Genoa, Sampdoria: derby nella storia del calcio, 66 anni fa il primo

di Renzo Parodi
Pubblicato il 15 Novembre 2012 - 10:03 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA – Sampdoria vs. Genoa, domenica 18 si gioca il derby dei disperati. Qui potete leggere la seconda parte della ricostruzione della storia calcistica di Genova e delle sue squadre, per la parte dedicata agli ultimi 60 anni.

Cliccate qui per leggere la parte sul periodo che va da fine ’800 alla seconda guerra mondiale.

L’alba del secondo dopoguerra coglie le squadre genovesi nel tentativo di riprendere l’attività interrotta dalla parentesi bellica, in una città devastata dai bombardamenti e prostrata dai lutti.Ma forte è la voglia di ricominciare a vivere e il calcio è la medicina ideale per andare incontro al tempo di pace.

Lo scenario vede ai nastri di partenza del primo campionato postbellico ben tre squadre: il Genoa, tornato all’antica denominazione, la ricostituita Andrea Doria e la Sampierdarenese. Nel primo campionato postbellico m(1945/46) fu l’Andrea Doria a primeggiare, terminando al decimo posto con 21 punti, distanziando il Genoa, dodicesimo con 19 e la Sampierdarenese, ultima a 15.

Il profumo del derby tornò a spandersi soave sul prato del Luigi Ferraris, campo di casa del Genoa e dell’Andrea Doria, mentre i Lupi polceveraschi erano tornati a calcare il terreno dello stadio di Cornigliano, ovviamente non più “Littorio”.

Fu subito evidente che tre squadre a Genova erano troppe, anche perché premevano realtà importanti e si discuteva sul numero dei club ammessi al massimo campionato. Diciotto? Venti? Ed era altrettanto chiaro che il Genoa era intoccabile e dunque spettava alle altre due società genovesi combinare la fusione, peraltro non più pilotata dall’alto come era accaduto, sventuratamente, con la nascita della Dominante.

Le trattative furono lunghe e burrascose, da entrambe le parti si registrarono resistenze e tentativi di far naufragare l’accordo. Da parte della Sampierdarenese si eccepiva l’origine ginnastica dell’Andrea Doria come elemento ostativo alla partecipazione al campionato di calcio federale. Un espediente utile ad alzare il prezzo del matrimonio.

La risorta Andrea Doria vantava una florida condizione finanziaria e si preparò a difendere il proprio diritto a partecipare alla serie A, rivendicando il sopruso patito nel lontano 1927, quando il fascismo l’aveva cancellata d’autorità in ossequio alla direttiva mussoliniana che impose una serie di fusioni, tra le altre quelle che diedero origine alla Roma e alla Fiorentina.

Fu l’avvocato Franco Torresi, compagno d’armi sul fronte russo, nel corpo degli Alpini, dell’avvocato Gianni Agnelli e dell’avvocato Giuseppe Prisco, a perorarne la causa nell’assemblea federale di Firenze del maggio 1946. Con l’appoggio della Lazio, altro club riabilitato nonostante i suoi trascorsi fascisti, e della Juventus, Torresi riuscì a superare le obiezioni di chi si opponeva alla riqualificazione doriana. Tra questi anche la Sampierdarenese che reclamava il suo buon diritto a partecipare al massimo campionato.

La diatriba si risolse attraverso trattative serrate e durissime tra i dirigenti dei due sodalizi genovesi. L’obiettivo della fusione divenne ineludibile, se si voleva continuare a figurare nell’élite calcistica nazionale. E infine la meta venne raggiunta. Il 12 agosto 1946, nell’ufficio del notaio Bruzzone in galleria Mazzini – in pieno centro cittadino a Genova – nasce l’Unione calcio Sampdoria.

Anche sul nome ci si era accapigliati furiosamente: Doria-Samp? O Samp-Doria?, così come sulla maglia che alla fine risultò cromaticamente affascinante, al punto da essere votata – la notizia è recentissima – come la più bella maglia di club dai lettori del “Guerin Sportivo”. I doriani alla fine avevano accettato di scolorire il loro blu in un azzurro che – rivelò anni dopo il monarchico Torresi – richiamava l’azzurro Savoia, ancora (brevemente) in auge. Lo scudo appuntato sul petto, con la croce rossa in campo bianco, simbolo di Genova, suggellò l’intesa.

Il Genoa aveva osservato con qualche preoccupazione il travaglio legato alla nascita della nuova creatura. Era venuta alla luce una concorrente decisamente più agguerrita rispetto alle rivali d’anteguerra. Oltretutto la Sampdoria avrebbe disputato le gare casalinghe sul terreno del Luigi Ferraris, in una sorta di contrappasso storico per aver subito lo scippo della Cajenna – l’antico campo di casa dell’Andrea Doria – sulla quale nel 1933 era sorta la gradinata Nord, cuore del tifo genoano.

Il primo derby tra Genoa e Sampdoria andò in scena il 3 novembre 1946, alla presenza del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, in visita a Genova. Lo stadio era colmo di quarantamila spettatori che assistettero ala rotonda vittoria della Sampdoria (anzi Samp-Doria come ancora era indicata nelle cronache sportive) che dilagò per 3-0 con reti di Baldini, Frugali e Fiorini. G.B. Vagge, cronista del Secolo XIX, registrò (a denti stretti, era notoriamente di sentimenti genoani) la vittoria della nuova arrivata, concedendo che era assolutamente meritata.

E riportò un curioso episodio che oggi suona come un evento lunare.

“Vogliamo citare il gesto di Verdeal [argentino del Genoa, un campione del firmamento rossoblù] che dovrebbe essere di insegnamento e di monito a quella parte del pubblico che fischia una squadra della sua città anche quando gioca bene [il riferimento è ai tifosi genoani]. Verdeal, subito dopo il primo punto, segnato in maniera magistrale da Baldini, ha stretto la mano di questo e si è congratulato per il modo con cui il punto era stato segnato”. Impossibile oggi immaginare una scena del genere.

La rivalità tra i tifosi restò asperrima, come era stata nell’anteguerra. Con la differenza che il Genoa non era più la squadra egemone. Anzi. Nel primo scorcio di tempo dopo il 1946, la supremazia blucerchiata nei derby divenne evidente. Sono passati alla storia la vittoria della Sampdoria per 5-1 del 17 ottobre 1948, (con due gol dell’argentino Josè Curti, un astro fulmineamente tramontato) e il successo per 3-2 del 22 aprile 1951 con il gol decisivo di un altro attaccante argentino, Mario Sabatella, che piegò i rossoblù quasi all’ultimo giro di cronometro e condannò il Genoa alla retrocessione, la seconda della sue storia.

L’affronto venne lavato molti anni dopo e per due volte. Il 12 marzo 1977 un gol di Roberto Pruzzo, o rey di Crocefieschi, spianò ai rivali la strada della serie B, così come il gol di Boselli all’ultimo secondo del recupero nell’ultimo derby di campionato disputato (8 maggio 2011) condannò ancora la Sampdoria. Entrambi i derby terminarono 2-1 per il Genoa.

Fra le stracittadine passate alla storia figura quella disputata il 23 ottobre 1955, ricordata negli archivi come il derby di Di Pietro, che non era, ovviamente, il pm di Mani Pulite, ma un attaccante brasiliano di nome Marinho, che si rivelò il classico bidone. Ma non quel giorno, infatti Di Pietro, baciato – è il caso di dirlo e vedremo subito perché – dall’angelo della fortuna, siglò una doppietta e uno dei gol scaturì da una deviazione del pallone operata involontariamente con… le natiche.

La vittoria rossoblù (2-1), nel giudizio di Ernesto Chiossone, del Secolo XIX fu peraltro legittima. La rivalità non aveva impedito, nell’estate 1950, un clamoroso scambio tra le due società; Baldini e Bonetti, due uomini simbolo della prima Sampdoria, erano passati al rossoblù, in cambio del centromediano Bergamo. Visto con gli occhi del poi, non fu un affare per il Genoa, Baldini non seppe ripetere le prodezze balistiche che in blucerchiato lo avevano portato in Nazionale e come abbiamo visto il Genoa, a fine stagione, capitolò scendendo di categoria.

Non sono molti gli esempi di giocatori transitati da una sponda all’altra, tra i più noti, Eddie Firmani, detto Tacchino Freddo per l’incedere impettito, era un centravanti sudafricano che fece parlare di sé anche con la maglia dell’Inter. Gli incroci pericolosi non mancarono, anche a livello di società, “Gipo Poggi (unico calciatore genovese ad aver vestito le maglie di tutte e quattro le squadre cittadine), Paolo Tabanelli, Roberto Lerici e Gigi Cagni soggiornarono in tempi diversi su entrambe le panchine. Ora è toccato a Luigi Del Neri proseguire la tradizione che vede – qui parla la cabala – in vantaggio il Genoa per numero di vittorie, quattro su cinque.

Infine anche a livello dirigenziale si sfiorarono connubi spericolati. Nell’estate del 1963 il cardinal arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, convinse l’industriale petrolifero Edoardo Garrone, patron della Erg, ad acquistare il Genoa, che si trovava in cattive acque. Garrone accettò a malincuore – non aveva alcun interesse verso il calcio – ma prima di perfezionare l’affare morì durante una battuta di pesca in Norvegia.

Il figlio Riccardo, detto Duccio, quarant’anni più tardi, nel 2003, si ritrovò ad acquistare la Sampdoria (anch’egli non era affatto un tifoso del pallone, sebbene in gioventù avesse manifestato tiepide simpatie blucerchiate) , ma di fronte alla prospettiva, reale, del fallimento della società, non si tirò indietro. Firmò molti assegni, saldò tutti i debiti della gestione sciagurata di Enrico Mantovani (il figlio del presidente dello scudetto) e salvò la Sampdoria dal declassamento. Tempo dopo Duccio Garrone confidò di essere stato vicino all’acquisto del Genoa, alla metà degli anni Settanta. Glielo chiese il sindaco di allora, Fulvio Cerofolini, socialista e fervente tifoso genoano. Garrone rifiutò perché – spiegò – non aveva voluto dare l’impressione di utilizzare il calcio come arma impropria nelle trattative allora in corso per lo spostamento degli impianti petroliferi della Erg dalla Valpolcevera. Uno scrupolo che ha cambiato la storia del calcio genovese.

Gli anni Sessanta si erano aperti con la disastrosa retrocessione del Genoa (la terza) appesantita da un tentativo di illecito che costò sette punti di penalizzazione da scontare nel campionato successivo e impedì l’immediata risalita in A. Il derby andò brevemente in archivio, la Sampdoria era rimasta in serie A e aveva spiccato il volo, sotto la guida del presidente Alberto Ravano, Con Eraldo Monzeglio in panchina e in campo dei simpatici e talentuosi vecchietti a dare spettacolo. Skoglund, Ockwirk, Cucchiaroni, Brighenti la condussero al quarto posto, miglior risultato dalla fusione, e tale è rimasto fino all’avvento di Paolo Mantovani.

Il derby tornò in scena, brevemente, a metà dei Sessanta, il Genoa di Meroni fu un breve miraggio che – ceduto il fantastico Gigi al Torino nell’estate del 1964 – si perse nella quarta retrocessione. La Sampdoria l’avrebbe seguito di lì a poco (estate 1966) e solo la stracittadina di serie B consolò il Genoa, vittorioso con un gol del mediano Franco Rivara, dal tormento di vedere i cugini risalire immediatamente nella massima serie.Evento che per i rossoblù sarebbe maturato soltanto nel 1973, dopo otto anni di esilio tra i cadetti e un spaventoso capitombolo in serie C.

In quel periodo il derby restò confinato ad amichevoli ed incontri di coppa Italia, che segnalarono una sostanziale parità di risultati. Si ricominciò a fare sul serio soltanto a metà dei Settanta e la prima rentrée si concluse il 25 novembre 1973 con una cocente delusione per il Vecchio Grifone, battuto 2-0, con un autogol di Maselli e gol di Salvi..

Era il Genoa di Corso e Simoni (acerrimi nemici), l’allenatore era “Sandokan” Silvestri. Sulla panchina blucerchiata sedeva Guido Vincenzi, ex difensore della squadra di Monzeglio, l’anno successivo transitato ad allenare il Genoa, con scarsa fortuna. Esonerato, fu sostituito da Gigi Simoni che sarebbe diventato uno dei più longevi allenatori genoani di tutti i tempi. Il derby di ritorno (17 marzo 1974) si chiuse sull’1-1 in virtù di un rocambolesco episodio. Passato in vantaggio con un gol del mediano Derlin, nonostante fosse ridotto a giocare con 10 uomini per l’espulsione di Corradi (una velocissima ala destra), il Genoa si vide raggiunto a 14 secondi dal 90′ da un gol in rovesciata del vecchio Mario Maraschi, siglato proprio sotto la gradinata Sud, tempio del tifo blucerchiato.

“Se dovessero fare la fusione, il problema principale non sarebbero i debiti delle due società, ma i giocatori. Fra tutti non si riuscirebbe a metter su una squadra decente”, commentò in tribuna Fulvio Bernardini. Il “Profeta” o il dottore o ancora alla romana, Fuffo nostro, aveva allenato la Sampdoria nel secondo scorcio dei Sessanta, era una piccola Sampdoria, presidente Mario Colantuoni, detto l’avvocato di campagna. Bernardini la condusse invariabilmente alla salvezza grazie a perentorie riscosse primaverili che riscattavano inverni di carestia e classifiche drammatiche. Vestirono il blucerchiato giocatori come Vieri, Morini, Benetti, Frustalupi, destinati a fare il salto nel grande calcio.

Il Genoa, come detto, languiva tra i cadetti. Dall’alto della sua immensa sapienza calcistica, Bernardini aveva bollato quel derby come uno spettacolo indecente. E forse lo era stato. La Sampdoria era partita ad handicap, appesantita da un -3 in classifica per via di un illecito sportivo, il premio a vincere concesso all’Atalanta l’estate prima, con conseguente processo e condanna. Il Genoa neopromosso si era subito indirizzato verso il baratro. Difatti l’epilogo di quel disgraziato torneo fu il penultimo posto della Sampdoria e l’ultimo del Genoa.

Differenza niente affatto platonica, visti gli sviluppi, ovvero la condanna alla retrocessione per illecito sportivo di Foggia e Verona, che riqualificò la Sampdoria, ripescata in serie A. Il Genoa dovette piangere sui propri peccati, dilaniato dalle lotte di spogliatoio fra i due clan, nelle ultime sei partite non aveva portato a casa neppure un punto, mentre la Sampdoria, raggranellando cinque punti, alla fine aveva operato il sorpasso sui cugini. Anche quello era un derby. E che derby!

Per assistere a spettacoli degni della passione del pubblico genovese si sarebbero dovuti attendere i magnifici anni Ottanta, il secondo scorcio in particolare. Tra il 1981 e il 1982 prima il Genoa e poi la Sampdoria erano finalmente tornate all’onore del mondo, ovvero in serie A, dopo i rispettivi capitomboli in serie B nel 1978 e nel 1977. Stava per arrivare l’età dell’oro del calcio genovese. La Sampdoria mise a segno una vittoria pesante il 6 novembre 1983 fu un 2-0 perentorio, con l’autorete del genoano Faccenda e un gol da cineteca di Roberto Mancini, un giovanissimo attaccante prelevato dal Bologna a suon di milioni e destinato col gemello Vialli a imprimere il marchio ad un’epoca. Quella vittoria fu il preavviso delle retrocessione del Genoa, guidato da Simoni, che si materializzò a fine stagione. Il Grifone sarebbe riemerso in serie A soltanto cinque anni dopo, con Franco Scoglio.

Alla guida della Sampdoria nel 1979 era salito un trader petrolifero romano di nascita e genovese d’adozione. Paolo Mantovani. Tifoso della Lazio in gioventù, trasferitosi a Genova per lavoro (presso i Cameli, giganti dell’armamento) Mantovani si era innamorato della Sampdoria. Al punto da decidere, ormai diventato ricco commerciando petrolio, di trasformarla in una grande del calcio italiano e mondiale.

Missione compiuta, con la conquista, nella stagione 1990/91 dello scudetto, un traguardo impensabile per la città di Genova, impoverita e marginalizzata da una decadenza che aveva messo a terra la siderurgia e persino il porto, il polmone dell’intera economia cittadina. Il Genoa del presidente Aldo Spinelli, un vulcanico imprenditore marittimo nel ramo trasporti, si era orgogliosamente cimentato a contrastare la rivale, conquistando il quarto posto e guadagnandosi il biglietto per partecipare alla Coppa Uefa.

Sulle panchine sedevano due santoni, Vujadin Boskov e Osvaldo Bagnoli. Zuccherino di consolazione per il Grifone, la vittoria nel derby di andata, deciso da una “bomba” su punizione del terzino brasiliano Claudio Branco, che aveva schiodato a favore del Genoa l’1-1 confezionato dai gol di Eranio e di Vialli, su calcio di rigore. Il derby di ritorno scivolò in uno scialbo 0-0 ma nessuno ci fece caso. Erano ben altri i rispettivi traguardi. L’anno sopo, la Sampdoria sfiorò addirittura la Coppa dei Campioni, perduta ai supplementari contro il Barcellona a Wembley. Toccato il cielo non si poteva che ridiscendere sulla terra e questo accadde.

Gli anni Novanta videro Sampdoria e Genoa duellare a buon livello, ma non più su registri di eccellenza. Memorabile il 4-1 blucerchiato del 92/93, con la partita interrotta per un lancio massiccio di carta igienica dalla gradinata Nord. Il declino incombeva, suggellato dalla morte di Mantovani, nell’ottobre 1993 e dalla retrocessione del Genoa nel 1995.

Per riaccendere la scintilla del derby in serie A si sarebbe dovuto attendere parecchio: la promozione della Sampdoria, nel 2003 e quella del Genoa, nel 2007, dopo il tremendo pasticcio della retrocessione a tavolino in serie C per l’illecito sportivo nella partita contro il Venezia. Alla guida del Grifone era nel frattempo arrivato Enrico Preziosi, industriale dei giocattoli.

E’ indubbio che l’ultimo scorcio segnali la prevalenza genoana nelle stracittadine. Cinque degli ultimi sei derby di campionato sono andati al Genoa. E tre di queste vittorie figurano nel carnet personale di Gian Piero Gasperini, l’allenatore che ha segnato, seppur brevemente, un’epoca. I tifosi del Genoa ricordano con particolare piacere le performance del “Principe” Diego Milito, capace di mettere KO da solo la Sampdoria, con l’1-0 del derby del 7 dicembre 2008 e la storica tripletta siglata al ritorno, il 3 maggio 2009. La Sampdoria che sie ra aggiudicata due dei derby cadetti con la coppia Flachi-Bazzani, ma aveva dovuto cedere altrettante volte contro il Genoa di Scoglio, in serie A si era dovuta accontentare di un paio di successi, entrambi nel segno di Antonio Cassano. Impareggiabile assistman nell’incontro vinto il 17 febbraio 2008 con un gol di Maggio, imbeccato appunto da Fantantonio a quattro minuti dalla fine del match. E con l’1-0 confezionato da Cassano in prima persona l’11 novembre 2010, un paio di mesi prima del suo clamoroso divorzio dalla Sampdoria.

Ultima curiosità. L’attuale allenatore del Genoa, Gigi Del Neri, fu l’autore del gol blucerchiato – con un pallone calciato direttamente dalla bandierina del corner! – nel derby di andata della stagione 1980/81, terminato 1-1. Era serie B e nessuno, francamente, ha voglia di rievocarlo.