Populismo, quello di destra è cattivo, quello di sinistra è buono? Demagogia è politica

Quer pasticciaccio brutto, per dirla con Carlo Emilio Gadda, della sanità calabrese. Con i commissari che saltano come turaccioli la notte di Capodanno. Manco fossimo in Perù (ben tre presidenti della repubblica cambiati negli ultimi 10 giorni).

da La Verità

Ora ha registrato un punto fermo. Emergency, l’ong di Gino Strada, ha siglato un accordo con la Protezione civile per approntare ospedali da campo anti-Covid nella regione. Ma Strada commissario, quello no. Il procuratore di Catanzaro, il calabrese Nicola Gratteri, l’ha silurato in diretta tv: “Strada non va bene per la Calabria. Sono stato in Africa e so le cose straordinarie che ha fatto. Ma il problema in Calabria sono i buchi, le ruberie nelle Asp, lacquisto dei materiali sanitari. C’è bisogno di un manager.  Gratteri ha fatto eco all’economista Carlo Cottarelli: “Ho tanta stima di Strada e del suo lavoro. Ma in Calabria non sarebbe meglio un commissario normale?”.

Strada nel tritacarne del populismo

Ma allora chi o cosa è stato a gettare nel tritacarne delle polemiche il nome di Strada, le cui benemerenze acquisite come medico chirurgo nei teatri di guerra nessuno discute? Semplice: il populismo di sinistra.

Che non è una bestemmia, quanto piuttosto quell’approccio che la sinistra rimprovera alla destra. Salvo quando l’adotta lei per prima. “Populista è quell’aggettivo che la sinistra appioppa al popolo quando questo comincia a sfuggirle”. Lo ha annotato con velenosa ironia l’ex banchiere francese Jean-Marie Naulot nel 1996. Un altro francese, Eric Fassin, ha scritto addirittura un saggio, Contro il populismo di sinistra. Sindrome che avrebbe provocato una “depressione militante” tra simpatizzanti ed elettori in crisi d’identità.

Perchè se a sinistra con tale, vituperato termine s’intende il parlare alla “pancia” e non alla “testa” delle persone, con slogan terra terra e ricette basic. Cosa c’è di più populistico del proporre su due piedi Strada come zar della sanità calabrese. Se non nella chiave di ricerca del demiurgo, del salvatore della patria, del leader solo al comando. Per cui non s’invocano i “pieni poteri” (farebbe troppo “Matteo Salvini”, e non sta bene) ma poco ci manca?

È un vizio più radicato di quanto si creda. Che ha trovato la sua sublimazione nell’avvento del M5S. Con quel populistico “uno vale uno”. La competenza come disvalore da accantonare in nome dell’onestà-tà-tà. E la patente di “avvocato del popolo” rilasciata a un uomo professionalmente cresciuto nel comfort  dell’establishment, Giuseppe Conte.

Contro o pro il populismo?

E se c’è un organo di stampa che si è sempre contraddistinto per la guerra al populismo (di destra), finendo per incentivare un obliquo progetto populista (di sinistra), quello è, paradossalmente, Repubblica. Soprattutto con la direzione di Ezio Mauro, che impegnò in prima linea il giornale-partito anche più del fondatore Eugenio Scalfari. Basti pensare a quando Mauro descrisse la necessità per la sinistra di essere guidata da un “Papa straniero”. Il “Papa nero” omaggio involontario alla canzone dei Pitura Freska a Sanremo nel 1997, “Sarà vero?/ dopo Miss Italia avremo un Papa nero/ non mi par vero”. Un uomo della Provvidenza proveniente dalla mitica “società civile”, ma chi? Luca Cordero di Montezemolo? Roberto Saviano? Macchè, fece scrivere sul Foglio da lui diretto Giuliano Ferrara, perculandolo. Mauro non si sottrae più “all’ostensione del suo corpo”, girando come una trottola per programmi tv, perchè sotto sotto pensa a se medesimo.

Quando nel 2012 Pierluigi Bersani annunciò di candidarsi alle primarie del Pd, lo fece anche per bilanciare la cosiddetta “lista Saviano”. Che sembrava in gestazione proprio all’ombra del quotidiano scalfarian-mauriano, sfottuta dall’attuale ministro Francesco Boccia (dipinto oggi come uno dei “pontieri” tra il Pd e il populista M5S) con sarcasmo: “Non vedo lora di vederla allopera in mezzo alle masse, questa lista così civile di Concita De Gregorio e del professor Gustavo Zagrebelsky. Non vedo lora di vederli a raccattare voti nei mercati discettando sulle riforme costituzionali…”. 

Il cerchio si chiude infine pochi giorni fa quando Repubblica ha ospitato un’intervista a Tony Blair che ha pontificato: “La vittoria di Joe Biden negli Usa è una lezione per il centrosinistra. Il populismo di destra non si batte con il populismo di sinistra”. Incantevole cortocircuito esistenziale del già premier britannico che si accodò al “populista” George W. Bush nella guerra all’Iraq per armi di distruzione di massa che non esistevano. 

Che importa: l’importante è gettare perle al popolo. Sport che quando è praticato a sinistra si depura ontologicamente, passando da propaganda di bassa “lega” a meritoria disciplina olimpica. La riprova? La candidatura, avanzata dal M5s nel 2013, di Milena Gabanelli al Quirinale, corsa da cui Lady Report si chiamò subito fuori: “Per quel ruolo occorrono competenze che io non ho”.

Ma poi, scusate: cosa c’è più di demagogico di far firmare a 200 precari delle Asl, sul palco di un teatro a pochi giorni dalle elezioni, il contratto a tempo indeterminato, come ha fatto il governatore della Puglia Michele Emiliano “Zapata”? Cosa c’è più apparentemente “decisionista” degli interventi a gamba tesa del governatore della Campania Vincenzo De Luca “DeLukashenko”? E delle esternazioni del sindaco di Napoli Luigi De Magistris “Masaniello”? E di quelle del suo omologo a Palermo Leoluca Orlando “Rosolino Pilo”?

Tutti tribuni e capipopolo.

Ma di sinistra.

Quindi resi mondi dal fetore del peccato populista.

* da La Verità

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