ROMA – Alle nove di sera il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini e Giuseppe Fioroni sono in Transatlantico a fare l’ultima conta di una giornata che non ha prodotto risultati. Telefonano, parlano, prendono appunti. C’è sempre tempo per i colpi di scena. Ma ormai lo schema sembra pronto: sarà Sergio Mattarella il candidato al Colle. Con o senza i voti di Forza Italia.
Hanno provato due ore, all’ora di colazione, a convincere Silvio Berlusconi e Gianni Letta. Non ci sono riusciti. “I tempi della Mammì (quando l’allora ministro ministro Mattarella si dimise per il via libera alle tv del tycoon, ndr) sono lontani” gli è stato detto e spiegato. Il Cavaliere è rimasto irremovibile. Letta senior ha taciuto. Verdini, che aveva garantito finora, non è pervenuto. Così Berlusconi ha lasciato palazzo Chigi alle tre e mezza con un nulla di fatto. E schiumando di rabbia. Sarà Mattarella il nome che domani il premier-segretario sottoporrà ai suoi grandi elettori nella riunione convocata per le tredici, due ore prima di dare il via alle votazioni. Che piaccia o meno a Berlusconi. E con buona pace del Nazareno e dei suoi vassalli.
Fotogrammi dal Transatlantico di Montecitorio nella sera di vigilia del voto presidenziale. Un grande elettore del Friuli passeggia e mette i piedi uno a destra, poi a sinistra e di lato. Al suo interlocutore al telefono dice: “Siamo qui a giocare a scacchi. Vediamo la prossima mossa”. Ettore Rosato, delegato di Renzi alle preconsultazioni quirinalizie sparge sorrisi: “C’è qualcuno che deve fare un passo avanti. E magari qualcun altro che ne deve fare uno indietro. Ma ce la faremo”. Il ministro Boschi ha la faccia stanca eppure riesce sempre ad abbozzare sorrisi. Se ne va con Bonifazi, testa bassa, confabulano. Il vicesegretario Lorenzo Guerini tiene stretto il cappotto addosso. Giornate pesanti anche per lui a cui è assegnato il delicato compito di tenere a bada i taccuini dei cronisti soddisfacendoli senza dire quasi nulla.
Così anche alle otto di sera, dopo una giornata di confronti, faccia a faccia e nulla di fatto, declina lo stesso concetto rassicurante cambiando solo un po’ le parole: “Non temiamo imboscate, dobbiamo riscattare la figuraccia del 2013. Non ci sono né diktat né veti e sono certo che ci sarà la maturità da parte di tutti di affrontare questo passaggio con la responsabilità dovuta. Innanzitutto da parte del Pd, che ha l’onere dell’iniziativa avendo 450 grandi elettori”.
Un po’ più in là staziona Raffaele Fitto, minoranza di Forza Italia. Ha da poco finito di parlare con Berlusconi. “Gliel’ho detto, è arrivato a mani nude a questo punto. Doveva rinviare la legge elettorale. Ora che armi ha per trattare con Renzi? Nessuna. E se non sarà Mattarella sarà qualcun altro che non sarà mai il nostro candidato”.
Sembra il corridoio dei passi perduti questo Transatlantico già pronto per il tour de force quirinalizio. Le postazioni per le dirette tv sono allestite nel cortile interno. Tanti si aggirano. Ma nessuno ha la risposta. Perché questo è il dato politico della vigilia: stallo nella nebbia. Alla fine di una giornata di incontri il nome non c’è. Renzi insiste sul giudice costituzionale Sergio Mattarella ma dopo due ore di confronto a palazzo Chigi (dalle 13 e 30 alle 15 e 30) con Berlusconi non ha strappato il via libera. Anzi: il Cavaliere ha rilanciato il suo candidato, l’altro giudice della Consulta, Giuliano Amato. Che però resta indigesto a Renzi: il re dei rottamatori che lancia colui che per storia e profilo sarebbe il primo da rottamare?
“Oggi non c’è ancora un candidato, domani mi rivedrò con Renzi ma è chiaro che non conviene a nessuno non trovare un accordo” ha detto poi il Cavaliere nella riunione con il suo gruppo parlamentare. Molti gli assenti, su 130 se ne sono visti forse una settantina. Fitto non c’era. Qualcuno dei suoi è andato a sentire. Il Cavaliere è nero. Soprattutto nell’angolo: in effetti non ha armi in mano. Tribolati i contatti con Verdini, il notaio del Nazareno, che a sua volta non sa bene cosa dire.
Mentre Berlusconi cerca una soluzione dignitosa, Renzi va avanti con i colloqui. Vede Fassino, l’ex segretario, l’ultimo dei Ds, ora presidente dell’Anci. A palazzo Chigi entra anche il governatore Sergio Chiamparino. “La mia candidatura è del tutto inventata” taglia corto.
Sul tavolo del Quirinale si apre la partita dei segretari. “Ma se Matteo sceglie questo schema, allora son dolori” dice un deputato Pd della vecchia guardia. Perché il partito non tiene. Perché Fassino e non Veltroni? E perché non Bersani? Una partita troppo difficile. Molto più di quella di Mattarella che in fondo avrebbe i voti di tutto il Pd (nel 2013 era stata la prima scelta di Bersani), dei centristi ma anche di Sel e forse qualche grillino, almeno i transfughi, ormai una pattuglia di circa 35 persone. Insomma la maggioranza di governo. Senza il Nazareno.
Il pokerista Renzi ha però un piano solo. Al netto delle tanto evocate, in queste ore, “renzate” (leggi colpo a sorpresa) che Dio solo sa in cosa possa consistere. Veltroni? È un ex segretario e poi gli farebbe troppa ombra. Il presidente del Senato Piero Grasso? Un ex magistrato al Colle non sarebbe un bel messaggio per l’Europa. O forse sì.
Si tenta quindi il tutto per tutto con Mattarella. E si cerca di serrare i tempi per chiuderla in fretta questa partita. A Montecitorio corre voce di due votazioni già domani (la prima alle 15, poi alle venti) e di altre tre venerdì. Lo schema resta quello della scheda bianca nelle prime tre, quando il quorum è 672 voti irraggiungibili senza Forza Italia. Poi di tentare l’elezione già dalla quarta. Al massimo la quinta.
Resta da scansare la trappola dei Cinque stelle che potrebbero mettere in pista, alla prima votazione, il nome di Prodi contando di raccogliere 150-200 voti per poi stanare il premier sul fondatore del Pd. Per questo Renzi farà già il nome domani alle tredici all’assemblea dei grandi elettori. Spiegherà che il giudice costituzionale, figlio di un eroe dell’antimafia, è colui che raccoglie più consensi nel Pd e tra i centristi. E chiederà di chiudere in fretta la partita. Poi ci sarà da spiegarlo a Berlusconi. E da vedere che fine farà il Nazareno. Se così andranno le cose, ci sarà un vincitore, Renzi. E uno sconfitto, Berlusconi.
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