ROMA – Eccolo lì il quartetto delle meraviglie. Già si sapeva, ora è ufficiale. Lo scudetto se lo giocheranno Inter, Fiorentina, Roma e Napoli, racchiuse in due punti nella testa della classifica. E credete pure, dopo aver visto all’opera dal vivo la Viola stritolare a Marassi la Sampdoria, non esito ad accreditarle corpose chance di centrare l’obiettivo. Paulo Sousa ha portato davvero qualcosa di nuovo nel nostro calcio, un tiki taka accelerato e redditizio che diventa difficilissimo da ostacolare anche per squadre meglio attrezzate della banda-Zenga, vittima di una deriva pericolosa, che mette in discussione le scelte dell’allenatore. E dunque l’allenatore medesimo.
La Fiorentina, dicevo. Una bellissima realtà, da godere per chi come me ama l’estetica del calcio (nonché l’etica) e vorrebbe sempre deliziarsi ammirando i piedi vellutati e la “garra” di uno come Borja Valero che ha il solo difetto di non essere più un ragazzino ma per il resto è un vero califfo, e farebbe la felicità di qualunque allenatore, anche di Roberto Mancini che con la sua Inter sparagnina e brutta – lo ha ammesso pure lui – guida il plotoncino delle elette. Ecco, a pensare ai 35 milioni spesi per Kondogbia, peraltro autore del gol vittoria sul Toro e della migliore prova da quando è in Italia, mi viene da dubitare della perizia di certi uomini mercato nostrani. Non per Kondogbia che ha talento e riuscirà, ma per il rapporto costi-benefici in rapporto alle ambizioni immediate di una squadra, l’Inter, che deve vincere e basta.
L’Inter infatti per me resta la favorita numero uno al titolo. Se giocando male, senza lampi ma con invidiabile solidità, ha infilato sette vittorie per 1-0 e sta lassù in cima, quando finalmente Mancini le avrà trasmesso per intero la propria lezione di calcio, la vedremo scattare in avanti e per gli altri saranno dolori. La vera virtù della Beneamata sta nella sua tetragona mediocrità. Presa pezzo per pezzo è una squadra mormale. Assemblati pregi e difetti, diventa una corazzata lenta ma praticamente inaffondabile.
La Roma, per dire, ha qualità tecniche certamente superiori ma anche difetti evidenti. E’ una assemblea di deliziosi solisti, non ancora una squadra. Il potenziale tecnico è altisismo, quasi sublime. Ma non è ancora sfruttato al meglio e dubito che Garcia riesca nella sintesi suprema. La difesa è ridotta all’osso, mancano i ricambi e se salta De Rossi sono dolori. Una magnifica incomnputa, dunque la Roma,che peraltro col tempo dovrebbe migliorare. Il punto è: basterà per contendere lo scudetto?
Il Napoli il miracolo lo ha già fatto. In quattro mesi Sarri ha cambiato faccia – e spirito – alla squadra balzana e incostante ereditata da Benitez. Se andate a vedere i nomi in campo sono sempre quelli, portiere a parte (Reina è una certezza), dei tempi di Bnitez. E’ cambiata l’organizzazione generale di squadra, la difesa non è più la banda del buco e Higuain, capocannomnoere con Eder, oggi è il miglior centravanti del mondo.
Il resto è noia. O quasi. Spiccano il Sassuolo, insediato alle spalle delle grandi, e l’Atalanta che ha spaventato il Milan, dominandolo a San Siro. La Juve passa a Empoli ed è settima a nove punti dalla coppia di testa Inter-Fiorentina, con Lazio (sconfitta nel derby romano, ma il rigore pro Roma non c’era) e Atalanta. La rimonta bianconera è iniziata.
Nei bassifondi, sussulto del Frosinone che ha sfiorato l’impresa contro il Genoa, ridotto in dieci. Giusto il 2-2 finale. A picco il Verona, affondato al Bentegodi dal redivivo Bologna di Donadoni (sei punti in due gare). Mandorlini vede l’ombra di Guidolin. Il gol-vittoria di Gilardino al Chievo salva la panchina di Iachini al Palermo. Quanto durerà? Anche Zenga non sta benissimo. La Sampdoria ora perde colpi anche a Marassi, Cassano, messo ai margini, fuma rabbia, e i dirigenti stanno riflettendo leninianamente. Che fare?