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Politica italiana incomprensibile: il busillis di Conte, donne del Pd contro Schlein, Lega e FI contro Meloni

Politica italiana, è sempre più difficile comprendere quel che avviene in quel mondo nel nostro Paese.  Tra litigi, battibecchi, controversie, atteggiamenti poco corretti e fasulle strette di mano non è semplice barcamenarsi ed intuire quali sono le mosse strategiche delle varie forze in campo. Per carità, questo ultimo sostantivo per il momento è proibito perché non si riesce ad unirlo all’aggettivo largo.

E’ il grande problema della sinistra che nemmeno a parole è in grado di trovare quel denominatore comune che potrebbe combattere la destra. Tutto ruota attorno ad una campagna elettorale che ha avuto inizio molti mesi prima delle europee di giugno. Ogni argomento è buono per mordere l’avversario e dargli meno credibilità di quanto dice di averne. 

Dunque, le elezioni per raggiungere Bruxelles. Persino sulle candidature si apre uno scontro che l’opinione pubblica non comprende ed è sempre più convinta che è inutile andare a votare. Errore di grandi proporzioni perché in democrazia ogni scheda deposta nell’urna ha un suo valore.

Però, perché questo non avvenga a Montecitorio ed a Palazzo Madama debbono usare un linguaggio più comprensibile. Esempio emblematico: in una intervista, viene chiesto a Giuseppe Conte se c’è una sola possibilità di arrivare ad un accordo che unisca partito democratico e 5Stelle.

Risposta dell’ex presidente del consiglio: “Il Pd non ci può chiedere di abbandonare la nostra forza propulsiva”. Che vuol dire? Qual è il significato di queste parole? Se proviamo a chiederlo a cento persone, forse una soltanto potrà tentare di dare un senso concreto all’affermazione del numero uno dei grillini. 

Ecco uno dei punti principali che divide la politica dalla gente. Il politichese è una lingua che non piace più. E’ una truffa: si vuole dire e non dire per imbrogliare chi legge o chi ascolta. Ma ormai l’inganno è tramontato perché nessuno si fida più di concetti astratti che non hanno un minimo di pragmatismo.

Le europee, quindi: chi si candida tra i big? Matteo Renzi è stato il primo ad uscire allo scoperto perché se Italia Viva non supera l’ostacolo del quattro per cento, le possibilità che lui continui a contare qualcosa nel mondo politico sono assai scarse. Allora :“Grida si, io ci sarò alle europee”. 

Gli altri grandi della nostra politica (si fa per dire) sono ondivaghi, non si pronunciano perché per prima cosa debbono difendersi dal fuoco amico.

Elly Schlein che prima aveva deciso si essere capolista dappertutto, oggi temporeggia. I motivi sono due: il primo è che la segretaria non ha grande solidarietà nel suo partito.

Il secondo è che deve difendersi dalle donne del Pd che non vedono di buon occhio lo strapotere che ella vorrebbe avere presentandosi come capolista in ogni collegio. “E’ questa la parità di genere che il partito predica?”

Rivoluzione e mescolamento delle carte per decidere cosa? Trovare un compromesso: quello di correre dappertutto per un posto a Bruxelles, ma non da capolista per dar mode alle altre donne del Pd di avere una chance di vittoria.

Non si creda che a destra le acque siano più tranquille. Giorgia Meloni temporeggia, ma i bene informati affermano che si presenterà dappertutto per sfruttare il momento di grande popolarità. Anche in questo caso, però, c’è chi teme i risultati finali.

Se non dovessero andare come nelle previsioni, quali sarebbero le conseguenze? Potrebbero riversarsi anche sull’esecutivo? “Assolutamente no”; rispondono i fedelissimi di Giorgia. “Il governo non si discute, almeno fino alla fine della legislatura”.

Dove andrà a parare la diversità di vedute che Fratelli d’Italia ha con la Lega? “La maggioranza può discutere come è giusto che sia, ma è sempre compatta nei momenti cruciali”, replicano a destra. Eppure le cattive lingue ritengono che il ministro Roberto Calderoli, padre dell’autonomia delle regioni, voglia con questo diminuire lo strapotere del presidente del  Consiglio.

All’appello manca solo Carlo Calenda che esprime un concetto sacrosanto: “Non si può stare con il piede in due staffe. Far politica a Bruxelles e a Roma contemporaneamente vuol dire prendere in giro l’elettore. Se decidi per il Belgio non puoi stare in Italia e viceversa, a meno che non si pensi solo al potere”. 

E’ un girotondo di parole e di atteggiamenti che rende ancora più confusa una situazione politica che gran parte di chi vorrebbe capirci finisce con l’alzare le mani e arrendersi. I mesi che ci dividono da giugno potranno aiutare coloro che avranno deciso di andare a votare? Interrogativo senza risposta.

Marco Benedetto

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