ROMA – “E nel terzo giorno il Nazareno resuscitò”. La battuta, a suo modo sulfurea, corre in Transatlantico di prima mattina, quando è appena cominciata la seconda votazione che finirà, come la prima, con un nulla di fatto. E sembra materializzarsi quando cala la sera, alle 18 e 30, con la forma del vecchio e democristianissimo comunicato che porta la firma di Matteo Renzi e le sottofirme – ideali – di Denis Verdini e Gianni Letta. E’ una sorta di appello al senso alto della funzione della Presidenza della Repubblica a cui tutte le forze politiche devono partecipare al di là di personalismi e giochi di corrente che non possono svilire questa scelta.
“Auspico – scrive il premier – che sul nome di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell’Italia”. Nel centrodestra balcanizzato, umiliato e offeso, vince la linea della non belligeranza. I 75 di Area popolare, Ncd e Udc, metteranno nell’urna il nome di Mattarella. Forza Italia ha deciso per scheda bianca, è ammessa la libertà di coscienza. Vuol dire quindi che i numeri ci sono, forse anche più di 600. E che il nome del tredicesimo Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella. Il “molto probabilmente” resta un obbligo.
Atto di debolezza? O l’umiltà di chi sa di avere la vittoria in tasca? Il comunicato-appello di Renzi è un atto politico necessario “perché – come scandisce un senior di Forza Italia appostato sui divanetti della fumeria sul lato sinistro del cortile d’onore – in politica tutto è possibile. E soprattutto non c’è certezza”. Non a caso arriva mentre è in corso il terzo e prevedibile inutile spoglio. E alla fine di una giornata scandita da innumerevoli riunioni, continue fibrillazioni e bocconi avvelenati buttati in campo e dati in pasto ai giornalisti (600 accreditati) che occupano il Transatlantico di Montecitorio a sua volta occupato da un migliaio di grandi elettori più portavoce e assistenti. Un affollamento pazzesco in una situazione, dal punto di vista delle notizie e delle certezze, assolutamente fluida.
Impossibile dar conto delle riunioni e dei successivi cambi di strategie. Vale la pena percorrere i passaggi più decisivi. Tutto ruota intorno ai numeri: sabato mattina ne servono 505 per diventare Presidente della Repubblica. Ma il giudice Mattarella non ha mai fatto mistero che il Presidente deve essere espressione di tutte le forze politiche. L’impegno di Renzi, quindi, è doppio: il primo, vitale, arrivare a 505 voti; il secondo, politicamente necessario, allargare il più possibile la platea. Il tutto mentre, dettaglio da non sottovalutare, le vecchie correnti della Dc riprendono forma in Parlamento, e le nuove correnti del Pd e il maremoto nel centro destra si mandano ultimatum avvelenati.
La saletta del governo di fianco all’aula della Camera dove il Parlamento è riunito in seduta comune, diventa la war room dove il generale Renzi e il suo stato maggiore – Orfini, Serrachiani, Speranza, Zanda, Guerini – contano le truppe e contattano alleati e nemici. E dove avviano tattici colloqui riservati. E’ il primo pomeriggio quando Pierferdinando Casini abbandona definitivamente il campo del Colle. Pierferdy ha provato ad occuparlo il più possibile. Qualcuno dei suoi ha alimentato la suspence circa “tradimenti” di correnti del Pd e su una conta sul filo dei voti. E ha avvalorato l’idea che “anche Scelta Civica avrebbe votato Casini”.
E’ una partita micidiale tra le correnti della vecchia diaspora democristiana. “Ok – dice a un certo punto Casini a Renzi – ma sia chiaro che sei tu che non mi vuoi. Non il Pd”. Sopravvive per qualche ora l’ipotesi di far saltare la quarta votazione, di costringere Renzi ad una “scelta istituzionale” che avrebbe dovuto essere Piero Grasso in modo da liberare la carica di presidente del Senato, perfetta per Casini. Grasso, sia detto per inciso, è tranquillo a palazzo Giustiniani, in quanto Presidente facente funzioni non potrà votare ma ha detto come la pensa: “Mi spiace non poter votare Mattarella”. Il delirio delle vecchie correnti della Dc s’intreccia con lo stato confusionale e terminale di Forza Italia e Nuovo centro destra. Mentre Alfano non ha ancora deciso cosa fare, alcuni, molti dei suoi, lo hanno già fatto per lui, dai ministri alla squadra dei siciliani.
Verso le quattro entrano nella war room di Renzi, in ordine sparso, il ministro Lorenzin, il ministro Lupi, il sottosegretario Casero, la capogruppo Nunzia De Girolamo. Fuori restano Sacconi, Cicchitto, Quagliariello che però argomenta: “Se Mattarella è il nome della maggioranza di governo, o noi lo appoggiamo o usciamo dall’esecutivo”. Qualche divanetto più in là un’altra pattuglia di Ncd sembra piuttosto sconfortata. Ci sono Vincenzo Garofalo, Francesco Colucci, uno spaesato Paolo Bonaiuti: “Ma chi c’è dentro la stanza?” chiede senza ricevere risposta.
Alle 18, poco prima dell’appello urbi et orbi, e dopo un faccia a faccia chiarificatore con Renzi (“guarda Angelino che il ministro dell’Interno non può fare come gli pare in un voto istituzionale come quello per il Presidente della Repubblica”), Alfano decide: Ncd voterà Mattarella. Ma se poi qualcuno deciderà diversamente, libero di farlo. La scelta spiazza ulteriormente Forza Italia, che doveva giocare insieme a Ncd la partita presidenziale ma sono insieme finite in trappola.
Da 48 ore gli azzurri ondeggiano su quattro cantoni. Ci sono gli incavolati neri, Romani, Brunetta, Maria Rosaria Rossi, Deborah Bergamini, l’avvocato Piero Longo, che sono per l’Aventino, un modo per marcare il tradimento del patto del Nazareno. Ci sono quelli che, come Berlusconi, dicono scheda bianca che lascia libertà di coscienza. E ci sono altri, non pochi, da Rocco Crimi a Saverio Romano che dicono: “Ma perché non dovrei votare Mattarella?”. E c’è Fitto con la sua pattuglia di 40 che ha già fatto sapere: “Noi andiamo e votiamo”. Per marcare sempre di più la sconfitta di Berlusconi “pugnalato dal suo alleato che si chiama Renzi”. Uno psicodramma. Anche questo “risolto” – si fa per dire – in serata con l’ordine che è stato poi il primo di Berlusconi: scheda bianca. Un atto di distinguo ma anche di rispetto. E che non impedisce di votare il candidato.
A sera restano ancora riunioni sparse per il centro di Roma: Cinque stelle, Area popolare, Forza Italia si vede a cena, non pervenute le correnti Pd. “Mi raccomando, lavorate bene” si raccomanda una rifiorita Rosy Bindi alla vicepresidente azzurra al Senato Anna Maria Bernini. Il voto finale e decisivo inizia domattina (9.30). Sarà una notte complicata. Sulle sillabe del vecchio adagio che “nulla in politica è mai certo”. Il renzianissimo David Ermini ha un’idea: “Io stasera vado a vedere American Sniper…”. Storia di un cecchino diventato eroe d’America ai tempi della guerra in Iraq. Perché sempre dai cecchini stamani possono arrivare le sorprese.
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