Infuria la battaglia sul processo penale. Ballon d‘essai è la proposta del ministro della giustizia Alfonso Bonafede di sospendere la prescrizione al momento della decisione di primo grado, condannato o assolto l‘imputato, non importa. Interviene un altro ministro, penalista, veementemente contro. ll conflitto si compone con il rinvio al 2020, legato ad una — dixit il ministro Bonafede— “riforma epocale del processo penale”; il Presidente del Consiglio chiosa, parlando di accelerazione dei processi; gli fa eco il Vicepresidente pentastellato.
Seguono proposte di riforma dell’associazione nazionale magistrati; nessuna, per il momento, dagli avvocati penalisti; proclamano una astensione dalle udienze, dal 20 al 23 novembre. A memoria, non si era mai assistito alla scrittura delle norme da parte della associazione dei magistrati; ovviamente, lo si legge nella premessa, “nessuna
invasione di campo… e pretesa di guidare la mano del legislatore”.
Fino ad oggi, giudici legislatori erano coloro che interpretano creativamente”le norme scritte dai Parlamenti; a quanto pare, diffidando del legislatore, siamo andati oltre.
Giovanni Conso, maestro della procedura penale ed illuminato presidente della Corte Costituzionale, sosteneva che “i professori devono scrivere, gli avvocati possono, i giudici devono non”; altri tempi.
Torniamo all’inizio, alla prescrizione.
La proposta del ministro Bonafede era già nel programma del movimento, con una differenza, significativa: il blocco scattava “al momento della assunzione della qualità di imputato”( p5 programma giustizia); nell’elaborato ministeriale viene spostato, in avanti, alla sentenza di primo grado; nel quotidiano disastro della giustizia penale una buona parte dei reati ~i meno gravi— si prescrive prima della sentenza indicata. I magistrati condividono il punto preclusivo, ma ancorato alle sole sentenze di condanna. In entrambi i casi, si assiste ad una edulcorazione linguistica; invece di abolizione, sospensione ed interruzione; i secondi, però, aggiungono l‘aggettivo “definitiva”, peraltro, impreciso; la sentenza di condanna potrebbe essere riformata, con l’assoluzione; occorre, dunque, un meccanismo di recupero, come ha fatto il legislatore del 2017, nel caso (11 sospensione delIa prescrizione fra sentenza di condanna e successive proscioglimento.
Al di là degli aspetti tecnici, il tema della prescrizione è utilizzato per ragioni propagandistiche e di sano sentimento popolare; In realtà, con le modifiche normative che si sono succedute, la prescrizione, per i fatti di reato commessi dopo la loro entrata in vigore, è oggi quasi irraggiungibile; a prescriversi sono reati lontani, a causa dell‘immobilità dei processi.
Vediamo la corruzione, una ipotesi di reato per la quale “l’attuale legge aiuta i delinquenti che riescono quasi sempre a sfuggire alle pene” (p.46 s. programma del Movimento) .
Oggi, la prescrizione è, con 16 interruzioni, di 15 anni; a questi vanno aggiunti, nel caso di doppia condanna, fino ad altri 3 anni di sospensione; insomma, 18 anni non sembrano un grande aiuto. Al punto quattro, i giudici—legislatori propongono
un’ulteriore sospensione nel caso di rinnovazione del dibattimento. Se venisse approvato il blocco della prescrizione alla sentenza di primo grado, non toccata la norma base per il calcolo, avremmo un termine d1 15 anni, 0 più, nel caso di rinnovazione, prima di una decisione. Come insegnava Carnelutti, il processo è una “pena”.
I tempi della prescrizione variano secondo le epoche; la garantista si e conclusa con la riforma dei 2005, Cd, legge Cirielli; poi, il diluvio, con l‘aumento costante dei massimi di pena.
Meraviglia che ancora non si parli dei termini di custodia cautelare. Che cosa c’è di meglio di un processo infinito con un imputato all’infinit0 in carcere?
Siamo arrivati alia frase magica, che ha consentito di sanare le frizioni tra gli alleati di governo, “accelerazione dei processi”.
Nei programmi dei partiti egemoni, non si trova alcuna previsione per questo risultato; anzi, la Lega vorrebbe l’abrogazione di tutte le previsioni “deflattive” degli ultimi anni ( messa alla prova, condotte riparatorie, etc); l‘altro partito, almeno, depenalizzerebbe la cannabis ed il reato di ingresso e soggiorno clandestino, al contrario dell’alleato di governo.
Fra le tante, ben 14, solo una delle previsioni volute dalla ANM accelera realmente i processi; dopo la prima, tutte le altre notifiche vengono eseguito con consegna al difensore (punto 3); insomma, basta una pec.
Sebbene i giudici sembrino non saperlo, la norma esiste dal 2005 (art. 57, comma 8bis C,p.p.), con il limite che vale solo per i difensori di fiducia, che non abbiano dichiarato immediatamente di non accettare le notifiche per il proprio assistito. A ben vedere, Si tratta di togliere queste due condizioni; per i processi che stanno a cuore ai
proponenti, appare, peraltro, difficile che gli imputati siano difesi da avvocati di ufficio. L’intervento avviene con l’abrogazione degli artt. 161,162,163 e 164 del codice di procedura penale, senza toccare 1’art.157; ci si aspetterebbe una più attenta tecnica normativa.
Benvenute, comunque le abrogazioni; bastava, forse 11 rispetto dell’art.157, comma 8bis, spesso dimenticato dai giudici ( e totalmente dalla ANM).
Le altre modifiche propugnate dai giudici—legislatori non sembrano destinate a ridurre la durata dei processi; investono i dibattimenti e l‘appello. Quanto ai primi, incidono sui principi del processo accusatorio.
La pù sorprendente è l’escussione a distanza di testimoni, periti e consulenti tecnici; insomma, un processo televisivo, con imputati, testimoni ed avvocati in luoghi diversi; chissà che i giudici non possano starsene un giorno comodamente seduti sul divano di casa; lo spazio processuale viene dilatato; la percezione emotiva data dalla presenza nella stessa aula svanisce; infine, la giustizia è amministrata in nome del popolo bisognerà pensare a canali televisivi dedicati ai cittadini che vogliano seguire i dibattimenti. A parte questo, nessuno sa quale confusione potrebbe prodursi; quanto alla genuinità della prova, non è difficile pensare ad un testimone con un gobbo che gli indichi le risposte.
Altre modifiche sono inutili; ad esempio, gli atti irripetibili sono fra letture consentite.
Un tema agitato dalla ANM è la “nuova celebrazione dei processi (dei dibattimenti, ndr) ab origine”, quando muti la persona del giudicante. Per questo si propone una restrizione ulteriore del principio dell’oralità.
Nella prassi quotidiana assistiamo a rinvii di udienza di mesi, se non di anni. Basterebbe una migliore organizzazione; se, dopo la prima, prevedo una serie di udienze consecutive non lontane, definisco sicuramente più dibattimenti che non
diluendo 16 udienze in anni; è ovvio che, nella seconda ipotesi, si rischia il mutamento del giudice.
Infine, l’appello. Le proposte della ANM (punti 11 e 12) ne determinano una dilatazione, in un caso dell’impugnativa, nell’altro, dei poteri decisori del giudice.
Il divieto della reformatio in peius, ossia la non aggravabilità della condanna 0 la condanna stessa, quando l’appello è del solo imputato, è già nel codice del 1865, ribadito, non senza discussioni, nel codice Rocco, del 1930; il divieto è previsto in Francia ed in Germania. La ANM – qui più associazione dei pubblici ministeri- ne vuole l’abolizione e, nel contempo, chiede venga eliminata una norma, del febbraio 2018, che riduce il potere di impugnativa dei pm nei confronti delle sentenze di condanna.
Insomma, il giudice sarebbe libero di condannare 0 di aggravare la pena quando l’impugnazione è del solo imputato; per dirla con i proponenti “a prescindere” ( nel più bello stile del principe de Curtis) dalla presentazione dell‘appello da parte del pubblico ministero ( p.24 dell’elaborato).
Non è chi non veda che le due richieste sono in contraddizione; se il giudice é libero nella decisione, il limite all‘impugnazione del pubblico ministero non ha più senso.
A parte questo, che aumentare i poteri del giudice e del pm determini la diminuzione
delle impugnazioni è tutto da verificare.
In realtà, sono diverse le situazioni prospettabili.
a) l’assolto, con una formula non piena, chiede una nuova decisione, migliorativa; b)
l’imputato impugna la condanna e/o la pena; C) il pm vuole la condanna dell’assolto;
l’accusa chiede un aggravamento della pena (in astratto, potrebbe impugnare anche a
favore dell’imputato).
Ora, non esiste un principio costituzionale che obblighi al doppio giudizio di merito;
il ricorso in Cassazione è, invece, nell’articolo 111 della Costituzione.
La soluzione più drastica è l’eliminazione dell’appello. Tuttavia, in alcuni casi, il secondo grado ribalta il primo; inoltre, la Cassazione verrebbe ingolfata di ricorsi e, forse, snaturata.
Occorre differenziare le situazioni. Nell’ipotesi sub 21), ad esempio, consentire il solo ricorso, con il potere della Corte di modificare la formula; prevedere l’appello, quando si voglia l’assoluzione o dai pm la condanna, precludendo all’imputato, nel caso di identica decisions, motivi di ricorso diversi da quelli sulla responsabilità; affidare al solo ricorso le altre questioni. Infine, “abbreviare” il giudizio abbreviato.
Anche in questo case, non si é mai provveduto ad interventi sull’organizzazione: trenta anni fa, a Roma, le sezioni di Corte di Appello erano tre; tre sono tuttora, per le impugnazioni di sentenze di qualche centinaio di giudici di prime grado del Lazio.
Il quadro delle proposte dei due partiti di governo (inesistenti, o quasi, per la verità) e della Associazione nazionale magistrati è completo; con queste premesse, dalla “riforma epocale del processo penale” è meglio non aspettarsi alcunché. Staremo a vedere.