ROMA – Mare mosso e nubi all’orizzonte. “Quattro, cinque candidati” che continuano a ballare. L’ultimo nome che circola è quello di Franco Bassanini. Che si aggiunge a una cinquina che è sempre la stessa: Veltroni, Mattarella, Amato, Finocchiaro, Padoan . Nel conto vanno aggiunte un paio di “renzate”, mosse a sorpresa del premier che, confida Renzi all’inner circle, “se la maionese impazzisce, tengo pronte per riempire la casella del Colle”. Aggiungete poi un senior della prima repubblica come Ciriaco De Mita, oggi sindaco di Nusco, che s’affaccia in Transatlantico a Montecitorio nel pomeriggio e intrattiene in vari capannelli quel che resta dei cattolici. Che poi è sempre tanto.
Il tutto mentre un Senato balcanizzato licenzia la legge elettorale (che deve però sempre tornare alla Camera) tra urla, grida, penitenze e minoranze dem e azzurre salde nel loro Aventino. Al Nazareno, sede del Pd, va in scena dalla mattina lo show delle consultazioni per il Quirinale, sceneggiatura utile al premier per far vedere che il candidato è figlio del Pd e non certo dall’alleanza con Berlusconi. Il tutto mentre il nome, quello vero, non esce perché rigidamente nella testa di Renzi. La qual cosa innervosisce Berlusconi che atteso stasera al Nazareno con la delegazione di Forza Italia dice “no grazie, io e Renzi ci vediamo domani a palazzo Chigi”. Al Nazareno è meglio non metterci più piede e la firma sotto il candidato ce la v vuol mettere da solo. A tu per tu, Silvio e Matteo.
“Non si può votare sotto ricatto” – La marcia avvicinamento al d-day del Quirinale torna a complicarsi dopo un giorno, lunedì, di carezze renziane. La frase chiave per capire l’aria che tira la dicono Loredana De Petris, capogruppo Sel al Senato, e Miguel Gotor, senatore della minoranza dem subito dopo l’approvazione (ancora paziale) dell’Italicum 2.0 a palazzo Madama. “Non si può votare una legge chiave come quella elettorale sotto il ricatto della scelta del nome per il Quirinale e di un rimpasto di governo” dice De Petris. “La coincidenza tra voto per il Quirinale e voto per le riforme condiziona le legittime aspirazioni di tanti che hanno più di 50 anni” aggiunge Gotor.
Nulla di fatto – Partiamo da qui per raccontare una giornata dove i nomi per il Colle restano ancora troppi. Il premier non mostra le carte, non “vede” e continua a dire “passo”. Ncd e centristi dicono no al tecnico. Il ministro Alfano punta al nome di area cattolica che però non può essere “il giudice Mattarella” indicato invece da De Mita nei conciliaboli in Transtalantico con Fioroni e la Bindi. A fine mattinata il ministro economico Piercarlo Padoan sembra uscire dal mazzo. Il condizionale è d’obbligo e potrebbe rientrare in quota “renzate”. Le opposizioni, Lega e Fratelli d’Italia, lasciano le consultazioni con un nulla di fatto. Niente nomi “finchè non lo fa il Pd”. Solo paletti precisi sul profilo: “Libero e indipendente dai poteri forti e dalle banche. Di certo né Prodi né Amato” dice Salvini. Nencini e i socialisti dicono invece Amato. Anche la delegazione di Forza Italia che in serata sale al Nazareno non fa mezzo passo avanti. “Sarà un politico” ammette il capogruppo Paolo Romani. “Puntiamo alla quarta votazione” aggiunge Brunetta, quando il quorum sarà di 505 voti aggiunge. Tutto già noto. È il segnale chiaro che la partita viene rinviata a domani. Al faccia a faccia con Berlusconi previsto in mattinata. L’unico brivido lo danno in serata Nichi Vendola (Sel) e i fuorusciti dei Cinque stelle una cui delegazione guidata da Luis Orellana e Fabrizio Bocchino: loro puntano su Prodi, dalla prima votazione, come ha già anche dichiarato Civati. E vediamo che succede. Il Professore presidente del Pd, l’unico che per due volte ha battuto Berlusconi nelle urne, non sarà contento di essere “usato” in questo modo. Neppure Renzi che vedrebbe saltare per sempre il patto del Nazareno. Meno che mai Berlusconi che in serata alcuni fedelissimi descrivono “sempre più innervosito da questa trattativa” di cui è però prigioniero. Anche perché la faccenda dello sconto di pena non si sta mettendo benissimo.
Le minoranze tengono e “acquistano” due voti socialisti – Al nulla di fatto della consultazioni, si aggiunge che il potere di interdizione delle minoranze dem e di Forza Italia rafforzato, e resta comunque stabile, dalla votazione finale sulla legge elettorale. Un altro imprevisto per Renzi. La legge passa con 183 sì contro 66 no, 47 senatori escono dall’aula e non partecipano al voto (24 Pd, 13 Fi, 4 Ncd, 6 Gal). E’ il nucleo dei franchi tiratori che nei grandi elettori possono moltiplicarsi fino a circa 200 contrari al candidato del Nazareno. Il ministro Boschi e il premier esultano: “La legge è passata, premiato il coraggio, la maggioranza è autonoma”. Affermazioni che tradiscono la necessità di ostentare sicurezza: la legge deve ancora tornare alla Camera da dove potrebbe tornare al Senato; la maggioranza è autonoma ma solo per un voto (128) di fronte al quorum di 127 che è francamente ridicolo. Non una parola sui 47 usciti dall’aula. A cui si aggiungono i due socialisti Buemi e Longo che alla fine non ce l’hanno fatta più. “E’ una questione di dignità” gridava Buemi al telefono con Nencini che deve aver avuto qualche difficoltà nel giustificarsi con Renzi per quei due voti in meno.
Anna silenziosa – A palazzo Madama, infatti, va in scena l’ennesima forzatura quando la senatrice Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali, legge il provvedimento di Coordinamento (documento che serve a fare piccoli ritocchi formali ai testi finali delle leggi) che però tocca questioni mai affrontate in aula. Ad esempio l’articolo 68 della legge del ’57 (il sistema elettorale corretto dall’Italicum) nella parte in cui modifica il sistema di conteggio dei voti. Se ne accorgono Lega, Cinque stelle e Sel che pretendono, giustamente, le correzioni dovute. Non una bella figura per il governo. Neppure, se si vuole, per una giurista come Anna Finocchiaro che resta silenziosa nell’ennesima rissa e il cui nome resta in pole nella corsa per il Colle. “Ma il suo gradimento, che è sempre stato molto trasversale, stasera ha subìto uno stop” rivela un senatore della Lega furioso per questa ennesima forzatura delle regole.
Piano B con Fassino? Così, alla fine di questo martedì, non si registra né un passo avanti né uno indietro nella marcia verso il Colle. Renzi sparge nebbia. Lo schema di gioco è lo stesso: schede bianche nelle prime tre votazioni, sabato (quando finalmente Renzi rivelerà il nome) si farà sul serio e in fretta. La cinquina è sempre la stessa: Veltroni, Mattarella, Amato, Finocchiaro, Padoan. Al netto di “renzate”. E contando che ci sono circa 35 voti dei fuorusciti Cinque stelle che si aggiungono a quelli di minoranze e opposizioni. Domani si ricomincia con gli incontri. In mattinata Renzi incontra anche Bersani e Fassino. Potrebbe essere l’incontro decisivo? O il famoso piano B? La renzata? A seguire la colazione con Berlusconi a palazzo Chigi. A cui Renzi certamente farà pesare quel voto in più che gli ha garantito la maggioranza sull’approvazione delle legge elettorale. E il rischio che si possa materializzare un voto utile, ma contrario al diktat del Nazareno, sin dalla prima votazione su due nomi antitetici – Prodi e Amato – per poi farli crescere nelle votazioni successive.