Calcio, problema arbitri. Soluzioni: moviola, tempo effettivo, “hawk eye” e 17 regole

ROMA – Grande è la confusione sotto il cielo, anche sotto il cielo del nostro calcio, ramo arbitri. Non si contano gli episodi dubbi e non mi riferisco tanto al rigore concesso o negato quanto alla gestione complessiva delle partite, tormentate da decisioni bizzarre e difformi l’una dall’altra, in presenza di azioni analoghe o identiche nella dinamica. Col risultato di minare gravemente la credibilità del campionato di calcio, anche al netto della sempiterna sudditanza psicologica (chiamatela reverenza verso i potenti, se preferite), innegabile condimento delle direzioni arbitrali in tutto il mondo, da che calcio e calcio.

Intendiamoci, non butto la croce addosso agli arbitri, chiamati ad assolvere compiti sempre più complicati, anche eispetto a qualità tecniche e personalità mediamente non eccelse. Arbitrare ad alto livello oggi è diventato difficilissimo per tre ordini di ragioni.

1) Gli occhi elettronici (moviole, telecamere ad ogni angolo, zoom, ricostruzioni dinamiche tridimensionali ecc ecc) rovistano ogni più recondita sequenza e snudano tutto ciò che accade in campo. Ingannare l’arbitro, a posteriori diventa inutile. La prova tv smaschera le porcherie sfuggite al direttore di gara. Ma finisce anche per inchiodarlo ai suoi errori. Inevitabili, Nicchi e Braschi sul punto hanno ragione, perché gli errori sono legati all’occhio umano, che non può tecnicamente vedere tutto.

2) Le regole infarcite di subordinate, codicilli e improbabili varianti obiettivamente mettono l’arbitro nella condizioni di sbagliare di più e più spesso. Privandoli dell’alternativa secca (fallo sì, fallo no; rigore sì, rigore no) e imponendo loro di scegliere fra tre o quattro possibilità. Cosa che aumenta le probabilità di prendere la decisione sbagliata.

Prendiamo l’ultima giornata di campionato. A San Siro, l’arbitro Rizzoli giudica chiara occasione da gol quella capitata ad El Shaarawy da tergo che era stato spinto a terra (fuori o dentro l’area?) dal laziale Candreva. L’arbitro di porta, Giannoccaro, lo ha indirizzato verso quella decisione, che il designatore Braschi, a posteriori, ha approvato. El Shaarawy era nel possesso del pallone e aveva un’ottima occasione per calciarlo verso la porta laziale e segnare. Il sopravveniente Dias non sarebbe stato in grado di intervenire e impedirglielo.

A prescindere dalla valutazione sul punto in cui era avvenuto il fallo (fuori area, probabilmente e Rizzoli ha fatto bene ad assegnare la punizione dal limite e non il calcio di rigore), la domanda si impone. Se è dirimente la chiara occasione da gol (e non più se il fallo è stato commesso o no dall’ultimo uomo (il regolamento è stato cambiato ma pochi lo sanno), allora l’arbitro Gervasoni (pessimo nella gestione complessiva di Roma-Genoa) ha sbagliato a non espellere (lo ha solo ammonito) il romanista Burdisso che aveva abbattuto Borriello a cinque metri dalla porta della Roma, quando l’attaccante del Genoa aveva il possesso del pallone e la chiara occasione di segnare il gol. Due casi simili (El Shaarawy e Borriello), due decisioni difformi. Perché?

L’errore (di Gervasoni) ha condizionato la partita, difficilmente la Roma ridotta in 10 uomini sarebbe riuscita a battere il Genoa, che stava giocando meglio. Anche il giallo mostrato al sampdoriano Palombo in Sampdoria-Parma dall’arbitro Valeri autorizza qualche dubbio. Palombo aveva fermato fallosamente Biabiany mentre l’attaccante del Parma filava verso Romero. E’ vero che sulla sua strada si profilavano altri due difensori doriani ma verosimilmente Biabiany sarebbe riuscito a battere a rete e magari a fare gol. Poteva uscire il rosso? Sì poteva. Lo ha ammesso persino Palombo.

Differente ma ugualmente sintomatico l’episodio in Napoli-Juventus della gomitata (volontaria) di Cavani al volto di Chiellini, sfuggita all’arbitro Orsato. Il quale, su segnalazione dell’arbitro di porta (De Marco, un internazionale come lui) ha ammonito il centravanti del Napoli, mentre avrebbe dovuto espellerlo perché la gomitata era intenzionale e non un gesto scomposto. L’arbitro centrale è stato tratto in inganno dal suo collaboratore, il quale ha omesso anche di segnalargli che era stato lo stesso Chiellini a provocare il gesto in reazione di Cavani, avendolo afferrato platealmente per i capelli. Lo juventino dunque doveva essere ammonito (e invece l’ha fatta franca) e Cavani espulso. L’ammonizione peraltro lo ha salvato (Cavani) dalla prova tv che sarebbe scattata se Orsato avesse scritto nel referto di non aver visto né preso provvedimenti nei suoi confronti. Che con la prova tv avrebbe rimediato un paio di giornate di squalifica. Capito come si falsa l’andamento di una gara?

Autoassolutorio come sempre, Braschi ha cercato di giustificare gli errori dei suoi arbitri. Ma ha dovuto ammettere che qualche errore è stato commesso, ad esempio ad applicare la norma del vantaggio quando, in Milan-Lazio, El Shaarawy è stato abbattuto dal portiere Marchetti e il pallone, finito a Pazzini che lo ha calciato in porta, è stato deviato da Biava, evitando il gol del Milan. Il rigore doveva essere fischiato da Rizzoli.

L’atteggiamento secondo cui l’arbitro ha (quasi) sempre ragione anche quando palesemente sbaglia non risolve il problema di fondo. Gli arbitri sbagliano molto perché il regolamento, deformato dalle novità introdotte auspice Blatter (per migliorare lo spettacolo…), rendono statisticamente più alto il numero degli errori arbitrali. Il rimedio? Tornare d’urgenza alle 17 regole con le quali il football è stato amministrato per oltre un secolo. Eliminando codicilli, subordinate, specifiche e altre fesserie del genere.

La riforma (all’indietro) non dipende dagli arbitri, loro il regolamento devono applicarlo così com’è. Il bastone del comando lo tengono quelli dell’Ifab (International Football Association Board) un organismo tecnico della Fifa (la Federazione calcistica Mondiale, presieduta da Sepp Blatter). Un sinedrio di parrucconi, ha definito l’Ifab il mio amico e maestro, Piero Sessarego, profondo conoscitore di cose calcistiche. Ha perfettamente ragione. I membri dell’Ifab sono otto, quattro nominati dalla Fifa (cioè da Blatter) e quattro in rappresentanza delle federazioni calcistiche primigenie: Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord. Non hanno invece voce in capitolo gli organismi direttivi degli arbitri. Un assurdità. Lo si verifica facilmente confrontando le norme geneticamente modificate con la realtà del campo.

Blatter (e anche Platini, presidente dell’Uefa la federazione europea), sono ostili ad introdurre supporti elettronici e meccanici come ausilio agli arbitri, strumenti in uso ad esempio nel rugby dove esiste un uomo moviola che rivede gli episodi dubbi e informa l’arbitro della dinamica dell’azione contestata o confusa. Nel calcio a quanto pare non si può procedere in questa maniera. Gli arbitri stessi sono contrari perché temono di perdere la loro discrezionalità. Ovvero il potere. In campo l’arbitro è un dominus che non tollera contraddittorio.

Vi siete chiesti perché ci si rifiuta di introdurre il tempo effettivo come nel basket? Che farebbe piazza pulita di tutte le manfrine cui assistiamo, cominciando dagli infortuni fasulli? Perché il tempo effettivo toglierebbe potere agli arbitri che infatti decidono quanti minuti concedere per il recupero. A loro totale discrezione. Una breccia potrebbe prodursi con l’hawk eye, l’occhio di falco, installato per stabilire se il pallone ha varcato o no la linea di porta. Anche Blatter sembra infine essersi convinto della necessità di assistere l’arbitro con un supporto elettronico neutro come l’occhio di falco.

Nicchi, il presidente dell’Aia (gli arbitri italiani), ha giocato d’anticipo. Solo in tutta Europa, ha introdotto i due arbitri di porta, delegati a stabilire, de visu, ciò che l’hawk eye dovrebbe indicare con la sua fotocellula. L’esperimento, ovviamente promosso a pieni voti dai suoi sponsor, in realtà ha accresciuto i margini degli errori arbitrali, proprio come si è verificato in Milan-Lazio e Napoli-Juventus. I due arbitri di porta, De Marco e Giannoccaro, hanno deciso in vece degli arbitri centrali (Rizzoli e Orsato) anche nelle azioni contestate di cui ho scritto sopra. Un regime assembleare non è certo utile a garantire stabilità e uniformità nella direzione di gara dell’unico arbitro che ha la responsabilità di decidere.

Ma tant’è: con la sestina (ormai sono sei tra arbitri e assistenti) che è chiamata ad applicare il regolamento in serie A si è raggiunto un ulteriore effetto perverso. Le spese a carico dell’Aia (ergo della Federcalcio che non nuota certo in un mare di quattrini, dopo i tagli governativi al Coni) sono cresciute di un milione di euro l’anno. Ne valeva la pena? Per gli arbitri forse sì, visto che la torta, in termini di gettoni di presenza, andrà a saziare molte bocche in più rispetto al passato. Se interessa, un arbitro internazionale guadagna in media sui 300 mila euro a stagione. Mica male per dei dilettanti, una ipocrisia di linguaggio che andrebbe cancellata. Non vedo nulla di male nel professionismo arbitrale. Di fatto esiste già.

3) L’ultimo elemento che complica la vita agli arbitri riguarda la velocità e la fisicità del calcio del XXI secolo. Riportati oggi in attività, i Lo Bello, i Michelotti, i Casarin (che pure era il più prestante dei fischietti d’antan) avrebbero problemi seri ad amministrare una partita. Troppo veloce e troppo fisica, rispetto al calcio dei loro tempi. Difatti gli arbitri contemporanei, che talvolta difettano di personalità e di conoscenza del gioco, sono atleti impeccabili. Si allenano tutti i giorni duramente, rispettano tabelle di preparazione degne dei fondisti, conducono una vita privata inappuntabile. Insomma sono dei veri professionisti, perché sanno che altrimenti non riuscirebbero ad essere competitivi e dovrebbero farsi da parte. Vada a loro merito, ma resta il fatto che arbitrare correndo allo spasimo è più difficile che fischiare corricchiando come dopolavoristi in gita. Una ragione di più per asciugare le regole del calcio, riportandole alle origini… Presidente Blatter, per favore batta un colpo.

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