espresso per articolo Curzio Maltese

La Rai perde dopo 12 anni la causa civile per diffamazione contro il Gruppo Repubblica-Espresso per l’articolo di Curzio Maltese “Caso Sicilia, la RAI sconfessa Report” dopo la trasmissione “La mafia che non spara”. Motivo: le opinioni di un giornalista rientrano nel diritto di critica.

Cassazione 6^ Sezione Civile Ordinanza n. 28494 del 29 novembre 2017 (Presidente Adelaide AMENDOLA, relatore Marco ROSSETTI)

ORDINANZA sul ricorso 1468-2016 proposto da: 

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA C.F.06382641006, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. MARTINI n.13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, che la rappresenta e difende; – ricorrente –

contro

GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO S.P.A.C.F.00488680588, in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante, nonché MALTESE CURZIO, e MAURO EZIO, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI n.70, presso lo studio degli avvocati VIRGINIA RIPA DI MEANA, e MAURIZIO MARTINETTI che li rappresentano e difendono; – controricorrente –

contro CATTANE0 FLAVIO; – intimato –

avverso la sentenza n. 7418/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/10/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA 

1. Nel 2005 la RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a. (d’ora innanzi, per brevità, “la RAI”) convenne dinanzi al Tribunale di Roma la società Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a.. (d’ora innanzi, per brevità, “la GEL”), Curzio Maltese ed Ezio Mauro, esponendo i seguenti fatti:

(-) il 18 gennaio 2005 il quotidiano “La Repubblica”, edito dalla GEL e diretto da Ezio Mauro, pubblicò un articolo a firma del giornalista Curzio Maltese, dal titolo: “Caso Sicilia, la RAI sconfessa Report”;

(-) in questo articolo l’autore sostenne che:

(–) il 15 gennaio 2005 il canale “Rai Tre” della RAI aveva mandato in onda un’inchiesta sulla mafia, dal titolo “La mafia che non spara”, inteso a denunciare l’allarmante livello di infiltrazione nella vita civile ed economica raggiunto dalla criminalità organizzata in Sicilia;

(–) tale inchiesta era stata criticata da molti uomini politici, che la ritennero offensiva per la Sicilia;

(–) la RAI, per compiacere gli uomini politici cui la suddetta inchiesta non andò a genio, aveva da un lato “censurato” la trasmissione Report, e dall’altro “prontamente accolto” la richiesta dell’allora presidente della Regione Sicilia, di mandare in onda una trasmissione “riparatrice”, tesa a dimostrare gli aspetti positivi della realtà sociale ed economica siciliana;

(-) nel suddetto articolo inoltre, espose ancora l’attrice, erano riferiti fatti falsi ed erano contenute affermazioni offensive;

(-) fatti falsi dichiarati dal giornalista consistevano nell’affermazione che la RAI avesse censurato la trasmissione “Report”, e accolto la richiesta “politica” d’una trasmissione riparatrice;

(-) costituivano, invece, affermazioni diffamatore l’avere qualificato l’allora direttore generale della RAI come “spaventapasseri di destra piazato alla direzione generale della TV pubblica”; l’avere definito la RAI “televisione di regime”; l’avere sostenuto che la RAI si fosse distinta per “anni di omertà televisiva sulla mafia”; sulla base’ di tali allegazioni in fatto, la società attrice chiese la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza delle condotte sopra descritte: del giornalista, ai sensi dell’art. 2043 c.c.; del direttore responsabile, ai sensi dell’art. 57 c.p., oltre che per concorso diretto nella diffamazione; e dell’editore ai sensi dell’art. 11 della 1. 8 febbraio 1948, n. 47.

2. Il Tribunale di Roma, con sentenza 25 marzo 2008 n. 6339, rigettò la domanda, ritenendo sussistente l’esimente del legittimo esercizio del diritto di critica.

3. La sentenza venne appellata dai soccombenti. Con sentenza 2 dicembre 2014 n. 7418 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame, ritenendo che:

(-) nel proprio articolo, Curzio Maltese aveva semplicemente espresso delle proprie opinioni, e dunque esercitato il diritto di critica;

(-) era irrilevante accertare se davvero il direttore generale della RAI avesse o meno biasimato l’inchiesta sulla mafia, ed ordinato una trasmissione “riparatrice”, perché l’attribuzione di questi fatti non costituiva una diffamazione;

(-) le espressioni usate nell’articolo scritto da Curzio Maltese e pubblicato da “La Repubblica” erano fortemente critiche, ma rispettose del requisito della “continenza verbale”.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla RAI con ricorso fondato su un solo motivo ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con un controricorso unitario la GEL, Ezio Mauro e Curzio Maltese.

RAGIONI DELLA DECISIONE 

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso la RAI lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 21 Cost.; 51, 57, 595 c.p.; 2043, 2049, 2055 e 2059 c.c.; 9, 11 e 12 della 1. 8 febbraio 1948 n. 47.

Il motivo, pur formalmente unitario, contiene in realtà tre censure tra loro connesse, così riassumibili:

(a) il giornalista Curzio Maltese, nel proprio articolo, dapprima attribuì alla RAI ed al suo direttore generale due fatti falsi (avere censurato la trasmissione Report, ed avere ordinato una trasmissione “riparatrice”); quindi criticò aspramente la RAI ed il suo direttore per avere commesso questi fatti falsamente loro attribuiti; pertanto la Corte d’appello, nell’escludere la responsabilità dei convenuti per tali condotte, aveva violato il principio per cui non è consentito attribuire falsamente a taluno una certa condotta, e poi criticarlo per avere tenuto quella condotta;

(b) errò la Corte d’appello nel ritenere che le condotte (falsamente) attribuite alla RAI ed al suo direttore generale non avessero valenza diffamatoria: infatti biasimare una trasmissione d’inchiesta che sveli le trame della criminalità organizzata, ed ordinare una trasmissione intesa a dimostrare il bello ed il buono della Sicilia, sono condotte non coincidenti coi doveri di una azienda che deve garantire la libertà d’informazione;

(c) infine, errò la Corte d’appello nel ritenere che le espressioni usate da Curzio Maltese non valicassero il limite della continenza verbale: in particolare, l’espressione “spaventapasseri” rivolta al direttore generale della RAI; e le espressioni “televisione di regime” e “omertà televisiva”, rivolte all’azienda televisiva, erano state erroneamente ritenute lecite dalla Corte d’appello, la quale le considerò in modo avulso dal contesto nel quale erano inserite.

1.2. I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per tre ragioni: sia ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.; sia per difetto di “autosufficienza”; sia perché non prospetterebbe vere e proprie violazioni di legge.

La prima eccezione è infondata, in quanto per un verso la fattispecie concreta oggi all’esame di questa Corte presenta una sua specificità (se sia o no “diffamazione” attribuire ad una emittente televisiva pubblica intenti autocensòri); per altro verso la ricorrente ha articolato compiute deduzioni in punto di diritto, le quali non possono essere superate col mero richiamo ai precedenti giurisprudenziali.

La seconda eccezione è infondata, in quanto la prima censura dell’unico motivo di ricorso prospetta un errore di diritto: ovvero se sia consentito criticare taluno, per condotte che gli siano falsamente attribuite dallo stesso autore della critica: e rispetto a tale questione non vi è alcuna necessità, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, di trascrivere il testo dello scritto che si assume diffamatorio, come sostenuto dai controricorrenti.

La terza eccezione è fondata limitatamente al secondo ed al terzo profilo di censura contenuto nel ricorso, come meglio si dirà tra breve.

1.3. Le prima censura in cui l’unico motivo di ricorso si articola è infondata. La ricorrente è nel vero quando sostiene che qualunque critica, per essere legittima, deve avere una base fattuale veritiera (ex multis, tra le più recenti, Sez. 1, Sentenza n. 22042 del 31/10/2016; Sez. 3, Sentenza n. 14822 del 04/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 7847 del 06/04/2011). Tuttavia nel caso di specie i fatti posti a fondamento della critica contenuta nell’articolo oggetto del contendere furono oggettivamente veri: non è infatti in discussione tra le parti che la trasmissione “La mafia che non spara” fu aspramente criticata da uomini politici; né che pochi giorni dopo tali piccate reazioni la RAI mandò in onda una seconda trasmissione dedicata alla Regione Sicilia, questa volta però intesa a celebrarne i progressi. Questi furono i fatti riferiti, e furono fatti veri. Lo stabilire poi chi decise di mandare in onda la seconda trasmissione; per quali fini; se vi fu o no una pressione politica; se la RAI e la sua direzione generale fossero sensibili o refrattari a tali pressioni, tutto ciò formò oggetto di mere congetture e supposizioni dell’autore dell’articolo. Congetture e supposizioni che, in quanto tali, costituiscono opinioni la cui libera manifestazione rappresenta esercizio del diritto di critica. La Corte d’appello, in definitiva, non ha affatto violato il principio per cui l’esercizio del diritto di critica deve fondarsi su fatti veri.

1.4. Inammissibili sono invece, come accennato, la seconda e la terza delle censure in cui l’unico motivo di ricorso si articola. Lo stabilire se l’attribuzione di un certo fatto abbia o no natura diffamatoria; così come lo stabilire se l’esercizio del diritto di critica superi o meno il limite della continenza verbale, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.

2. Le spese.

2.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.

2.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

P.Q.M. rigetta il ricorso; 

condanna RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a. alla rifusione in favore di Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., Ezio Mauro e Curzio Maltese, in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di RAI – Radiotelevisione Italiana s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 30 ottobre 2017. Depositata il 29 novembre 2017.

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